Restare svegli di notte. Osservare per ore uno schermo spento, che riflette il mio volto invecchiato. E non sono le rughe a spaventarmi. Nemmeno i capelli bianchi. Sono i miei occhi. Quello sguardo che rivedo quando devo costringermi a uccidere un altro sogno. Quella rabbia che proviene da un luogo oscuro, teatro di una vita a cui ho già lasciato una parte di me. Quella rabbia che mi urla in faccia che è non é giusto. Ed è una sensazione che matura lentamente, ricamata in uno scritto, rievocata da una canzone, da un film, da una serie tv, o da una cazzo di luna piena. Esiste un punto di rottura, un limite invalicabile, uno specchio che deve essere frantumato. Riaprire gli occhi, scoprire che non sai quale sia la strada giusta, ammesso che esista, voltarsi e scoprire la tua famiglia che crede in te, nonostante tu riesca a sentirti così coglioni di fronte a te stesso. Perché siamo esseri umani, presi dalle nostre angosce, dai timori non piacere abbastanza agli altri o, peggio, a se stessi. E non può succedere. Non deve. Per cui, se restare svegli tutta la notte può servire a ritrovarsi, allora va bene lo stesso.