Dove avevo gli occhi

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Dove avevo gli occhi,
al margine esterno della terra.
Dove il sale li brucia.
Il marchio a fuoco,
il gioco sbagliato.
Siamo esseri umani.
Demoni sporchi di santità.
Dei che non ce l’hanno fatta.
Dove avevo gli occhi,
cancellati dal tempo.
Battuto, perché diventasse musica
Sconosciuto, buttato.
Senza nome.
Chiudo la serranda del negozio,
per oggi ho sorriso troppo.
Cerco il mio volto,
tra le vetrine spente,
di una città pronta per l’inverno.
I poeti a quest’ora dormono.
Dove avevo gli occhi,
persi, disillusi, stanchi.
O semplicemente chiusi.

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Text by Daniele Mosca

Il vecchio peschereccio

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Le onde sono più alte di questo vecchio peschereccio. Sembrano accanirsi sul legno umido e fragile. Gli scricchiolii sono più forti, anche del cuore che batte. Perché ha paura. Io raccolgo qualche immagine, pensando che questa possa essere l’ultima onda. Quella che porta via anche questo pensiero. Poi mi accorgo che arriva un’altra onda e un’altra ancora. E mi viene da pensare che il legno di questa barca abbia ancora molto da raccontare. Il motore ruggisce. Un po’ di luce all’orizzonte. Eppure, senza queste onde, senza questo sale nelle vene, gli scricchiolii del legno logoro, il filo di luce che improvvisamente comprare nell’oscurità, forse, il cuore non riuscirei a sentirlo battere. Senza il freddo di queste tempeste, non saprei cercare nei tuoi occhi il sapore dell’alba. Perdermi nelle sfumature di questo mare. Le onde sono svanite. Tutto sembra calmo, adesso. Il cuore batte, ancora. Forse mi stai aspettando, probabilmente no. E che importa, stanotte farà freddo. Ci sarà vento. Questo vecchio peschereccio ha bisogno del mare, come ne ho bisogno io.

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Scrivevo per legittima difesa

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Scrivevo per difendermi.
Come una spada, da difendere dalla ruggine.
Il tempo scandiva le sue frecce. E sentivo il freddo aprirsi un varco, tra la nebbia leggera di una stazione deserta. E tra le locandine sbiadite sui muri, cercavo il tuo nome.
Quante volte ho scelto di smettere di difendermi, ma le parole non volevano. E lo facevano al mio posto.
Quante volte ho sognato un mondo migliore, mentre mi sporcava. Lacerava i pensieri. Mi diceva che tutti prima o poi si arrendono.
Ho scritto sui muri, pagine sporche d’olio, il mondo che desideravo. E forse una piccola parte di me è rimasta. Nascosta proprio nei mondi che raccontavo.
Perché parlando del buio, si racconta quello che non riesci a vedere. E spesso sono proprio i sogni che difendiamo.
Quante volte sono rimasto in silenzio, con la paura che sarei riuscito più a costruire parole.
Che mi fossi arreso.
Ed era in quel momento che sentivo dissolversi la ruggine.

In un luogo, in un tempo

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Ci sono cose che abbiamo pensato essere importanti, ma che, all’ordine dei fatti, non sembrano tali. E ti ritrovi in un luogo, in un tempo, che ti getta in faccia un deserto che non avevi riconosciuto. Così devi ricominciare tutto da capo. Con te stesso, con quello in cui credevi e che ora appare sbiadito e lontano. No, non è che io sia cambiato. Sono solo stanco di accettare che vengano gettate addosso delle maschere. Perché per alcuni è più comodo credere che siano volti veri. Così è di nuovo il momento di scrivere nuovi progetti, di fare scelte che consentano di ricucire i vuoi lasciati dai rimpianti, dalle strade della vita che tante volte ti postano in radure lontane, in cui non trovi più niente che senti appartenere. Questa sensazione l’avete provata tutti, ne sono certo. Forse con amici, sul lavoro, nei sentimenti, semplicemente mentre davanti allo specchio cercavate di nascondere i segni del tempo. E forse con quelli fuori qualcosa si può fare. Ma dentro no. E sappiamo bene che non ci si può fermare. Che bisogna continuare. Anche quando nessuno ci crede, quando ti dicono che è troppo tardi. Che ti farai ancora male. Eppure sullo specchio, l’ho notata. Era una goccia che scivolava giù. Mi è sembrata una lacrima. La verità è che non siamo sempre quello che diciamo di essere, o quello che vorremmo essere. Se la natura ti ha dato le unghie, graffierai. Se ti ha dato i denti, morderai. Se ti ha dato un cervello, penserai. E se ti ha dato un cuore, amerai, nonostante tutto. Se ci sono cose che abbiamo pensato fossero importanti, probabilmente lo erano. Tocca a noi rialzarci, rimetterci in gioco. E tornare a scrivere sui muri i nostri progetti. E chissà, forse qualcuno li leggerà. Forse un giorno qualcuno si accorgerà di noi. Male che vada, ci ritroveremo a sorridere a quella lacrima che scivola via, perché, semplicemente, ci appartiene.

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Lacrima, guardati

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Guardati.
Il vento muove i capelli,
mentre il sole, annega.
Non saranno i colori,
a salvare quella lacrima,
silenziosa e inaspettata.
Che brucia sulla pelle.
Che segna e fa rumore.
Che insegna e dimentica.
No, non sei più la stessa.
Ogni tua immagine è svanita,
ogni istante, scivolato via.
Scandito da un tempo feroce.
Guardati,
Il suono del vento,
rompe il silenzio.
Ma alcune parole,
restano lì.
Appese a quel cielo,
distratto,
indifferente.
Che riflettono uno sguardo,
di un tempo,
che nessuna musica racconta più.
Lacrima, guardati.
Se anche ti perdessi in quel mare,
un giorno ti ritroveresti.
Ora, vai.
E abbi cura di te.

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Settembre

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Fuori piove e sembra già inverno. Non posso dire che faccia freddo, ma l’estate sembra ormai già lontana. All’orizzonte ci sono tante novità e tante cose da fare. A volte sembra che settembre sia il luogo dei bilanci molto più che Capodanno. Sarà perché lo si associa sempre al ritorno a scuola dopo le vacanze. Quel momento in bilico tra passato e presente. Un limbo di sensazioni che non riescono ancora a esprimersi, ma che lo faranno presto. Nel frattempo inizio a leggere un nuovo libro. E poi, vedremo.