Ascoltarmi
Indosso una maschera, e un sorriso di specchi. Parole silenziose, e occhi, velati. Il tempo ha il colore delle nubi, poco prima che la notte si addormenti. E’ l’alba, e l’aria sa di stelle, ed è la luna. Ad ascoltarmi.
Indosso una maschera, e un sorriso di specchi. Parole silenziose, e occhi, velati. Il tempo ha il colore delle nubi, poco prima che la notte si addormenti. E’ l’alba, e l’aria sa di stelle, ed è la luna. Ad ascoltarmi.
Abbiamo recensito il romanzo L’Eretico e posto alcune domande all’autore Carlo A. Martigli.
Ecco l’interchattazione:
Nel tuo ultimo libro tratti un tema complesso, quanto ti è costato in termini di impegno e come hai gestito la fase di reperimento delle informazioni?
In tutti i miei romanzi, L’Eretico compreso, il lavoro di preparazione è lungo e procede insieme alla stesura del romanzo. Più o meno su dieci ore di lavoro almeno otto le impiego per ricerche, che significano anche viaggi nei luoghi che racconto e biblioteche universitarie alla ricerca delle fonti. Ma la ricerca più lunga è quella che faccio al mio interno, per scoprire le emozioni, i sentimenti e le passioni che cerco poi di trasferire nella storia che racconto.
Affronti con molto impeto il tema per rapporto con le tre religioni, e con Gesù. Tu che rapporto hai con lui?
Io sono un fan di Gesù e L’Eretico è come se fosse dedicato a lui. Come uomo, per le cose che ha detto, per quella carica rivoluzionaria che lo ha visto contrapporsi alla vecchia legge dei suoi padri, per l’esempio continuo e assolutamente attuale del suo vangelo, con la “v” minuscola, cioè il suo annuncio. Lui è stato un vero “eretico” ovvero uno che ha scelto di combattere la sua battaglia. Fu lui a esempio che disse per primo che è la legge che deve adeguarsi agli uomini e non viceversa, in pratica dando alla giustizia il predominio sulla legge. Più rivoluzionario di così…
Molti romanzieri ipotizzano spesso una continuità dell’Ordine dei Templari o similari, vedi qualcosa di simile in ordini come quello di Malta o negli ordini cavallereschi a cui fa capo la Regina di Inghilterra?
Sono tutte balle. Gli ordini cavallereschi sono espressione del loro tempo, come oggi possono essere, nel bene e nel male organizzazioni come il Rotary o il Lyons. Erano ordini per lo più militari, di monaci guerrieri, come appunto i Templari o i Cavalieri Teutonici, che ogni tanto qualche cialtrone vuole ripristinare. L’unica associazione che, quanto meno nei principi, può ricordare i valori etici degli antichi ordini è la Massoneria, erede spirituale e storica del templarismo. Non certo quella degli affari o della P2, ovviamente, ma quella speculativa.
Ferruccio de Mola, uno dei protagonisti più importanti della storia de “L’Eretico” è una figura enigmatica. Come hai costruito questo personaggio, e quanto c’è, se c’è, di te?
Ferruccio de Mola, come figura storica, è un mio antenato, Ferruccio de’ M’Artigli, un capitano di ventura che combatté al fianco di Robert Stuart d’Aubigny a cavallo tra il XV° e il XVI° secolo. Nel romanzo L’Eretico è un tipico uomo del Rinascimento, diviso tra il pensiero e l’azione, tra l’onore e l’amore, con tutte le debolezze e le virtù dell’animo umano. C’è molto in lui, di me, e anche delle mie idee. E’ come se mi fossi trasportato in quel tempo e mi fossi chiesto come mi sarei comportato.
L’amore svolge un ruolo importante nella storia, è una trasfigurazione dell’amore per la cultura, oppure hai volontariamente evidenziato questo aspetto come rapporto tra uomini, uomo o donna che siano?
L’amore è fondamentale, è il motore della vita, senza di esso la vita stessa non avrebbe senso. E’ l’archetipo da cui discende tutto. Per questo, nonostante l’azione e la storia, in tutti i miei romanzi svolge un ruolo da protagonista. E come dici giustamente non solo nel rapporto tra donna e uomo, ma tra tutti gli esseri umani. Ne L’Eretico, la stessa storia di Gesù, quella mai raccontata in nessun romanzo al mondo, quella degli anni che vanno dai dodici ai trenta, non è altro che un racconto d’amore.
Quanto c’è di vero nella storia che hai raccontato? Mi riferisco al documento principale su cui la storia di base.
Come accennavo prima, non esistono prove certe di quanto ho raccontato nel romanzo, ma vi sono pesanti indizi, e non soltanto storici, che rendono la mia storia molto più verosimile di quel poco, quasi niente, che ci hanno raccontato fino a ora. E che rendono la figura di Gesù e il suo annuncio molto più logico e attuale. Inoltre c’è un fatto straordinario, quasi incredibile, ma che posso dimostrare vero. Possiedo tre pietre, comprate cento anni fa da mio nonno materno nella zona della Palestina, e delle quali ho scoperto l’origine dopo aver terminato L’Eretico. Esaminate da un esperto internazionale e portate in foto per conferma della traduzione nella valle di Ladakh, nell’India settentrionale, da dove parte la mia storia. Sono state scritte in antico pali, in un periodo tra il 1200 e il 1600 e riportano il mantra del Buddah compassionevole, Om Mani Padme Um, spesso riferito al profeta Gesù. Che cosa ci facevano in Palestina più di cento anni fa? Chi le ha portate? Forse il monaco Ada Ta? E’ davvero una strana coincidenza.
Se un giorno venisse scoperto che le tre religioni si fondano sugli stessi principi, secondo te gli uomini riuscirebbero a trovare una forma di pace priva di rivendicazioni?
Che le tre religioni monoteistiche si fondino sugli stessi principi è un dato di fatto, storico e religioso. Il fatto è che gli uomini vogliono manipolare a loro uso e consumo e per i loro scopi le presunte differenze. E non solo oggi, ma da secoli. In nome di Dio, ciascuno del proprio, si sono commesse e si commettono ancora le peggiori atrocità. Andare verso l’unificazione toglierebbe da un mano il potere alle gerarchie ecclesiastiche dall’altro eliminerebbe la scusa di uccidere nel nome di Dio. Porterebbe una speranza di pace, il che sarebbe devastante per un mondo dominato dalle lobby delle armi e della finanza e dei loro intrecci.
Dopo aver letto e scritto dei rapporti tra Papato e Impero, tra Medici e Borgia, come leggi i fatti di attualità legati alle dimissioni di Papa Benedetto XVI?
Una mia amica scrittrice, Sabrina Minetti, mi ha detto, scherzando ovviamente, che è stata la lettura de L’Eretico a convincere Ratzinger a rinunciare alla tiara. Scoprire il passato, indagare su di esso, serve proprio a comprendere meglio il presente. Per cui, la rinuncia di Ratzinger, fatte le differenze superficiali con le lotte di potere che avvenivano all’interno della Chiesa dei Borgia e dei Medici, non sono che l’espressione di altre battaglie. Questo lo ha detto il papa stesso, non io.
In una precedente intervista ci hai raccontato della possibilità che questa storia potesse diventare un film, ci sono delle novità? Ci sono nuovi progetti in cantiere?
Sì, c’è un qualche interesse oltre oceano, qui in Italia il cinema è morto, si fanno per lo più commedie idiote per un pubblico idiota. Dicono che manchino i soldi, ma mancano soprattutto le idee e la cultura. I miei libri sono a Hollywood, in questo periodo, in lettura e questo mi fa molto piacere. Ma, come dicevo, tra l’apprezzamento e la realizzazione, c’è di mezzo il mare, anzi l’oceano. La differenza tra qui e gli Usa e che nei paesi anglosassoni il gusto della lettura intelligente e divertente è molto superiore al nostro. Leggere rende liberi, noi leggiamo poco, ed è per questo che ci meritiamo anche i risultati di queste elezioni, che sembra il caos che precede ogni disastro e ogni dittatura.
Ringraziamo Carlo A. Martigli per la gentile collaborazione.
L’album “The Quite Riot” degli Ordem accompagna l’ascoltatore verso sonorità d’altri tempi sin dalla prima canzone “No Life”, al rock melodico con retrogusto malinconico portato al successo da gruppi storici come Gun’s Roses e U2. Proseguendo nell’ascolto c’è “The scent of lights”, una ballata ricca di melodia, rock semplice e puro, senza troppi fronzoli. Il brano “The quite riot” è veloce, con bellissimi virtuosismi di chitarra elettrica, costruiti sulla base melodica ben studiata. “Essential” sembra essere l’aggettivo perfetto del rock degli Ordem: essenziale. Musica che si fa ascoltare e che affascina. L’intro di “Instant’s mind” ricorda il suono dei Dream Theatre, anche nel suo quasi malinconico incedere, in cui la voce rompe il giro di accordi e ha inizio una canzone ricca di atmosfera. “Surrenders to rise” accompagna come durante un viaggio in auto, lungo strade perse in aperta campagna, mentre lontano si intravede un sapore nuovo, dimenticato. “Brand new song” è un brano che si immerge in un’atmosfera energica, con un ritmo che trascina, mentre “Shine on”, sembra rallentare il corso dell’intero album, come volesse far riflettere. Il tempo è più lento, la voce più soffice. Riflessiva. “Everything” riporta con un rif ben studiato a un pezzo grintoso e graffiante. “Mayf” e “Edges” rappresentano un rock, forse più classico, ma sempre accattivante, come d’altro canto tutti i pezzi del disco. “Us” si apre con un rif intimo, suadente ed è così che nasce una canzone quasi sussurrata, che raccoglie sentimenti, emozioni e un profumo che non smette mai un attimo di essere rock. L’album si chiude con “Waterlily”, che mantiene lo stile affascinante degli Ordem, richiami anche in questo caso al rock melodico e passionale che sembrava svanito, ma che questo gruppo ripresenta e lo fa molto bene, riuscendo a mantenere un cuore rock che pulsa, su melodie e sonorità moderne e rivisitate. Un salto nel tempo, e un ritorno alla realtà, malinconia ed energia, rabbia e passione, i punti cardine della musica. Del perdersi e, alla fine del viaggio, ritrovarsi, magari sorridendo di fronte a un tramonto, alla fine di una lunga giornata, di musica.
L’album “Adieu Shangri-la” è ricco di sensazioni e atmosfere piacevoli, di pezzi intensi e profondi e musiche avvolgenti.
Il brano “Fatemi respirare” richiama influenze alla De Gregori, una musica che si perde tra poesia e rock melodico, con un testo che è a tratti provocatorio, certamente intenso. “Sexyroad” sembra ricordare le ballate di De Andrè e allo stesso tempo incantare con atmosfere americane, tra asfalto, polvere e pensieri che rincorrono una sensazione di confusione, dentro. E’ la ricerca di se stessi, delle cose importanti lasciate alle spalle. “C’era” è una ballata impegnata, una storia che incanta e si fa strada dentro i ricordi. Un racconto al ritmo di un tempo lontano, eppure ancora troppo vicino. “Canzone per Chico” è una canzone lenta, quasi inesorabile, come il viaggio in treno, nel tempo, oltre il tempo. Fermarsi a una stazione e guardare il cartelloni degli orari, ma non ci sono scritte, solo la certezza di un altro viaggio. “Oh Susanna” racconta invece un rock sanguigno, con leggere contaminazioni country, una storia appassionata e intensa, con immagini e personaggi degni della narrativa di viaggio. Il brano “Armaggeddon” possiede un bellissimo sound, una ballata brillante e con un ottimo arrangiamento. Un viaggio, una storia. “Oggi” è un pezzo intimo e introspettivo, che parla d’amore, di emozioni e scatta istantanee di istanti rubati e di parole lasciate a metà, di sguardi che rimangono indelebili, nonostante il tempo e le cose che cambiano. Il tema di “Stracci inutili” è dimenticare, lasciare tutto alle spalle. Ricominciare. E’ un pezzo che racconta come rialzarsi, cercando la forza dentro. “Cerchio di fuoco” racconta una fuga, dai o nei ricordi, come in un gioco, aspettando che qualcuno faccia la prima mossa. E’ la storia di un’attesa, forse, di un’eternità. “Adieu Shangri-la” è la canzone che regala il titolo all’album. Come una canzone d’amore, come un addio leggero, senza dolore. Come la malinconia sulle note di diamante e nuvole. Un’estasi senza tempo. Una sfumatura che costruisce un colore, una melodia che vibra al suono dei ricordi.
L’album di Ugo Mazzei è bello da ascoltare, ha richiami a molta della musica leggera italiana, soprattutto a quella cantautoriale. Da De Gregori a De Andrè, passando le Guccini, i testi sono raffinati e ben costruiti, la musicalità e gli arrangiamenti sono molto curati. Un bel disco.
Pico della Mirandola è morto prima di portare a termine la missione di unificare le tre grandi religioni. Mentre Firenze è scossa dalla peste e dai sermoni duri di Savonarola, a Roma la famiglia Borgia cerca, tra lussi e perversioni, di consolidare il potere del papato, accettando l’alleanza con gli odiati Medici, a loro volta pronti a tornare a capo di Firenze. Nel mezzo di questa guerra c’è un uomo che ha ereditato la missione di Pico della Mirandola, è Ferruccio de Mola, che con compagna Leonora, lotterà per difendere un segreto, una donna e un libro misterioso, che contiene una storia capace di cambiare il destino della chiesa di Roma e di tutto il mondo. Una storia intrigante, misteriosa, che ha origini lontane e che l’anziano monaco Ada Ta e la sua discepola Gua Li sveleranno a Ferruccio. L’eretico è un romanzo che va oltre il thriller, documentato dal punto di vista storico e curato da quello narrativo. Una storia ricca di spunti e riflessioni che trascina il lettore attraverso intrighi papali, inganni e inseguimenti. Riesce a raccontare uno dei segreti e dei misteri storici più importanti, svelando un enigma e allo stesso tempo parlando all’anima e al cuore. La tecnica e la potenza della documentazione rendono questo libro un’opera importante e una scoperta narrativa. Degno seguito di “999 – L’ultimo custode”, “L’eretico” estende e approfondisce l’idea dell’unificazione delle tre grandi religioni. Carlo A. Martigli è un autore intenso e raffinato, che racconta le passioni, i tradimenti e le perversioni dei Borgia e dei Medici e l’amore incantato di Ferruccio e Leonora e ci permette di fare luce su molti aspetti poco conosciuti della storia. Insegna e intrattiene in un vortice che conduce alla scoperta di uno dei segreti più importanti dell’uomo. Un romanzo da non perdere.
Il tema profondo su basi trip pop è senza dubbio qualcosa di originale. Sin dal primo pezzo vengono affrontati argomenti complessi. In “Chiudete bene la porta” si racconta dell’equilibrio tra le tre grandi religioni e l’ipocrisia umana. “Due sentieri” è una ballata in cui spicca il duetto con Tiziana Rivale, in un viaggio interiore e intimo. “Dogma” si muove su una base elettronica ipnotica a evidenziare le debolezze dell’uomo e le sue fragilità senza cura possibile. “Io sono la vittima” è un pezzo la cui atmosfera attrae e invade in una forma rude quanto ancestrale. “Chinacrack” è una ritmica evoluzione con uno stile particolare, tra funk ed elettro-pop. Il testo è misterioso ed ermetico. “Parole che sfuggono alla voce” unisce parole criptate su melodia lenta e inesorabile, mistica. “Non votare per me” è un’esortazione, è un’idea, un vortice di pensieri che si inabissano. “Giù dal cielo” è come una messa lanciata nell’aria, un’evocazione di un male oscuro, che uccide, che logora le anime. E’ Guerra. “Il ventre dell’anima” è un brano mistico, un sorso d’anima e incanto metafisico. “Nabouf” porta avanti l’idea principale del disco, in un quadro immerso in atmosfere misteriose e sussurrate, come un loop che si allontana per tornare, ossessivamente. “Non mi svegliate più” colpisce per il ritornello orecchiabile e intenso, come un grido antico che si erge sulle musiche elettroniche e moderne. “Mengele’s nightmare” ha un ritmo ossessivo e incalzante, suoni lontani riecheggiano tra urla infernali. Un incubo nel suono e nell’anima. “Vorrei parlarti di me” è un verso poetico, recitato con ritmo struggente. “Writing Cleopatra” è il pezzo strumentale che chiude il disco. L’album “Kapytalysty vyrtualy” è particolare, con sonorità elettroniche e ipnotiche, i testi sono mistici ed ermetici. La miscela di queste caratteristiche genera un sound ossessivo e martellante, che riempie l’aria di suoni e parole, che taglia a metà la calma e riesce a far riflettere su temi complessi. Non si può dire sia un disco commerciale, anzi, è di nicchia e di difficile comprensione, ma ha proprio in questo la sua particolarità. Atmosfere e temi che ricordano le opere di Battiato, suoni che riportano a melodia moderne, dal trip pop al drum’n’bass. Originale.
Willie DBZ mastica il rap da una vita. E si sente. Il sound proposto da questo artista ha radici antiche. Lo si capisce sin dallo stile raffinato dell’intro del disco che ci accompagna al primo pezzo “Cerco Ossigeno”. Lo stile hip hop sembra richiamare l’anima che ha generato il suono dei primi OTR e Sottotono. I testi hanno una forte matrice sociale su melodie orecchiabili e beat ben costruiti. “Siamo messi male” è una canzone che fa il punto sul mondo della televisione e sui relativi contenuti scialbi quanto finti. ”Cloni” è un amaro attacco a un sistema robotizzato, costruito per controllare l’uomo, la cui natura è quella di vendersi, di sporcarsi per restare a galla. Il brano “Abbassa la cresta” è ricco di tecnicismi e istinto. Sapore antico di denuncia sociale miscelata alla voglia di emergere. Interessanti i pezzi strumentali “Relax dopo la Jam”, “Attimo di lucidità” e “Pronti per un nuovo inizio”. “Amarcord” parla di storie di vita nella musica Hip Hop. Uno sfogo amaro e duro allo stesso tempo, da cui però trasuda la voglia continuare a lottare. L’album prosegue conservando il sound che è rimasto nell’anima di chi ha amato l’esordio dell’Hip Hop in italiano. “Limiti” racconta delle leggi e del loro contrario, della trasgressione necessaria per ribellarsi. La ricerca della vera anima, nella musica, nella vita. Nel contrasto. “Indecisi della domenica” è uno scontro con la morale comune, con l’indecisione e con il quieto vivere. La scelta sembra essere l’unico modo per eludere questa assurda forma di auto-sorveglianza. “Punto di massimo” racchiude la rabbia e l’inevitabile reazione. Dura presa di posizione sul come affrontare la vita. E’ Lotta. “14 anni dopo – Toscana Bomberz” è una raffica featuring che si intrecciano. Rapper toscani con i loro versi che si scagliano sul beat. “Trentasette” è l’immagine di una storia tra Hip Hop, rabbia e vita. Una sfida raccontata a suon di versi. L’Hip Hop di Willie DBZ è raffinato e sanguigno allo stesso tempo, è storia e innovazione. L’anima si sente. Scorre sangue Hip Hop nelle vene. C’è rabbia che resiste a tutto, alla crisi, alla rassegnazione. Alla storia. In questo disco ci sono tutti gli ingredienti necessari che chi ama l’Hip Hop vuole sentire. E’ storia del Rap e della sua nuova origine.
L’analisi del voto di queste elezioni 2013 è difficile e complicata, ma partirei dai primordi. Dopo la seconda mondiale un gruppo di persone che avevano subito il regime fascista e la guerra, ha permesso di dare vita a un referendum per spazzare via dalla storia la monarchia, complice del regime. Ha visto la luce la nostra Costituzione. Dopo quella la spinta, che alcuni definiscono “comunista”, ha portato a tutta una serie di miglioramenti del popolo e dei lavoratori, che hanno iniziato a potersi permettere automobili e vacanze. Il tempo cambiava, così come cambiava lo scenario internazionale, dalla guerra fredda tra Urss e Usa si è passati dal crollo del Muro di Berlino e alla nascita del capitalismo, che sembrava potesse migliorare ancora di più il benessere dei lavoratori, che nel frattempo, grazie ai sindacati, riuscivano a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari. Poi l’Urss è crollata, o meglio si è lasciata trascinare dall’ondata del cosiddetto capitalismo, fino ad arrivare ai giorni nostri. Scenario sbrigativo questo, certo. Ma sufficiente per capire a cosa si aggrappano i partiti come Pd e Pdl, uno scenario antico. Così pare. Ma la verità è che il confronto tra due sistemi diversi, quello americano e quello russo ha dato luogo al sistema italiano, che consentiva competitività e condizioni positive per i lavoratori. Quando la politica ha permesso di dare più spazio a imprenditori diversi da Giovanni Agnelli, a manager senza scrupoli, tutto è cambiato. I diritti acquisiti sono stati lentamente smantellati, così come la speranza. Sono subentrati manager senz’anima, pronti a sacrificare tutto per il bene del bilancio delle aziende. I lavoratori, un tempo uniti, sono stati frammentati e disuniti, obbligati a votare per referendum che imponevano strategie deleterie per i lavoratori. Per tutti i lavoratori. La politica del Pd, del Pdl e dopo del governo Monti ha aiutato questo processo. Fenomeni come quello di Renzi hanno reso ancora più pericoloso l’emergere di teorie a favore di una maggiore flessibilità. La rottamazione non era solo quella dei politici, ma delle ideologie, dei diritti, che sono stati definiti in alcuni casi anche privilegi. Man mano la crisi ha completato l’opera, riducendo al minimo i consumi, facendo perdere la speranza a tutte le categorie, imprenditori compresi. Così “il popolo” ha iniziato a dover rinunciare all’automobile, alle vacanze, e poi ai diritti, il tutto per garantirsi un lavoro, spesso per pochi soldi. I giovani, spesso laureati, costretti a lavorare senza professionalità e soldi, i più anziani costretti a rincorrere una pensione che non arriva mai. Da qui nasce l’insoddisfazione. La paura per il futuro. La rassegnazione. E in televisione i soliti volti hanno giurato sulla ripresa, proposto soluzioni, già sperimentate e sconfitte. Evasori che vogliono condonare l’evasione. Corrotti che vogliono depenalizzare la corruzione. Ipocriti sotto diverse bandiere. C’era voglia di serietà, per una volta. Ma la rabbia ha dato vita, e non da oggi, a un movimento che ha distrutto ogni cosa, con l’idea di ricostruirla. Parlo del Movimento 5 Stelle. Con le coalizioni di centro-destra e centro-sinistra di fatto a un pareggio e con poche idee nuove, quali sono le prospettive? E soprattutto, chi ha votato m5s è consapevole che rimuovere i sindacati equivale a rimuovere la storia, le istituzioni che nonni e genitori hanno conquistato? Gli italiani, che siano elettori di destra, sinistra, renziani, o grillini, sono consapevoli che questo rinnovamento potrebbe portare a una distruzione di buona parte della Costituzione?
Amélie è la vincitrice del Premio Lunezia, briosa, affascinante e musicalmente elegante, riesce ad appassionare con una voce suadente. Amélie ha risposto ad alcune domande. Conosciamola meglio nella nuova interchattazione!
Partiamo dalla vittoria del Premio Lunezia, che soddisfazioni ti ha dato, e quanto ha contribuito a darti ancora più forza per raggiungere i tuoi obiettivi?
Il Premio Lunezia è stata fino ad ora la più grossa soddisfazione ottenuta in campo musicale. Il Premio che viene conferito è sia per il valore musicale che letterario e ciò che viene preso in considerazione è l’artisticità a 360 gradi, per cui vincerlo è stato un grandissimo onore.
Poi l’esibirsi davanti a 15 000 persone sullo stesso palco sul quale salgono grandissimi artisti come Niccolò Fabi, Subsonica, Arisa, Nomadi, Giovanardi ecc è una emozione che mi porterò sempre nel cuore. L’essere stata apprezzata è stato qualcosa di splendido, ti da una maggiore fiducia in te stessa e ti da l’energia per andare avanti e pensare che forse sei sulla strada giusta e ciò che fai può davvero essere apprezzato da molti. Dalla vittoria del Premio Lunezia ho cominciato a capire che ci sono persone che credono davvero a questo mio progetto e che sono disposte a sostenermi con passione e determinazione.
Qual è la musica che ti piace, e cosa ti ha spinta a iniziare a suonare?
Amo tutta la musica, dal pop al rock, dal soul al funky, da tutta la musica anni 80 a quella anni 70, dalla classica all’opera … (l’unico genere che non sento molto è il trash metal) Il mio grande amore è Michael Jackson (che per me rappresenta la Musica e l’Arte) ma adoro anche Noa, Eva Cassidy, i Beatles, I Genesis, gli Air, i Queen, i Depeche Mode, i Muse, Elisa, Battisti, Gaber, Endrigo, Fabi ecc ecc.
Mi ha spinto ad iniziare a suonare il vecchio pianoforte che avevo in casa….fin da bambina ho nutrito grande curiosità per quel giocattolone meraviglioso e a furia di giocarci ho intrapreso questa strada….
Credi che la musica possa essere un modo per reagire al decadimento culturale a cui capita di assistere?
Penso che la musica possa essere un importante strumento di “rivoluzione” e “protesta”, ma anche di pura “poesia” ed “emozione”, un modo per raccontare se stessi e condividere il proprio vissuto con altre persone che potrebbero rivedersi in ciò che esprimi. E’ come se attraverso la musica si arrivasse a rendere “percepibili” cose che stanno in un’altra dimensione….è come toccare e comprendere qualcosa che sta al di la dei nostri sensi, della nostra realtà. E questo in generale è una prerogativa che appartiene a qualsiasi forma di arte… e l’arte già di suo è sempre una necessità di reazione al decadimento culturale.
La tua musica è briosa, affascinante, come il personaggio che presenti al pubblico. Quando scendi dal palco, sei la stessa?
Grazie per l’affascinante e il briosa … io sono una pazza giocherellona ma anche romantica e malinconica e credo che questi due aspetti siano percepibili anche nel tipo di musica che propongo. Sul palco riesco ancora di più ad esprimere me stessa, perché al contrario di quello che si possa pensare, sono convinta che il momento in cui devi toglierti qualsiasi tipo di maschera sia proprio quello in cui sali sul palcoscenico davanti al pubblico…Sono profondamente convinta che solo essendo “vero” puoi riuscire a generare “emozioni”. Infondo la musica deve essere un modo per esprimere sinceramente se stessi, non un modo per costruirsi ed apparire. E’ una forma di comunicazione e mancherebbe di significato se si puntasse sul mostrare qualcosa di diverso da ciò che siamo realmente.
Panorama musicale italiano, secondo te viene dato troppo spazio a mostri sacri che a volte han poco da dire, rinunciando così a puntare su giovani di talento?
Sinceramente penso che in Italia si stia puntando poco sia su mostri sacri che su giovani di talentoL’unica cosa su cui si punta è la spettacolarizzazione televisiva alla quale sono assolutamente contraria. Potrebbe funzionare… ma solo se messa in secondo piano rispetto alla qualità musicale. Oggi si punta più sulla costruzione di personaggi che sul messaggio e sul talento. E puntualmente i personaggi costruiti si sgretolano con il tempo andando nel dimenticatoio nel giro di pochi anni… ed ecco che si parla di crisi della discografia…ma è un discorso complicato, ci vorrebbe un convegno di 1 mese per analizzarlo a fondo
Vedrai Sanremo? Cosa ne pensi di questo spettacolo?
Si almeno la prima serata credo di guardarla. Sanremo è un grande baraccone…che però rappresenta la principale strada per farsi conoscere al grande pubblico anche se più passa il tempo e più sono convinta che non sia l’unica vera chance per tentare di raggiungere qualcosa di importante. Ultimamente a mio parere anche qui purtroppo si sta puntando fortemente sulla spettacolarizzazione lasciando come al solito la musica in secondo piano.
Quest’anno farò il tifo per Simone Cristicchi tra i Big e per Renzo Rubino tra i giovani
Oltre al già citato Premio Lunezia, esistono, a tuo avviso, concorsi canori seri e ancora in grado di far emergere nuovi talenti?
In base alla mia esperienza posso dirti che fino ad ora il Premio Lunezia è stato davvero il top…e lo consiglio a tutti coloro che vogliono vivere qualcosa di “forte” che può dare in qualche modo una buona visibilità. E’ un premio serio, riconosciuto, organizzato con grande professionalità e qualità.
Poi suggerisco anche il Premio Poggio Bustone (Lucio Battisti)…anche questo è un concorso che punta molto sulla musica, organizzato in maniera pulita e pieno di grandi emozioni da vivere.
Mi sono trovata molto bene anche al Biella Festival. Anche se non li ho mai tentati, da quello che ho potuto vedere e sentire, credo siano molto validi anche il Bianca D’Aponte e Musicultura. Queste esperienze in generale penso siano un modo per mettersi alla prova e crescere….anche se in questo momento la mia priorità è il lavoro sul secondo disco.
Concludo chiedendoti qual è, secondo te, la situazione della musica italiana emergente? Ci sono artisti che ti piacciono?
La musica italiana credo abbia due facce:
– quella ufficiale: in grosso decadimento, con scarsa qualità nella maggior parte dei casi, con poca varietà a livello di personalità reali e vere.
– quella ufficiosa e di sottobosco: in fermento, ricca di gente interessante e con belle idee, grande creatività e immensa passione.
(Per cui spero che presto si ribaltino le cose ) Ma sono convinta che oggi con lo sviluppo del web il mondo indie abbia grandi possibilità di sviluppo…ormai sui canali ufficiali passano sempre le solite cose…e il pubblico ha bisogno di altro….la gente sta cominciando a reagire…e in quanto strumento democratico il web da la possibilità alle persone di scegliere liberamente e attivamente ciò che desiderano ascoltare, senza nessuna imposizione discografica….
Tra gli artisti italiani odierni che amo ci sono Niccolò Fabi ed Elisa in primis…
Ringraziamo Amélie per la gentile collaborazione. Se volete scoprire ancora meglio il mondo amelitico, ecco il suo sito web
Davide Geddo è un cantautore che sa toccare le corde giuste, l’avevo capito sin da quando ho sentito per la prima volta “Genova”, ma in questo disco si è superato. E con la complicità di un amore finito ha reso ogni nota un fiume in piena e allo stesso tempo un rivolo leggero in grado di scavarsi una strada in una roccia. La prima canzone dell’album “Non sono mai stato qui” è “Venezia”, struggente, con parole appassionate e forti dedicate a una donna ancora amata, che è fuggita via, un giorno come un altro. Descrive un cambiamento, una trasformazione interiore che, tuttavia, non riesce a far dimenticare. La durezza d’un amore che resta lì, a osservare. Come quando ci si guarda allo specchio e ci si scopre diversi, più tristi forse, ma più forti. “Dicono che io” è una canzone introspettiva, che analizza, studia e alla fine parla al cuore della donna che ti ha infranto il cuore, a tratti con durezza, a tratto con delicatezza. Un pezzo che emoziona, racconta, guarda l’amore da un nuovo punto di vista. “Angela e il cinema” è una ballata dall’animo jazz, blues, amara e dolce, con suoni che si intrecciano a parole che rincorrono in un racconto passionale con sfumature carnali. Le contaminazioni della musica popolare si uniscono ai suoni moderni e passionali di chitarra, violino e batteria, il tutto tra rustico e raffinato. “Tristano” è un valzer popolare, tra la vita che ubriaca fino all’alba. Parole brille e sporche di vino e canti a squarciagola. Una sagra di musica e colori, suoni e canti popolari su melodie avvolgenti. “Stare bene” è una ballata, una passeggiata alla ricerca del senso più profondo di se stessi. Un modo colorato per ritrovare la strada migliore. “Il post amore” è un pezzo travolgente, divertente ed energetico. Un duetto fantastico con la bravissima Chiara Ragnini, che ricama e costruisce trame melodiche funky con la sua voce pura, dolce ed elegante. Una canzone che riesce a dare coraggio. E non è poco. “Equilibrio” è una ballata intima e coinvolgente, emoziona e incanta, con intense parole sussurrate. Soffici come neve. “Dall’amore (interventi di modifica alla viabilità interiore)”, è un pezzo creato come una metafora a suon di musica appassionata e indiavolata. Racconta divagazioni sull’amore, sulla vita, su se stessi, fino all’anima. “La campionessa mondiale di sollevamento pesi” è un dolce richiamo, come persi tra ricordi, lontani, ma che vivono ancora dentro, fanno ombra ai sogni e allo stesso tempo compagnia. In “Piccolina” Geddo sembra richiamare Fred Buscaglione, ravvivandone il sound e rendendolo ancora più dinamico, attuale. Moderno. “Sole rotto” è amara e sognante. E’ un pensiero soffuso, soffice e dolce, che oltrepassa il cielo, la distanza e l’amore svanito.
“Un pugno rotto è una canzone” è un piccolo gioiello. E’ una canzone fragile, delicata e intensa. Non si riesce a smettere di ascoltarla, soprattutto quando ascoltandola ci si sente proprio così, confusi, disarmati. Vittime di quel suono più oscuro. “Nancy” è un pezzo tagliente, ricco di ricordi, passioni che la vita costringe a celare in fondo all’anima. Svela le immagini raccolte come su un album da non riaprire. Un album che si vorrebbe bruciare, senza averne il coraggio. di farlo. “L’astronave di Provincia” è malinconia pura, un amore delicato, che entra senza far rumore. E’ un ricordo lieve, abbandonato tra le pieghe del letto. Un bacio che non si potrà dimenticare, mai.
L’album si conclude la canzone che da il titolo all’album. “Non sono mai stato qui” ha un suono che ipnotizza, che lascia un gusto strano in bocca, che fa sentire come soli di fronti al mare in tempesta, col freddo che entra nelle ossa. Poche luci intorno. E dentro una consapevolezza, ciò che amavi non c’è più. Una lucida solitudine che riesce quasi a far compagnia, diventa parte di te. Ti completa. E mentre il vento continua a soffiare, decidere di tornare a casa. E, forse,di dimenticare.
Un disco da ascoltare e riascoltare, che accompagna, emoziona, sussurra grida. Ubriaca. Un sapore a volte amaro, ma che rimane lì, fa riflettere, sognare e ricordare. I ricordi sono la trama portante dell’intero disco. Ricordi che nascondo lacrime per farsi forza. Per rialzarsi, e non smettere mai di sorridere.
Abbiamo posto alcune domande a Davide:
Le canzoni del nuovo disco sono ispirate a luoghi immaginari, cosa sono per te questi “ non luoghi”?
La musica è una potente macchina del tempo e dello spazio. Consente di rivivere sensazioni perdute o immaginare storie che non si sono potute realizzare. In essa il tempo vola e altera le sue leggi. La canzone non ha la bellezza tangibile di un quadro o di una scultura ma, pur essendo un’arte minore, è l’unico varco temporale che ci permette con la stessa facilità di essere profondamente noi stessi o di immaginarci nei panni di persone completamente diverse. In “Non sono mai stato qui” è mia intenzione sottolineare l’ambigua essenza della forma “canzone” dichiarandone l’assoluta libertà e indipendenza dalla presenza e dall’esperienza che condiziona il quotidiano.
Nell’album c’è una forte componente emotiva e sentimentale, quanto c’è di autobiografico nei pezzi?
Non credo alla musica come esibizione e divismo; credo alla musica come linguaggio, come espressione e come modo di toccarsi. Credo che non si tratti di essere autobiografico in ciò che racconti ma di esserlo in come racconti. Non sono quasi mai al centro delle mie canzoni; mi piace esserne collaterale, magari attore non protagonista. Mi piace essere nei dettagli.
Cosa lega le canzoni Genova e Venezia?
Sono due concetti opposti che finiscono per essere speculari. Venezia è la storia di tutto ciò che non è accaduto tra due persone che si ritrovano dopo un qualcosa che non c’è stato; la canzone inizia con un elenco di situazioni che non si sono realizzate e narra la storia di un viaggio che non si è compiuto. Genova, al contrario, rappresenta un modo di sentire e il forte senso di riscatto che trovo nella musica. In questa logica la bellezza misteriosa e contorta di Genova e quella sognante e unica di Venezia finiscono per specchiarsi come una realtà e il suo sogno.
Le tue canzoni sono come delle polaroid immagini di momenti, quasi scene di un film. Quale di queste fotografie porteresti sempre con te?
La dimensione cinematografica è quella più adatta alle mie canzoni; mi piace accompagnare visivamente dentro una storia, dare un carattere ai personaggi, mi piace romanzare e abbozzare paesaggi. Mi piace essere il regista delle canzoni. In altri casi, e mi viene in mente “stare bene”, il riferimento alla polaroid che tu hai colto mi pare appropriata. Ho i miei tempi nello scrivere; a volte non sono per niente brevi. Ma una volta che sono finiti i brani fanno parte di me e sono sempre con e dentro di me. Non ho scarti; solo idee su cui ritornare.
Quanto conta il mare nelle tue canzoni?
Noi, fortunati, che viviamo il mare abbiamo un doppio orizzonte che si fonde in lontananza. Non si può prescindere da questo mistero che induce umiltà, rispetto e riflessività. Inoltre ho un naturale stupore per tutti quegli elementi naturali che sanno “incantare” lo sguardo come anche il fuoco o le nuvole.
Quali sono gli artisti che ti hanno aiutato a esprimere la tua musicalità?
Per me suonare è quasi l’atto finale e decisivo ma non potrei sentirmi musicista senza essere ascoltatore e appassionato di musica. Lo star system identifica la musica come un mezzo di valorizzazione del talento o, purtroppo spesso, anche solo di contorno ad esso. Ciò ha professionalizzato la canzone ma ha tolto spontaneità, ricerca e spirito di appartenenza; la musica ha perso molto appeal rispetto, per esempio, al computer e alla tv; mondi di cui è diventata componente, perdendo in autonomia e forza. In questo senso collaborare è per me parte stessa dell’essere autore di canzoni. Ritengo di sentirmi dalla stessa parte di chi rivendica per la musica un’autorità e un’autorevolezza che stimoli l’ascolto, aspetto per me sempre prevalente. Da questa parte della barricata mi sento in sintonia con artisti di cui apprezzo l’approccio con la musica e le persone come Zibba, Sergio Pennavaria, Zazza, Michele Savino o Chiara Ragnini, ma la lista per fortuna è lunga e l’unione fa la forza. Di fatto infine è stato molto importante l’incontro con Rossano Villa di Hilary Studio che mi dato sicurezza e confidenza con lo studio di registrazione.
Alcuni dei tuoi pezzi sono ritmati, quasi indiavolati; altri sono più intimi e sussurrati. Quale delle due dimensioni senti più tua?
Vivo la musica come una casa. Ogni tanto sento il bisogno di fare festa, invitare tutti gli amici e passare la serata in allegria; altre volte ho bisogno di rinchiudermi nella mia stanza e parlare un po’ con me stesso. Sento mie entrambe le dimensioni e mi sento a mio agio nello sviluppare entrambe le dinamiche. Non credo che sia il binomio gioia- tristezza a creare un brano che sia degno di essere ascoltato ma so che servono spirito di osservazione, lucidità e feroce autocritica.
Come ti vedi tra dieci anni?
Un po’ cambiato.