Lager

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nuda e informe massa
ondeggia a passi veloci
in tondo
sempre più forte
colpi puntati addosso
paura di esistere
passi a logor la pelle
l’inizio come la fine
aria che aria non è
libertà che vita non è

un furto dei giorni
sciolti come l’oro del domani
sarà l’anetto del niente
sarà la pelle morta sulle mani

parole di nascosto a me che muoio
di nascosto a ronde di pedine anonime

ora sono cenere che vada nel cielo
lontano è quel fuoco di vita
ardeva in atrui cuore che in me si perdeva
lontano dal  domani rubato

Punizione divina

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Signor giudice, voglio raccontarle la verità. Sono un infermiere e già dal primo prelievo di sangue ho capito quanto godessi nel farlo. Mi eccitavano quei vasetti pieni di vita, solo a guardarli. Ma gl’incubi sono iniziati quando ho letto quel libro. La notte mi svegliavo sudato, urlavo. Vedevo fiumi di sangue che scorrevano di notte, e di giorno vedevo rosso ovunque. Giudice, è pericoloso quel libro! È lì che ho capito quale sarebbe stata la mia missione. Una ragazza conosciuta in un bar fu la prima a essere immolata per il mio sublime piano. Una volta a casa deposi quel corpo caldo nella vasca. Giudice, non immagina come un corpo deperisca, istante dopo istante, fino a diventare bluaceo. Dopo un’ora era smunta. Sa quanto sangue c’è in un essere umano? L’otto per cento del peso corporeo. Me ne serviva tanto. Qual è colui che suo dannaggio sogna, che sognando desidera sognare, sì che quel ch’è, come non fosse, agogna?  E’ vero, non avete mai trovato i corpi. Le dirò dove sono: in una fabbrica abbandonata, nell’ex sala macchine, ci sono le botole dei pozzi che portavano acqua alle vasche; sono lì, potete controllare. La cella frigorifera dell’ex sala mensa divenne il mio deposito. Volevo creare il mio gioiello, e lavorai notte e giorno. Non sa quanto sia stato emozionante vederlo all’opera. Scelsi la mia prima vittima nel quartiere più degradato della città, frequentato solo da balordi e violenti. Dopo qualche ora quel bastardo si risvegliò appeso per le braccia a un cavo d’acciaio. Calai lentamente il suo corpo con l’argano, lungo la proda del bollor vermiglio, dove i bolliti facieno alte strida.

Il suo urlo riecheggiava nella sala mentre il bruciore lo assaliva, prima ai piedi, poi le cosce, fino al pube. Non riuscivo a trattenere la mia eccitazione quando il fiume di sangue fumante lo inghiottì. La divina giustizia di qua punge, quell’Attila che fu flagello in terra e Pirro e Sesto; e in etterno munge. Conosce l’Inferno, Giudice?

Recensione “Fuori dal Comune” di Davide Geddo

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L’album di Davide Geddo “Fuori dal comune” si apre con una canzone da brividi che si chiama “Genova”, un’autentica perla di musica e poesia che sa far sognare.”Ti Voglio” è pezzo orecchiabile, molto radiofonico, e con un testo frizzante.”In ogni angolo della notte” ha un retrogusto jazz con una vocalità riflessiva e intensa, mentre  “Innocenza” è una canzone che ha un qualcosa di geniale che seppur nella sua semplicità colpisce per la sua profondità. Non mancano le ballate sognanti come “Il limite” e “1000 cose” che accompagnano l’ascoltatore verso un mondo di poesia e intensità. L’amara e coinvolgente “Marylin” sembra quasi essere divertente nel suo incedere tagliente. “Lo sguardo del cantautore”, con il featuring dell’ottimo Zibba, è dissacrante e ironica e che spezza e arricchisce il contenuto di questo album. “Meg” è dinamica, sarcastica e con un testo ricco di poesia intrecciata a una realtà che sa di fumo di un pub di periferia. “Oltre” e “Cuore” sono due canzoni d’amore o forse sono qualcosa di più. Quel che lasciano è un sapore, quasi un profumo, fragrante che completa degnamente un album ricco di poesia, musica, intensità e che quindi racchiude un senso ancora più sublime in un finale emozionante. Un bell’album. 

 

Recensione “Lo Specchio” di Francesca Romana

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L’album “Lo specchio” di Francesca Romana contiene pezzi pop melodici, alcuni dei quali particolarmente raffinati. Lo si denota sin dalla prima canzone “Il tuo nome e il veleno” in cui alcuni tratti del testo spiccano per originalità mentre altri si rifanno a una cultura melodica italiana più classica. “Giovanna la pazza” è particolarmente orecchiabile e in alcuni tratti avrebbe bisogno di maggior incisività per renderlo di qualità ancora superiore. “Canzone blu” è anch’essa molto appetibile all’orecchio. “Io e Biancaneve” è originale nella sua composizione e nella fusione tra un testo complesso all’apparenza e la melodia molto ariosa. “L’estranea” è una ballata lenta con una vocazione intimista e sussurrata, mentre “Il poeta”, pur essendo anch’essa una ballata, possiede un’architettura più raffinata del testo e dell’interpretazione. “Storia clandestina” sembra una favola raccontata nelle sere d’estate quando il sole è tramontato da poco. Ne “Il lago” si sente l’eco dell’influenza di Carmen Consoli con una struggente passionalità regalata all’ascoltatore. “Mad Maria” invece è particolare e affronta una tematica difficile e ricca di ostacoli, forse spingendosi ancora oltre colpirebbe in maniera più forte e decisa. Francesca Romana ha delle indubbie qualità canore e una grande capacità di intrecciare le parole per creare atmosfere avvolgenti. Con ancora più spregiudicatezza nei testi potrebbe creare testi in grado di fare ancor di più la differenza. Quello che si può dire dell’album “Lo Specchio” è che contiene molte canzoni interessanti, alcune molto orecchiabili, altre con un tono più poetico e altre con una struttura melodia e voce intrigante e che lo rende attraente. C’è molta sostanza e tecnica in questo disco e speriamo di riascoltare Francesca con altre canzoni.

Questa maledetta nostalgia

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Come spieghi questa maledetta nostalgia? Forse siamo animali alla ricerca di un istinto, di un’anima, anche quando siamo sicure di possederne una. E quando nella notte ci svegliamo sudati e impauriti ci soffermiamo a pensare che è dura restare in piedi e spesso lo è ancora di più quando sei in attesa che il vento cambi. Mi chiedo spesso come fanno le persone che si adeguano a tutto, che sanno, o che almeno dicono di sapere come funziona. C’è gente pronta a commentare, a giudicare, a dire la propria, fino a ferire con la consapevolezza di una saggezza maturata nel tempo. Adeguarsi a sopravvivere è un’arte. Dicono. Io credo nei sogni, questa è la verità. Credo che si debba combattere finchè c’è respiro, aria, voglia di andare avanti, anche a costo di rischiare figuracce, di essere fischiati, giudicato. C’è una notte ancora da superare. L’ennesima. C’è ancora tanta voglia di urlare, anche contro queste serpi pronte ad avvelenarti.

 

 

Le mani legate

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Le mani legate

All’estremo rimpianto

Insane e violate

Le note del tormento

E il viale delle streghe

Lacerate e corrotte

Nelle pieghe dell’inferno

Nel freddo di ogni notte

Le gocce sanguinanti

Il sale nelle lacrime sole

Come antidoti e unguenti

E salvezza le parole

Il calice d’incanto

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il calice pieno di incanto

brindavi alla notte morente

degli occhi non ti fai vanto

urlando alla luna crescente

mi invadi l’anima

col fare inquieto di chi sogna

mi chiudi gli occhi

con baci di cui ho bisogno

e poi torni a volare

con le ali libere ancora

e mi vuoi parlare

di quel che è stato fin’ora

nell’attesa del mare

colgo il senso dei discorsi

mi fermo poi a pensare

ai miei tempi trascorsi

tra nubi di fumo bianco

e perle di vino invecchiato

quando mi sentivo stanco

di non aver realizzato

che il calice è lì 

pronto per essere bevuto 

come d’incanto

Appunti dal Salone del Libro di Torino

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Un giorno al Salone del libro di Torino è come immergersi in un mondo parallelo, in cui le parole sono protagoniste e in cui il mondo stesso si nasconde. C’è un qualcosa di magico nel vedere quanta gente abbia qualcosa da dire, da raccontare, da spiegare. C’è qualcosa di davvero importante in questo tripudio di parole. Eppure qualcosa stride, stona, infastidisce. Molte conferenze sono messe in scena per pubblicizzare artisti da televisione che tante volte non hanno peso letterario ma mediatico. Mi chiedo se questo sia corretto nei confronti di autori che sputano sangue per mettere nero su bianco le loro storie. C’è un qualcosa di ingiusto nel vedere messe in secondo piano le piccole produzioni rispetto ai grandi colossi della letteratura e della comunicazione in genere. Ho ascoltato alcune considerazioni di Mauro Corona e questo mi ha fatto riflettere, forse ha ragione quando dice che le sale più importanti sono occupate da divi dello spettacolo e che questo denota una parabola discendente degli scrittori veri. Potrebbe anche essere letta come provocazione, certo, ma la verità è che questa sensazione l’ho avuta anche io girando per gli stand del salone. Una novità che ho molto apprezzato è stata la presenza di stand musicali come quelli di Scavino e Merula e della piccola sala concerti nella quale ho potuto ascoltare Andrea Mirò. Eccelsa. Dal punto di vista dei visitatori ho avuto la sensazione che ci fosse meno gente (dato riferito a sabato pomeriggio) ma è possibile dipenda dalla maggior distribuzione della gente tenuto conto dell’utilizzo dell’Oval del Lingotto oltre ai 3 classici padiglioni. In generale si tratta di una manifestazione importante per Torino e per l’editoria in generale. Molte le novità letterarie presentate, dal Fantasy alla narrativa di viaggio, tante le presentazioni e le conferenze a dimostrare fermento e voglia di scrivere e leggere.

P.s. Un ultimo appunto per Travaglio..seppur non è un politico la propaganda a urne ancora aperte non è corretta. Se ha qualcosa da dire potrebbe limitarsi a parlare del suo libro.
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La manifestazione del silenzio

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Silenzio. Questo è stato ciò che pensato durante la manifestazione generale indetta dalla Cgil a favore del lavoro e contro l’operato del governo che ho seguito a Torino. Forse è accaduto per la concomitanza del raduno degli Alpini, ma ricordo le manifestazioni del ’94 ed erano qualcosa diverso, c’era rabbia, voglia di urlare, di dimostrare. E invece oggi è tutto diverso, regna la rassegnazione e la consapevolezza che infondo nulla si possa davvero cambiare. Troppa politica in queste manifestazioni, troppe correnti politiche che spingono per tornare ai vertici. Ma sarebbe poi la cosa giusta? La verità è che chi vuole manifestare è consapevole che non servirà e tanto vale per rendere inutile farlo. L’azione del governo ha fatto in modo di separare i tre grandi sindacati italiani, creando rapporti più diretti con le imprese che possono in tal modo fare quello che ritengono più opportuno. La Cgil non è stata d’accordo con questa metodologia, bene, forse. Un solo sindacato non può combattere un regime come quello presente in italia. Lo sciopero è partecipazione, creazione di disfunzioni. Lo sciopero è fermare il paese. Ma l’amara verità è che ieri non si è fermato nulla, anzi, tutto è scivolato via come sempre. Nulla è cambiato. Nulla cambierà. La scuola, il lavoro e tutto il resto sono qualcosa che non sappiamo difendere. Un lavoratore ricattabile è impotente, solo di fronte alla propria sofferenza e alla morte dei proprio sogni. Questo non è vivere, è sopravvivere. L’azione di governo vuole questo, ma non solo di questo governo ma della politica intera, di una classe politica intenta ai propri interessi e alla propria volontà di “arrivare”. Noi tutti siamo soltanto voti utili quando serve, rompiballe negli altri momenti. Il silenzio della manifestazione mi ha fatto male dentro. Davvero. C’è bisogno di rialzarsi, di credere che sia possibile tornare a vivere davvero. Per farlo bisogna tornare a urlare contro l’arroganza, la presunzione e la demagogia. Ieri non ho sentito tutto questo, ho sentito solo rassegnazione silenziosa.

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