La sete di giudizio

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Continuo a pensare che i social rappresentino un canale in grado di raggiungere moltissime fasce di popolazione, per certi versi in modo più profondo della televisione. Inevitabile che si cerchi il modo di influenzare e rendere i messaggi sempre più targhettizzati. Siamo chiari, il tanto temuto “tracciamento” parte dal reciproco controllo tra utenti, dall’analisi delle cose che piacciono o che non piacciono, dalle reazioni, gusti, luoghi frequentati. Uno studio così fedele e anche a noi serve, ma che ci pone in una condizione di essere nudi di fronte a questa nuova tecnologia. I protocolli di tracciamento, il misterioso e fantomatico 5G, viaggiano in quest’ottica di inevitabile assueffazione alla tecnologia. Io non potrei farne a meno, lo sapete. Ma sono solito ripetere che io sono nato nell’epoca del vinile, pertanto ho la fortuna di aver visto la mutazione della tecnologia analogica in quella digitale e averne apprezzato pregi e difetti di entrambe. Lo “spionaggio” è sempre esistito, seguiva solo regole diverse, ma oggi siamo noi a desiderare di essere spiati, a voler far sapere agli altri chi siamo e cosa facciamo, convinti che sia un modo efficace per farci conoscere e facendo finta di non sapere che ci stiamo esponendo solo a essere giudicati. In fondo si tratta di una forma di dipendenza, quella che ci lega a questo mondo virtuale, quella che ci impedisce di scomparire e vivere la vita serenamente e senza ossessionarci nel cercare pareri altrui o scriverne di nostri. Io me lo chiedo spesso perché continuo a comunicare, a chi sto parlando, se chi penso mi stia ascoltando lo faccia poi veramente. E la gran parte delle volte non trovo delle valide risposte, nel tempo il pubblico dei social è cambiato, si sposta da una piattaforma all’altra, sparisce perché si è annoiata. Perché mi pongo queste domande? Perché scrivo da sempre i miei pensieri, semplicemente perché mi piace farlo, ma chi scrive deve avere un motivo, dice Liga, ma anche un lettore. A volte, però, mi sembra di essere solo giudicato, più che letto. E so che questo è parte del gioco, ma riesco a sopportarlo sempre meno, questo perché non ci sono dialoghi da fare, si tratta solo di una condizione da subire. Questo non può essere un modo per comunicare in maniera trasparente. Non può che portarci a mettere in scena un programma che rappresenta ciò che gli utenti dei social vogliono sentire. Non ciò che si pensa. Ed è qui che nasce la targhettizzazione, l’influenza, in qualche modo il controllo. Dalla sete di giudicare.

Perché non credo minimamente alla tesi complottistica legata al Covid-19

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Non credo alla tesi complottistica legata al Covid-19. Ovviamente parlo da “scrittore” di trame che più volte hanno toccato tesi geopolitiche. Sia ben inteso, penso che qualche mistero sullo sviluppo del virus ci sia. Ma quando leggo post strampalati che parlano di virus costruiti per arrivare a un controllo globale della popolazione attraverso le aziende farmaceutiche, mi viene spontaneo analizzarne una possibile trama. Eh, no. Non funziona. Non può funzionare perché il terreno non è adatto, lo sviluppo del virus passa attraverso apparati politici dei paesi che sono troppo diversi per poter essere utilizzati come piattaforma di controllo. I meccanismi sanitari esistenti sono troppo diversi tra i vari paesi da rendere praticamente impossibile costruire un sistema di controllo attraverso una piattaforma unica vaccinale. Inoltre è evidente che per obbligare tutta la popolazione, o gran parte di essa, basterebbe far leva su un aggiornamento di quelle già esistenti, magari obbligando a dei richiami dei vaccini già somministrati.
Credo ancora meno alla tesi del 5-G, ma dal punto di vista geopolitico è sicuramente più spendibile per una trama. Partiamo dai protocolli di intesa tra gli sviluppatori della tecnologia e i vari paesi. Uno di questi riguarda proprio l’Italia. Per inserirsi in un mercato difficile come quello europeo e americano sarebbe stato certamente utile indebolirlo, situazione che il Covid-19 sicuramente ha fatto. Ma credo che la tecnologia del 5-G sarebbe comunque arrivata, posso quindi solo valutare un’accellerazione da parte di uno dei competitor. Eh, no, nemmeno questa tesi è convincente. Purtroppo resta la tesi più semplice, ovvero che questo virus si sia sviluppato per una mancanza di strategia difensiva dei vari paesi a questo tipo di criticità, questo senza nemmeno entrare nell’ottica della genesi del virus stesso, ipotizzando anche che sia completamente naturale, così come le ricerche dimostrano. E facendo finta, per un attimo, che le ricerche non possano essere strumentalizzate. Insomma, facciamo attenzione a quello che leggiamo, fantastichiamo pure, ma arrivare a dubitare dell’esistenza stessa del virus è irrispettoso nei riguardi di chi ha visto morire i pazienti, parenti. Non é stato un gioco, così come non lo è cercare di mitigare possibili picchi con i mezzi che abbiamo a disposizione. Parliamo, appunto, di mitigazione del rischio, per sua natura non potrà essere mai zero, quindi con buona certezza ci saranno altri casi. Quando finirà? Gli esperti dicono “quando ci sará un vaccino”. La corsa alla creazione e produzione é già iniziata. Molti paesi stanno già prenotando le dosi. Ecco, qui la geopolitica c’è. La mia trama inizierebbe proprio da qui.

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Quella storia siamo noi

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Non sono mai le storie degli altri a fare male, ma quelle che ti sono rimaste addosso, sulla pelle. Quelle non vanno via nemmeno sfregando sui tuoi tatuaggi. E che raccontano di te più di quanto tu stesso sia capace di fare. Non sono mai le storie che scriviamo a descriverci, ma quelle che portiamo dentro. Quelle che amiamo, odiamo, che non sappiamo spiegarci, che ci spaventano, illudono, ingannano, sfreggiano, eccitano, uccidono. Ma, che ci piaccia o meno, quella storia siamo noi. Con le sue luci. E tutte le sue ombre.

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Sull’orlo di uno schermo

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Ci abbiamo creduto tutti a un mondo migliore, che avremmo interpretato il ruolo principale nella commedia più attesa del calendario degli eventi. Che ci saremmo osservati attraverso lo specchio dei camerini, per ritrovare quello sguardo e quelle parole imparate a memoria dal copione. E restiamo qui, con quel biglietto tra le mani, in attesa di prendere posto nella sala del cinema, di guardarci attorno nella penombra per scoprire che non siamo soli. Il mondo è anche questo restare in bilico sull’orlo di uno schermo, come persi tra dimensioni troppo lontane e immagini di noi, che non riusciamo a riconoscere.

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Infrangere il suono

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Il tocco leggero sull’ebano dei tasti. Il rumore nascosto del martelletto che sprigiona il suono. Il silenzio che si infrange, esplode in milioni di piccolissimi ricordi. La musica è questo, rompere ogni equilibrio, per crearne uno nuovo e perfetto.

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Correva, il tempo

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Correva il tempo, perché lí c’era troppo vento. E gli occhi bruciavano, ma non potevano non vedere. Correva, il tempo. E la luna faceva un po’ meno paura. Avvolta dalle nubi, incastrata tra troppe stelle. Chissà se mai avrebbe scoperto la solitudine. Quella che inganna, col sapore aspro di un giorno di pioggia. Poi, fermo a una stazione, attesi il treno che sarebbe arrivato di lí a poco. Raccolsi i pensieri e gli accordi disarmati. Ed é così che accadde. Un suono, poi una melodia e, in fine, le parole. Il tempo non correva più. Aveva imparato a camminare. E a raccontare.

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Se io, un giorno. Un pensiero su Silvia Romano

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Semmai nella mia vita io scegliessi di andare a prestare servizio in una parte pericolosa del mondo semplicemente, per i più svariati motivi, ma soprattutto per migliorare la situazione di chi sta peggio di me, se venissi rapito a scopo di riscatto, se fossi costretto a subire le peggiori cose da parte degli aguzzini, se le violenze fossero fisiche, psicologiche, o entrambe, se questa condizione perdurasse per anni. Se mi trovassi talmente in crisi che per salvarmi la vita sentissi la necessità di non urtare chi potrebbe uccidermi da un momento all’altro, io rimarrei comunque un cittadino italiano e, dentro di me, continuerei a sperare che il mio paese stia facendo tutto il possibile per venirmi a salvare. Anche trattare la cifra imposta per il mio riscatto. Perché la mia vita dovrebbe valere meno perché ho scelto di aiutare il prossimo? Perché dovrei essere considerato diverso se scegliessi di convertirmi a un’altra religione? Il nostro è un paese laico, non cristiano, non cattolico, non islamico, non ebraico, non buddista. É laico. Ciò che ha vissuto quella ragazza noi non possiamo saperlo. Ma parliamo di una cittadina italiana che aveva dei sogni. E, con tutta la mia sincerità, spero non sia stata costretta a perderli percorrendo una strada dell’inferno.

Diciotto mesi

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Mi chiami “Papà”. E credo basti questo per descrivere quante cose sono cambiate in diciotto mesi. Ogni giorno è una conquista per te, ma soprattutto per noi. Capire quanto é complicato far collimare tutti i punti delle nostre vite, stabilire le priorità. Un giorno capirai che il mondo fuori é complicato, che tante volte nulla é ció che si ostina a voler sembrare. E tu, per quanto proverai, capirai che non sarai in grado di cambiarlo. Quello sarà un momento in cui proverai un senso di amaro, ma che é proprio da lì che ripartirai per continuare a provarci. Scoprirai che le parole servono solo fino a un certo punto, che i sogni si infrangono. I sentimenti, pure. Ma che non sarà mai un buon motivo per non riprendere una matita in mano e tornare a disegnare quello in cui sceglierai di credere. Capirai che ogni delusione é come un mattoncino delle costruzioni, che potrai farne quello che vuoi. Nel bene, nel male. Molti vorranno cambiarti, ma so che sarai più forte tu. O almeno questo é quello che, nel mio piccolo, vorrei insegnarti. Lo so bene che spesso non sarà possibile, che ti ritroverai di fronte a scelte più grandi e importanti, che dovrai sacrificare dei sogni, probabilmente anche una parte di te. Ma anche quelli sono mattoncini, come quelli che ci regali ogni volta che dici “Mamma” e “Papà”, noi cercheremo di costruirti una base perché tu possa poi posare i tuoi.
#diciottomesi

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