Recensione del film “Lincoln”
“Lincoln” non è un semplice film storico, ma un vortice che mostra le contraddizioni della politica in una veste nuova e terribilmente attuale. Steven Spielberg, regista della pellicola, mette in scena il presidente Abramo Lincoln, approfondendo le sue caratteristiche, da quelle pubbliche a quelle più intime e profonde. L’interpretazione dell’attore Daniel Day-Lewis è impeccabile e attrae con la recitazione delle storie raccontate dal presidente, con i gesti e i silenzi del Presidente, guidando così gli spettatori nelle sue scelte difficili scelte politiche. D’altro canto dal punto vista storico il protagonista è l’uomo che ha guidato gli Stati Uniti d’America durante le rivolte degli schiavi e che ha fatto la storia e per molti versi è la storia stessa. Il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America ingaggia un vero e proprio duello con i confederati per far approvare il terzo emendamento, quello che abolirà una volta per tutte la schiavitù nei neri in America. Una corsa contro il tempo e contro le fazioni che non volevano che l’emendamento passasse. Una storia commovente e forte, profonda e intensa, che sfrutta gli eventi storici e la complessità del protagonista di questa storia e della storia in generale. Regia, luci e interpretazioni degli attori sono ingredienti ottimi per un film da vedere, che fa riflettere e sperare. Gli accordi, la filosofia di quello che per molti è stato un tiranno e per altri un amato statista, rendono questo film bello e appassionante. Forse difficile da comprendere, poiché ci vuole molto impegno per entrare nell’ottica giusta, ma che senza ombra di dubbio si rivela un capolavoro. Un gran bel film.
Recensione del romanzo “Saltatempo” di Stefano Benni
Saltatempo è un ragazzo, poi un uomo. Una trasformazione del protagonista che corre di pari passo con quella dell’Italia dalle contraddizioni di una nazione appena uscita da una guerra a quelle di un comunismo spesso ambiguo, sino alla nuova politica che sfocia nella corruzione. L’autore è Stefano Benni, che riesce a raccontare le mutazioni di un territorio e insieme di una cultura, che da rurale diventa sempre più cittadina, con tutto ciò che questo comporta. L’avvento dell’arrivismo, del cinismo e contemporaneamente delle prime scoperte, dall’amore alla droga, dal sogno alla morte. Saltatempo può muoversi nel tempo con il suo orobilogio e sapere come le cose andranno a fine, tra figure epiche e metafore ben studiate, il romanzo si sviluppa in maniera sapiente e oculata, raccontando un mondo, più mondi e scavando nella psiche e nelle paure dei protagonisti. E’ un romanzo per sognatori, ma che lascia in fondo anche tanta amarezza. E’ una storia che fa capire quanto l’uomo ha svenduto per raggiungere soldi, successo e un fantomatico progresso, che poi fa perdere il senno, l’anima, e alla fine anche la speranza. Questa però non muore mai davvero, ma rivive, come nelle anime che abitano i boschi, le montagne, come le idee che si rianimano, proprio quanto tutto sembra finito. Alla fine è solo il senso della vita, delle piccole cose, del credere negli ideali senza lasciarsi trasportare. Lo sviluppo di un territorio che diventa metafora della crescita di un uomo, che scopre se stesso anche oltre il male e forse nel male stesso riesce a trovare il senso dei propri desideri. Saltatempo è certamente un romanzo semplice e complesso allo stesso tempo, che mette le basi e le distrugge, che fa sognare e allo stesso tempo morire. Il tutto sembra insegnarci che non bisogna mai smettere di credere nelle cose, nelle idee, nei sogni, nella speranza di un mondo migliore, di una politica corretta. E di tutto quello che questo può provocare, l’eterna guerra tra il bene e il male che purtroppo talvolta si fondono senza riuscire a intravederne i confini. Cosa resta? Il senso più profondo delle cose: la vita.
Recensione di “1Q84” (integrale) di Murakami Hakuri
Ho raccontato i primi due libri di questo romanzo in una precedente recensione, ma con il terzo e conclusivo libro posso descrivere questa storia nella sua interezza. “1Q84” è come un vortice. Un mondo parallelo in cui si rimane imprigionati. Si soffre e si gioisce assieme ai protagonisti Aomame, Tengo e Fukaeri. Un intrigo che si ingarbuglia pagina dopo pagina e atmosfere misteriose e a tratti mistiche sono gli ingredienti di un romanzo particolare. Lo stile di Murakami è originale e sfoggia una cultura certamente differente da quella che siamo abituati a trovare nella letteratura contemporanea, perché sembra di immergersi in una realtà epica, seppur ambientata ai nostri giorni. C’è un mondo che si percepisce sin dall’inizio e che diventa parte del lettore, come se questo libro possa ipnotizzare con la forza di frasi e parole costruite con maestria, sapienza e una grande pazienza. Ci sono scene e immagini che ritornano, che arricchiscono un quadro, quasi fossero particolari e sfumature che rendono il senso complessivo ancora più intenso e coinvolgente. Sono pochi i casi in cui ci si imbatte in fenomeni letterari come questo, quindi è necessario entrare in questa dimensione per capirne il senso e assaporarne il contenuto. Una storia avvincente, che risveglia la curiosità e le emozioni, e che, non in ultimo, fa riflettere grazie alle metaforiche divagazioni che l’autore crea e plasma. Ci sono colori sensuali e riquadri agghiaccianti che si susseguono senza fine. Una girandola di sensazioni che scivolano via, pagina dopo pagina. C’è passione e amore in questa storia, c’è pathos e cinismo, c’è il male e il bene che lottano, c’è il male dentro e quello che insegue i protagonisti. C’è una guerra inconsapevole. Quella di Murakami è una narrativa ad altissimo livello che non si può fare a meno di leggere. “1Q84” è un libro nel libro, un mondo in un altro mondo. Forse questo libro rappresenta proprio il mondo.
Un ottima lettura, complessa, fantasiosa e spietata, ma allo stesso tempo accattivante e provocatoria.
Il freddo
Il freddo annienta l’anima.
Lo fa scrutando ogni pagina,
bianca, come deserto.
Ricalca i bordi incerti,
scava fino in fondo, e osserva,
i passi svelti delle parole.
Stringi i denti, rifletti.
E sui vetri scivolano gocce.
E un nome sul vapore.
Le tracce si rincorrono.
A ogni istante, un tempo,
A ogni tempo, un cenno.
Il freddo ferma ogni cosa,
per ore, mesi, anni, forse.
Congela anche il vento.
Un soffio leggero e fragile,
mentre scrivo sulla condensa
dove sei.
Recensione “Banana Split” dei Rekkiabilly
Ci sono generi indimenticabili, che riecheggiano tra le onde sonore dei ricordi e ci sono gruppi che sanno farli rinascere. Ed è il caso dei Rekkiabilly. Sin dalla prima traccia, “6×6”, si sente odore di Rock’n Roll, una pura esplosione di energia e vitalità. Un suono in cui la melodia dei fiati e delle chitarre si fondono e danno vita a brani affascinanti, ricchi di forza e determinazione. E’ ironica e coinvolgente “L’astronauta”, mentre un’altalena di giochi di parole e metafore si può ascoltare in “Sisma”. “Banana Split” ha uno swing contagioso, arricchito da un testo sarcastico e altamente metaforico. “Lulù swing” ha un’anima jazz , come d’altro canto tutti i pezzi di questo album, e una musicalità intrigante percepibile sin dalla prima nota. “Notte, notte, notte” è un inno, una dedica al sapore notturno che i musicisti ben conoscono, il tutto immerso in un ritmo tra swing e blues. “Mezza notte di fuoco” riprende il tema portante del disco, il rock n’roll, con ritmo e suono elegantemente distorto delle chitarre, così come accade in “Il compare”. Energia, sound coinvolgente, e ironia sono gli ingredienti di “La pensione”. “Questo è rock’n roll” è un pezzo il cui titolo dice tutto ed evoca le atmosfere del disco, che si chiude con l’avvolgente e quasi prepotente “Toast e caffè arrosto”. In questo album si possono ascoltare canzoni curate, con arrangiamenti attenti e suoni coinvolgenti. Le melodie dei brani sono attraenti e trascinano con ritmo e vitalità che si sposa con l’eleganza delle interpretazioni dei musicisti e del cantante. Nei pezzi non si può non notare un uso intelligente della metafora e del gioco di parole rende il tutto ancora più intrigante. “Banana Split” è un disco interessante e certamente da ascoltare tutto d’un fiato. Adattissimo agli amanti della musica a trecentosessanta gradi. Per intenditori e per chi vuole lasciarsi trascinare da una musica elettrizzante.
Recensione “Chiamatemi Aiva” di Mc Ivanhoe
Ivanhoe, per gli amici Aiva, presenta il suo disco “Chiamatemi Aiva” in una doppia veste, street album e Studio version. Li differenziano la tipologia delle basi, più americane nel primo e più classiche nel secondo, ma i risultato è in entrambi i casi è una musicalità curata, un sound attraente e ottimamente costruito. Alcuni pezzi sono particolarmente commerciali, mentre altri ricalcano stili più cari all’hip hop da strada. I temi affrontati sono tanti, da quello della morte come nell’intensa “Esiste un posto”, a quelli più frivoli come in “Vip”. Ci sono anche canzoni in cui i protagonisti sono i sentimenti, ne sono un esempio “Principe de mio Barrio” e “Il nostro libro”, orecchiabili e incisive, anche grazie al ritornello cantato dalla voce femminile. “Ancora una volta” è un pezzo amaro, sofferto, e che si lascia ascoltare. Retrogusto difficile da capire, ma che fa riflettere. “Aiva” ricorda l’hip hop riportato in auge da Fibra, ricca di riferimenti ai rappresentanti hip hip più famosi.
“Hopeless” racconta speranze, amarezze, e la voglia di raggiungere i sogni, le proprie speranze. Flusso di pensieri difficili e voglia di reagire. Sogni. “Quando sto sul beat” è un pezzo che trascina, ballabile, anche grazie dalla base dance. Inizia con una citazione di una famosa canzone di Fabri Fibra “Un’altra strada” e come in quella canzone anche qui si racconta la difficoltà di trovare una via d’uscita con la musica, con la propria passione. “L’ultimo angelo” è un pezzo amaro, con una melodia soffice e dura allo stesso tempo. La vita è difficile, e questo traspira dai versi scritti da questo artista. Odio, strade abbandonate, poche chance da giocarsi, “Un salto nel vuoto” è questo, un affronto alla vita e alle sue difficoltà. Una guerra a suon di note. La chiave di questo album è nella canzone “Questa musica”, ed difficile da accettare. L’hip hop commerciale che si sente in radio ci ha ormai abituati a qualcosa di diverso, e spesso ci cado anche io nel pensare a quello come al rap. Ma la verità è che l’hip hop è la musica che nasce dalla vita di tutti i giorni, dalla voglia di affrontare i giorni tutti uguali, di combattere la rabbia che ci imprigiona. La musica deve essere questo, ed è ciò che Aiva racconta. Sound curato, basi a tratti commerciali, ma che arrivano dritte all’obbiettivo. Comunicare. C’è voglia di arrivare e lo si sente chiaro in “Io non ho” (presente solo nella versione street). Tra i rapper emergenti Aiva ha le carte in regola per arrivare, è orecchiabile e musicalmente capace, sa certamente raccontare la vita. Se fosse un cantautore non avrei difficoltà a definire le sue canzoni complete, ma Aiva è un rapper, e da lui ci si aspetta, oltre alle storie, anche quella dose di “cattiveria”, quella buona ovviamente, quell’essere politicamente scorretto che tanto attira in questo genere musicale e che potrebbe conquistare ancora più pubblico. Detto questo, l’album è bello e si fa ascoltare. La speranza è quella di risentire Aiva sugli stessi palchi di Emis Killa, Ensi. Aiva è decisamente più bravo di Fabri Fibra, quindi le citazioni non sono affatto necessarie. Aiva può trovare una sua identità e differenziarsi da tutti gli altri rapper della scena, deve solo tentare di “osare” un po’ di più e il gioco sarà fatto. Questo artista è umile e bravo. Lo vogliamo il migliore, quindi come tutti i migliori, solo un po’ più dannato.
Recensione “Blank Times” di Fausto Rossi
Lo stile espresso da Fausto Rossi è raffinato e intimo. Canzoni particolari, come la ballata dal sapore rock e malinconico “Tu non lo sai” raccontano la storia di questo autore. Melodia avvolgente e voce coinvolgente in “Stars”. “Sogni” ipnotizza con chitarre distorte e parole criptiche mentre un sound particolare, moderno e innovativo esplode in “The Hill” e quasi nella quasi sperimentale in “I write aloud”, un pezzo che appare forte e tormentato. “Names” e “Can’t explain” sono ottime ballate, orecchiabili e intense. “Il vostro mondo” si aggrappa a uno stile classico e innovativo allo stesso tempo, che sperimenta emozioni e le racconta. Parole come suoni distorti e graffianti, temi ricercati. “Non ho creduto mai” racchiude una grinta e una passione per la musica e per la vita che non si può ignorare, una guerra che le note placano, una notte che la musica riaccende, un’anima che grida il suo nome, che ulula a una luna distratta. “Down down down” culla, con una musicalità che entra sottopelle, lenta e inesorabile, forte e profonda, come onde che scavano in fondo all’anima. Struggente e passionale. Parole immerse nel calore di un momento. I pezzi di Fausto Rossi racchiudono tante emozioni, suoni vellutati e talvolta devastanti, brividi che si rincorrono. Echi di suoni lontani, espressi da chi conosce la musica. E si sente. Una miscela che raccoglie sonorità di un rock più classico e le fa sposare con sonorità al limite dello sperimentale. Un’anima dannata forse, quella di Fausto Rossi, ma che sa quel che fa e dove vuole arrivare. Una storia che parte da lontano e un presente che si fa sentire, chiaro e forte come un ruggito di un leone che ha ancora tanto da dire. Musica ottima e di qualità, senza ombra di dubbio. Un ottimo artista che propone un ottimo album, “Blank Times”.
Recensione dell’album “Luca Loizzi”
Fare i cantautori esige capacità e conoscenza del mezzo espressivo, oltre a una buona dose di volontà di osare. Queste caratteristiche sembrano non mancare a Loizzi, che regala un album ricco di spunti interessanti. Lo si capisce già dal primo pezzo “Quando meno te lo aspetti”, graffiante, aggressiva e attuale, e in “Tutti quelli”, in cui Loizzi presenta un quadro quasi agghiacciante di una società spesso ipocrita, che vende sogni già infranti e costruisce la propria immagine a tavolino. Giochi di parole e atmosfere che somigliano più a uno sfogo in musica contro un sistema che brucia le speranze in “Che fastidio”. Cinismo che si scaglia contro la morale cattolica e in generale contro l’ipocrisia. Nell’album ci sono anche momenti più introspettivi, ed è il caso del pezzo “Via Ripamonti” in cui le divagazioni sulla vita e sul senso delle cose diventano una ballata con ritmo e trasporto. In “Taglio la corda” Loizzi racconta un’Italia senza dignità e nome, da cui scappare. Ancora momenti in cui l’amore diventa canzone. “Pillole” è una valzer struggente, che racconta di una donna che è andata via. C’è la speranza di ricominciare con i resti di ricordi di un amore che non vuole morire, un amore per una donna che non si riesce a odiare. “Di notte” è una ballata che ricorda quelle di Vecchioni. Anche “Il pazzo” ricorda la musica d’altri tempi, un po’ Gaber, con parole attuali. Atmosfera soffusa in “Milano”, sfumature di una città che si sveglia e che torna viversi, con le sue idolatrie e i suoi sogni. Un album pieno di ironia, sarcasmo. Polemico e intrigante, che mette al centro il pensiero, le parole e le idee. Ed è un’ottima cosa. L’album omonimo “Luca Loizzi” è da ascoltare più volte, soprattutto per capirne bene i contenuti. La musicalità ha origini nel jazz, folk e tante altre contaminazioni che portano uno stile cantautorale di tutto di rispetto. Ci sono tante contaminazioni, ed è giusto così, ma ora ci aspettiamo un salto per raggiungere un grado di unicità e che permetta all’autore di prendere una posizione stilistica certa e determinata, staccandosi così da quella che è l’impronta dei cantautori italiani storici. Non è facile, ma Luca Loizzi ha tutte le carte in regola per diventare unico nel suo genere.
Intervista alla scrittrice Barbara Baraldi
Barbara Baraldi è una scrittrice di successo, autrice di numerosi romanzi di successo come Scarlett e “La bambola dagli occhi di cristallo”, esponente di primo piano del thriller gotico italiano, poliedrica e fantasiosa. Le abbiamo posto alcune domande ed ecco l’intervista che gentilmente ci ha concesso:
Nel romanzo descrivi una Bologna quasi lugubre, ma tra le righe traspare un sentimento intenso. Che rapporto hai con questa città?
Amo Bologna e ho cercato di svelarne i lati oscuri e le contraddizioni fino a renderla quasi uno dei personaggi del romanzo, una dark lady dalle mille sfaccettature.
I personaggi principali di questo romanzo sembrano combattere prima di tutto con se stessi, un conflitto difficile e profondo. Cosa c’è di te nei tuoi personaggi?
In realtà pochissimo. Mi sforzo di seguire la voce dei personaggi, di lasciarli sbagliare e di illuminarne forze e debolezze per renderli vivi, capaci di respirare.
Nella tua carriera di scrittrice riesci a spaziare tra thriller, romanzi per i ragazzi e fumetti, qual è il tuo genere preferito, quello in cui riesci a trovare maggiormente la tua vera anima?
Scrivo quello che mi piacerebbe leggere, senza pensare al genere. In effetti, molti adulti leggono i miei romanzi definiti “per ragazzi” e a volte le storie più cupe sono diventate le preferite dei giovanissimi. Cerco di raccontare una storia e di farlo al meglio.
Quanto è importante lo studio per riuscire a diventare un bravo scrittore?
In realtà penso che la cosa più importante per diventare un bravo scrittore sia leggere. Tanto, e senza escludere nessun genere.
Nel noir l’omicidio è un fattore molto importante. Secondo te perché questo argomento è così attraente per i lettori? Cosa pensi del fenomeno televisivo della spettacolarizzazione degli omicidi reali?
Si tratta forse di quello che Stephen King definisce “allenarsi alla paura”. Leggere di omicidi e orrore quotidiano aiuta a scacciare l’ansia nella vita reale.
Per sfuggire alla spettacolarizzazione degli omicidi reali ho smesso addirittura di guardare il telegiornale. Seguo l’informazione in rete, dove si danno notizie senza banchettare sui dolori della gente.
Nel tuo romanzo si nota una grande attenzione per l’esaltazione della femminilità, quanto ti appartiene questo aspetto?
La femminilità per me non sta nell’abbigliamento sensuale ma piuttosto in uno sguardo, nella consapevolezza della propria forza femminea, nell’esaltazione della propria essenza. Ogni donna è bella, in quanto unica.
Ringraziamo Barbara Baraldi per la gentilissima collaborazione.