Ho gli occhi aperti – Racconto

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Ho gli occhi aperti, o almeno credo di averli. Ogni volta che arriva, la mia testa esplode. Scandisce il ritmo di questa vita, in cui non posso né alzarmi in piedi, né toccarmi viso. Qualcuno mi inumidisce le labbra, secche e screpolate. Il sapore del liquido è aspro e mi disgusta. Ripenso ai suoi baci. L’ultima immagine che ho di lei è di una donna con gli occhi spalancati, preda del terrore, trascinata da due uomini fuori dal mio appartamento. Le esplosioni nella mia testa continuano. Non mi fanno dormire, mai. A volte credo di essere già morto, ma non lo sono. Ogni ricordo rimbomba per ore nella mia testa, come la goccia che instancabile cade sulla mia fronte. Eravamo al parco, quando i nostri sguardi si incontrarono. – Come ti chiami? – riuscii solo a chiederle. I suoi occhi sembravano un angolo di cielo. Mi attirò verso di sé e mi trascinò dietro un cespuglio. – L’abbiamo scampata per poco – disse, mentre due soldati in uniforme passavano marciando lungo la stradina sterrata. Sentivo il calore del suo corpo e il profumo di vaniglia. Mi baciò. Dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, si allontanò, per sparire in fondo alla via. Qualche secondo più tardi uscii dal cespuglio e mi incamminai. Per un attimo incrociai lo sguardo di un passante e mi chiesi se ci avesse visti, ma il pensiero svanì nella nebbia, così come quell’uomo. L’ho rivista altre volte, fino a quel giorno. La testa mi sta per esplodere e quelle maledette gocce non si fermano. Continuano a cadere, sempre. Esplosioni che annientano la mia anima. Un rumore che mi uccide. Lentamente. Lei era la figlia di un uomo che si era ribellato allo Stato, al Regime Comunista. Un uomo che lottava per la libertà. Lui, era un sovversivo. Io, solo un uomo innamorato.

Recensione Concerto Ri-Cover 29/12/2012@Cortile del Maglio

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Cortile del Maglio, 29 dicembre. Ore 22.30. Energia allo stato puro, emozioni e una carica positivamente distruttiva. E’ ciò che i Ri-Cover esprimono. Classici della musica italiana e internazionale rivisitati, rivissuti, completamente trasformati rivivono e risplendono di luce nuova. Il tutto grazie all’abilità dei musicisti Alex Nicoli, Seba, Giorgio Josh Angotti e alla voce forte e graffiante dell’esplosiva Claudia Salvalaggio. Da Lamette a Nessuno mi può giudicare, una carrellata di bombe che esplodono e fanno cantare e ballare il pubblico. Arrangiamenti ben costruiti, calore e momenti di ilarità, tutti ingredienti che rendono lo spettacolo di questo gruppo sempre affascinante. In particolare in questo spettacolo la band si è messa in gioco ospitando dei loro amici, nonché ottimi musicisti, come il bravissimo Paolo Fracasso, che hanno regalato un tono ancora più rock e internazionale alla serata. Spettacoli che ogni volta si rinnovano e si ricreano, suoni ottimi, e melodie avvolgenti. Star indiscussa della serata è Claudia Salvalaggio che duetta e trascina lo show con maestria, bravura e semplicità. I concerti dei Ri-Cover sono un appassionato consiglio per chi ama la  musica e vuole passare un paio d’ore assaporando belle canzoni, magari ballando un po’.

Le pagine bianche

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Guardare queste pagine bianche non mi aiuterà, così illudermi che i silenzi d’un tratto possano parlare. Sognare ciò che un sogno è stato, è ingannarsi, è una ferita che sanguina pensieri. Che mi lascia senza più note da suonare, senza parole da scrivere. Senza nubi da guardare. Senza la luna alla quale ululare, ogni qualvolta che si mostra nel pieno della sua bellezza. Ogni notte è un rintocco che scandisce gli attimi che nella mia mente si rincorrono.

Ogni istante non svanisce mai davvero, resta lì, senza affondare. Senza restare a galla. Quel che volevo era lì, a un passo. Ed è ancora qui. Dentro.

La nota sbagliata

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La nota sbagliata,

nella melodia che annienta

La parola non capita

In ogni sogno che incanta

E poi raccontavo,

parlavo, di me, a chi, a cosa?

Se ciò che amavo

È altrove e in prosa

Disegno un’immagine

E scrivo pagine e lame

Taglienti di oscurità

E ho ancora fame

Di quegli occhi

Di quelle mani

Di quei sogni

Quando cerco qualcosa

La trovo tra le righe

Di ogni pentagramma

Come dighe a fermarmi

La trovo, e la nota

Quella sbagliata,

è che non sei qui.

È che sei svanita

Nebbia

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Avvolto in una nube di nebbia, con occhi infranti, e sogni naufraghi. Fermo, di fronte a un mare di ghiaccio. Ed è quel che resta, degli occhi, degli sguardi. Di me.

Cadere, lentamente. Negli occhi che sussurrano, e immagini che cambiano, nei riflessi che si rincorrono. Mi hai avvolto in una nuvola, stretto ai respiri più profondi.

Il suonatore di violino – Racconto

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L’uomo camminava a passo veloce. Si voltò e vide che la donna con lo sguardo cupo chiedeva qualcosa ai passanti, mostrando un oggetto. Accelerò il passo, muovendosi tra lo sciame di passanti di un sabato pomeriggio nel centro di Milano. Si scontrò con una ragazza e per un attimo perse l’equilibrio, nel suo sguardo cercò qualcosa che placasse la sua inquietudine, ma lei, indifferente, riprese a camminare. Raggiunse la piazza e rallentò. Guardò il Duomo, soffermandosi sulla madonnina – Perché? – sentì chiedere da una voce, dentro di lui. Con la coda dell’occhio vide la donna chiedere qualcosa alla ragazza che l’aveva urtato poco prima e voltarsi entrambe nella sua direzione. Si confuse nella folla e imboccò la via che costeggiava il Duomo. Vide il portico pieno di persone che gli sembrarono piene di vita. E si sentì vecchio, improvvisamente. Alla fine della via una musica, struggente, lo attirò. E si fermò ad ascoltare un uomo con un impermeabile logoro che suonava il violino. Sentì le lacrime scivolare sul viso. Ripensò a una sera lontana, a un camerino, al suono dei passi sul velluto del corridoio scuro e sul legno dei gradini. Poi la luce, accecante. Il palcoscenico. Socchiuse gli occhi, cercando nel buio, tra la gente che applaudiva, un volto, uno sguardo. Sentì quel calore unirsi al tocco delle sue dita che si muovevano con grazia sui tasti bianchi e neri di un pianoforte a coda. Le note, i silenzi. La passione. Una voce alle spalle lo fece trasalire. Si voltò e vide una donna che non conosceva, affannata, con in mano una fotografia che lo ritraeva. – Ma dove eri finito? – gli chiese. Un’eco lontano, e per un attimo l’uomo riconobbe lo sguardo che aveva cercato nel buio. Si guardò le mani, rugose e raggrinzite. Tremavano. Non riusciva a fermarle. In quel momento le odiò, le sue mani. Poi il ricordo svanì – Quante volte il dottore ti ha detto di non andare in giro da solo? – disse una voce ovattata, quasi a nascondere le note strazianti del suonatore di violino.

Spettri

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Si diventa spettri, teorie invisibili sui palchi silenziosi delle sere d’ottobre. E vetri sporcati dalla pioggia, ingannati dalla luce lieve. Trasparenze, giochi di incauta bellezza. Lucidi, occhi, e labirinti senza entra né uscita. Vortici.

L’eco del tuo sguardo

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Il vetro è trasparente, la verità che si nasconde in una banalità. Il sogno è assente, principe tenebroso delle notti senza stelle, nei colori freddi dell’inverno. Non c’è infamia nel cadere nel luogo comune, nel perdersi in strade senza punti di riferimento. Senza guardarsi intorno, scivolare nella brezza di un mare lontano. Ed è nebbia quella che vedo. La tua immagine è lontana, sfumata tra le pieghe di un autunno di foglie secche e fiumi in piena, tra ricordi lasciati a metà, tra cielo e terra, tra specchio e riflesso. Nulla è certo, nel buio colorato e nell’asfalto di richiamo. E nel riflesso di un lago si vedono i rami, le foglie e l’eco del tuo sguardo.

Intervista a Zibba, autore dell’album “Come il suono dei passi sulla neve”

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Abbiamo pubblicato la recensione del disco “Come il suono dei passi sulla neve” di Zibba e gli Almalibre. Ecco a voi l’intervista a Zibba per la rubrica interchattazioni:

“Come il suono dei passi sulla neve”, un titolo che evoca ricordi, orme, pensieri. Quando ti volti dall’altra parte, verso l’orizzonte, cosa vedi?

Se per orizzonte intendi qualcosa da raggiungere ti dico che sto bene qui, non devo raggiungere nulla. Il mio passo più importante è quello che farò oggi, ma non so dove mi porterà e nemmeno me ne preoccupo. Mi piace sapere che la vita ce la giochiamo giorno per giorno. Ho smesso di cercare di raggiungere qualcosa. Fortunatamente quello che ho mi basta, o come diceva De Andrè… quello che non ho è ciò che non mi manca ecco…

Poi mi volto, spesso. Dall’altra parte, da tutte le parti. Punti di vista. Importantissimi.

In alcune delle canzoni del disco parli sentimenti, non necessariamente d’amore, ma sembri un po’ più cinico. E’ solo una sensazione?

Non lo so, forse a volte. Credo, spesso, di essere più consapevole che cinico, anche se a volte mi riconosco in un bel bastardo. Ma sai cosa, allenarsi alla felicità è un lavoro. Ogni tanto si inciampa su piccolezze negative, ma serve per darsi una sciacquata. Come quando stai troppo al sole e poi hai bisogno di tuffarti nell’acqua gelata per darti uno scossone.

Hai calcato palcoscenici molto importanti, altri più semplici. Quando guardi la gente dal palco vedi sempre gli stessi sguardi?

Direi di si. La gente che ho davanti quando canto è sempre interessata, attenta, gioiosa. Sono fortunato forse, seriamente. Già solo per il lavoro che faccio. Ma anche perchè non rivolgendomi ad un pubblico specifico conosco un sacco di gente diversa, di età diverse e appartenenze differenti tutti uniti dalla stessa voglia di stupirsi, di lasciarsi emozionare dalla vita. Sono una bella squadra di sostenitori, con un sorriso in faccia e la mano tesa verso l’esterno ad afferrare. Mi piacciono.

Il successo ti spaventa?

La fama mi spaventa. Ma non è cosa per me. Il successo a volte è anche piacevole, almeno nelle piccole cose quotidiane. La fama credo sia pericolosa. Ho conosciuto persone che sono uscite dalla fama non per scelta e con una bella depressione attaccata al collo. A me non tocca, perchè non faccio musica con la quale si diventa famosi. Si ha successo. Come un buon artigiano che fa buone sedie, se si lavora bene si ha successo nel proprio campo, e non è altro che appagante per i propri sforzi.

Il tuo nuovo disco contiene numerose collaborazioni importanti, hai un rapporto più personale o professionale con questi artisti?

Con alcuni ci scambiamo bellissimi e lunghissimi abbracci. Con altri ci sentiamo poco ma sempre con gioia e stima reciproche. Non collaboro con nessuno che non sceglierei come compagno di avventure o come commensale per una buona cena. Sono tutte persone meravigliose, capaci di colorare ed illuminare la vita di chi gli sta attorno.

Quanto ti appartiene la splendida “O mae ma”?

Quando mi appartengono tutte le mie canzoni, forse con un pizzico di pudore positivo. Parla di mio padre, di mio nonno, dell’alluvione di Genova e di decine di altre cose che mi riguardano da vicino. Adoro sapere che con me in quella canzone c’è Vittorio De Scalzi. Mi ha regalato una gioia immensa cantandola con me ed è stato prezioso nell’aggiustare il testo in genovese. Un vero maestro a cui devo tanto, e se non altro sicuramente una vita di sorrisi infiniti.

I librai sono ancora sognatori? E tu, lo sei ancora?

Si, sono un sognatore affamato. Ma ci sono istanti in cui magari si perde la forza, e allora mi piace pensare che i sognatori siano i librai, che custodiscono per noi tutte le parole e le frasi di cui abbiamo bisogno. E magari i poeti sono i fornai, che si alzano presto. Che preparano il pane per tutti noi. Forse la vera poesia sta lì. Nella vita stessa. Nella meraviglia del semplice fatto che siamo qui. Non si può non sognare. Sarebbe un tragico errore.

Ringraziamo Zibba per la gentile collaborazione.

Recensione del romanzo “Ti voglio vivere” e intervista all’autrice Rossella Rasulo

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Il romanzo “Ti voglio vivere” di Rossella Rasulo è fresco, frizzante e ricco di immagini che evocano ricordi. Una lettura perfetta per i più giovani  e per chi vuole concedersi una pausa tra sogni e pensieri. La trama è un vortice di emozioni e sensazioni che portano sino all’anima dei protagonisti. E’ la storia di Mel, Simona e Fabrizio, ragazzi semplici, come tanti, ma complessi allo stesso tempo. Amici e compagni di scuola, alle prese con le prime insidie della vita, le rivalità e le storie d’amore, quelle che non nascono e quelle che esplodono all’improvviso e che sanno far male. I primi tradimenti, sfumati nelle emozioni che quando si è così giovani sembrano più pure e intense, e forse lo sono davvero. La narrazione è fluida e coinvolgente. I personaggi sono accattivanti e affascinanti: Mel è fascinosa nella sua complessità, persino nei suoi difetti e nella sua identità che divide con il suo alter-ego: Queen Bee, la protagonista del suo blog. Simona è ammaliante, rivela un carattere forte e determinato, ma la sua anima è sognante e ingenua. Fabrizio è un personaggio in cui è facile immedesimarsi, il classico bravo ragazzo che si innamora di una donna e le regala la sua anima, senza essere ricambiato, almeno non come vorrebbe. Il suo esatto contrario è Max, l’uomo di cui Simona si innamora e che la metterà di fronte a sfumature della vita che lei ancora non conosce.

“Ti voglio vivere” è una bella storia, una bussola che indica la strada, una macchina del tempo in grado di far tornare ai giorni in cui la scuola occupava la vita, in cui ore di lezione erano spesso noiose e in cui i rapporti con i compagni di scuola erano talvolta difficili. E’ un viaggio che lascia un sapore amaro e dolce allo stesso tempo. Fa ripensare agli amori che nascono e muoiono in fretta, giusto il tempo di una rosa, a quando le amicizie sembravano poter essere eterne, indistruttibili. Questo romanzo riesce a far percepire al lettore il senso del tempo, di come si cambia e di quando siano stati importanti quei momenti, che allora sembravano insignificanti, noiosi. Inutili. Tutto ha un senso, e Rossella Rasulo lo racchiude tra le pagine del suo romanzo “Ti voglio vivere”.

A seguire una breve intervista all’autrice:

Mel è affascinante e intensa, un po’ persa nel suo mondo, mentre Simona è più realista e precisa. Come sono nati questi personaggi?

Mel e Simona sono il risultato della mia personalità e di quella della mia migliore amica quando avevamo la loro età. Ma non sono me e lei. Ho preso alcuni lati dei nostri caratteri e li ho ridistruibuiti sulle due protagoniste creando una miscela particolare. 
Mi sono molto divertita nel mescolarci in questo modo. 
E si è divertita anche la mia migliore amica quando ha letto il libro.

Nella tua vita di scrittrice e blogger di successo hai mai avuto una Queen Bee?


No, ho sempre scritto tutto col mio nome. Non ho mai creato un personaggio. All’inizio usavo un nick, come facevano tutti, ma non per nascondere la mia vera identità. Era solo il modo più comune di gestire un blog. 

Max e Fabrizio, due facce di una medaglia, due personalità molto diverse. È un’antitesi voluta?

Non è un antitesi studiata a tavolino. Credo che ogni ragazza e ogni donna incontri nella sua vita entrambe le tipologie di amori e di amicizie. Trovo che siano tutt’e due importanti per crescere, per capire cosa cerchiamo per noi stessi.

Perdoneresti dopo un tradimento?

Dipende. 
Non esiste una risposta universale a una domanda del genere. Per alcuni è sì, per altri è un no categorico.
Nella stessa vita si può accettare un tradimento e condannarne un altro. 
Credo sia solo una questione di buon senso più che di luoghi comuni.

C’è un’anima comune tra “Ti voglio vivere” e “Mi piace vederti felice?”

Un’anima vera e propria non direi, sono profondamente diversi, anche se entrambi affrontano il delicato equilibrio delle grandi amicizie.

Nel tuo romanzo l’amicizia è un valore importante, che forse vince sui sentimenti e sul sesso. Nella realtà è davvero così?

Continuo a credere che niente sia più potente e imperturbabile nella vita come un’amicizia profonda, perché un vero amico resta a prescindere da quel che succede, mentre un amore, a volte, non sopravvive ai cambiamenti e al tempo.

Qual è la tua posizione nei confronti delle droghe leggere?

Non amo gli stati d’alterazione, tantomeno le dipendenze. Anche solo l’idea di dipendere fisicamente e psicologicamente da una sostanza mi infastidisce. 
Ma è un mio personale modo di vivere.

Uno scrittore serio e preparato deve lavorare molto per farsi conoscere e farsi leggere, così come fai tu, cosa pensi dell’editoria low-cost, che spesso sacrifica qualità a favore della pubblicità?

Ne penso male. Che altro potrei pensare? 
Non mi piace questo lento e progressivo sistema che sta abbassando la qualità di qualsiasi cosa (nell’editoria, nei programmi televisivi, nel giornalismo). 
Non credo che sia compito esclusivo della narrativa quello di educare, ma arrivare addirittura a diseducare mi pare eccessivo. È un vero peccato.