Ti ho cercata

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri, Poesie

Ti ho cercata,
nelle pieghe di un vestito.
Tra una pagina e una pagina.
Nel filo segreto che lega un bottone.
Sotto cumuli di errori.
E racconti lasciati a metà.
Tra gli ingredienti,
che uniscono i desideri, emozioni,
alla parola futuro.
Per poi dare a una ricetta, un nome.
Perché siamo quelle parole.
Non quelle scritte sui muri,
sempre uguali a se stesse.
E che svaniscono con la pioggia.
Ti ho cercata.
Tra milioni di persone.
E trovata.
Tra una pagina e una pagina,
E al filo, che lega un bottone.
Ora posso dare un nome.

Nuovo estratto da #LaMacchinadelSilenzio

Pubblicato il Pubblicato in #LMDS, La Macchina del Silenzio, Pensieri

Vienna

Davide si guardò intorno, poi lanciò uno sguardo privo di stupore alla facciata del palazzo della Secessione. La cupola d’oro era opera di Gustav Klimt; tutto il resto gli sembrava semplice e spartano. Salì i gradini che portavano verso l’ingresso dell’edificio per poter osservare la zona da un punto di vista differente. L’orario stabilito era passato da ben due minuti, ma nessuno lo aveva avvicinato. Attorno a lui c’erano soltanto turisti intenti a guardare improbabili planimetrie di quel palazzo. Per un attimo gli era parso di scorgere lo sguardo di un uomo in lontananza, oltre la strada. Cercò di mettere a fuoco l’immagine, ma la sua attenzione fu catturata dagli alberelli che troneggiavano accanto alla scalinata. Proprio in uno dei due enormi vasi ornamentali vide qualcosa. Si avvicinò ostentando disinvoltura e la raccolse. Era una semplice busta gialla senza alcuna scritta. Si guardò intorno ancora una volta e l’aprì. Ma all’interno c’era una fotografia. In quel momento sentì una forte fitta alla testa. Un dolore lancinante che negli ultimi anni non aveva fatto altro che aumentare d’intensità. Un’immagine si materializzò nella sua mente: un volto biancastro che spuntava da una superficie oscura. Si accasciò portandosi le mani alla testa, preda di una fitta più forte.

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Perché questa scelta narrativa? #LaMacchinadelSilenzio 

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Nel tuo romanzo la narrazione è serrata, i luoghi e le scene si rincorrono a una velocità sfrenata. I personaggi sembrano anch’essi vittime di questo vortice. Cosa ti ha spinto a questa scelta narrativa?

Lo stile narrativo è sempre una scelta. Questa è una storia moderna, che vuole e che deve affacciarsi al futuro. E il mondo in cui viviamo e in cui ragionevolmente vivranno i nostri figli sarà sempre più maledettamente veloce. Nel raccontare uno scenario simile è inevitabile fare affidamento a una narrazione che metta in scena l’ansia che abbiamo, quasi di voler combattere il tempo. Governarlo, prima che sia troppo tardi. Lo schema narrativo è quello cinematografico, in particolar modo utilizzato nelle fiction d’azione  di nuova generazione, per citarne qualcuna: #Personofinterest, #Blindspot, #TheBlacklist e potrei andare avanti per ore. Ho cercato di unire le tecniche comunicative della rete con la narrativa. Due mondi che sembrano lontani, ma che non lo sono affatto.

#LaMacchinadelSilenzio

Il primo capitolo de #LaMacchinadelSilenzio 

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New York

Convegno internazionale sul cambiamento climatico

Il dottor Kywata era in piedi sul palco e osservava compiaciuto la sala gremita di personalità nei campi della geologia, dell’idrologia e dell’informatica. Sapeva che erano tutti lì per lui, per ascoltarlo disquisire sul suo progetto presentato da tutti i media come “geniale”. Era riuscito a mantenere il segreto ed era stato coscienzioso nel lasciar trapelare solo lo stretto necessario affinché si percepisse l’importanza della sua intuizione: una scoperta in grado di modificare in maniera definitiva la storia del cambiamento climatico. Si voltò un attimo per guardare lo schermo dietro di lui, fermo sulla prima slide della presentazione; la più semplice, quella che indicava il nome del progetto e dei suoi autori. Lui e il dottor Haikidu. Sentì salire dallo stomaco un moto di fastidio. Aveva notato un errore. E lui odiava gli errori. La dimensione del carattere era chiaramente un trentadue, quando lui aveva scelto il trenta. Una volta sceso dal palco avrebbe licenziato quel miserabile che aveva rovinato la presentazione più importante della sua vita. Del resto la colpa era sua, non avrebbe dovuto fidarsi di un dottorando. Cercò di reprimere l’ira e iniziò il suo discorso. Cliccò su invio per far apparire la seconda slide: era completamente bianca. Strinse il pugno fino a farsi male. Era veramente troppo. “Maledetto incompetente” pensò. Cercò di mantenere la calma, cliccò ancora. Un’altra pagina bianca. Provò a parlare ma si accorse che gli mancava la voce. I pensieri non riuscivano a tramutarsi in parole, tutto sembrava bloccato. Si portò le mani alla bocca con un moto spontaneo, ma in pochi secondi si rese conto che stava perdendo il controllo delle mani, poi delle braccia. Le gambe cedettero all’improvviso e si ritrovò con gli occhi spalancati, vigile ma completamente incapace di comunicare. Sentì le urla e poi delle sirene in lontananza. Vide gli uomini in divisa blu che lo caricavano su una lettiga. Poi smise di capire.

 

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