Recensione “Pensieri raccolti” di Aliceland

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L’album “Pensieri raccolti” di Aliceland è melodioso, dolce e emozionante. I brani sono intensi e soffici. “Chiamerai” è una ballata semplice e appassionata. Un amore. E le ferite che lascia. La canzone “Immagina” possiede un bel suono di chitarre. E’ un pezzo leggero e melodioso con una voce dolce e sognante. “Pianeti” è una ballata struggente con passaggi lenti e con una profondità di immagine. Lati che si nascondono ed esplodono in un ritornello che vibra. Una storia. “Oltre il vetro” racconta una storia d’amore.  Una prigione di sentimenti, dove la noia uccide senza far rumore.  “Tramonto d’estate regala un suono di pianoforte che si sente in lontananza. Come l’eco dei ricordi. Dei sogni. Tutti dormono. Lei raccoglie pensieri e li racconta. Ascolta. In “Segreti notturni si può ascoltare un bel ritmo e una voce soffusa e melodiosa.  “Let me know” incanta con un bel ritmo, un pop rock attraente e affascinante con un ritornello energetico. “Sacred mountain” è una ballata carica di immagini con atmosfere intense e sognanti. “Com’era” parla di un amore d’autunno che va via. Di un freddo che arriva, col peso dei ricordi. Le ferite. I cambiamenti forzati. Le nuove abitudini. “Il gioco” racconta gli sguardi. I sogni e i discorsi che tornano. Pensieri che restano sospesi tra anima e passato. In “Ovunque” c’è l’istantanea di una nuova vita, di un racconto. Ritrovarsi forti. Dopo la turbolenza, dopo il vento e le tempeste. Ritrovarsi. “Sand and silence” ci si lascia trasportare dal suono melodioso e profondo e dalle sfumature e brividi. Ritagli di istanti.  “Spengo” è come chiudere gli occhi. E dimenticare. Perdersi. Restare incantati mentre si scopre che il cuore non sa dormire. Come non sa farlo la vita. “Crying” è una ballata profonda e intensa. Alice ci regala un disco che si lascia ascoltare, c’è passione, c’è musica ben suonata e canzoni semplici ma molto intense. Fa sognare e pensare. Un bel disco.

L’Equazione è solo l’inizio

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Il progetto #lequazione è diventato realtà grazie all’aiuto e al sostegno di tante persone. A partire dalla casa editrice e poi a tutti quelli che in modi diversi han collaborato. Dall’editing alle presentazioni. Senza tutte queste persone non sarebbe mai potuto diventare realtà. Quindi non potrò mai smettere di ringraziarle. Potrete trovare il romanzo presso la libreria Fenice in via Porta Palatina a Torino 2 o richiedendo alla casa editrice La Gazzetta Di Hogwords o al sottoscritto.
#lequazione è solo l’inizio. www.lequazione.it

C’è chi la chiama legge di attrazione

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E’ successo tanto tempo fa. Tutto è iniziato da un blog. Poche interazioni con altri utenti e tante cose da dire. La voglia di scrivere a volte è anche solo questo. Voglia di scrivere. Poi arrivarono i commenti, gli scambi di opinioni. Anche accese discussioni. I temi erano tanti, dall’amore alla politica, dalla scienza e poesia. C’era voglia di confrontarsi e anche di scontrarsi. Poi sono arrivati i social network e qualcosa si è rotto per sempre. Tutto è diventato vetrina, esibizione. Le parole sono diventate lame. Gli sguardi sono diventati insulti. Tutto è diventato come se si vivesse in televisione, anche se in realtà non ci si va. Si rimane seduti davanti a un monitor. Come se un social network possa cambiare tutto, ed è vero, cambia tutto. Ma non riesco più a vederne un senso. Una valanga di parole, commenti, opinioni, articoli, contro articoli. Come se questo fosse il futuro, ed è il futuro. Ma mi sembra di aver perso parte di me, che quello che scrivo finisca per non interessare nemmeno a me. Mi annoio. Mi annoiano le mie frasi, mi annoiano i miei discorsi, le mie paure, le mie solite paure. Sembra di correre dentro la ruota del criceto. E spesso corriamo nella ruota del criceto. Vorrei poter provare ancora l’emozione di scrivere, non per una vetrina, ma per una persona. Vera. E poter dire che tutto questo è assurdo, questa scatola, questo tempo. Tutto non ha più senso. Se questo è il futuro forse scrivere non serve. E’ meglio lasciare il compito a uno slogan che spieghi a noi stessi chi siamo. C’è la chiama legge di attrazione, io lo chiamo silenzio.

Sempre ammesso che serva

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Quanti sogni non aiutano, e gli occhi, persi nel mare, non sanno trovare una strada. E’ torbido. Quanti istanti possono far piacere, poco prima di uccidere. Così trascini gli istinti primordiali a uno stato che non conosci. E in fondo, nemmeno ti interessa. Solo chiudere gli occhi. Lasciare che il tempo si nasconda. Ho passato tanto tempo a parlare con me stesso, cosa ho capito? Poco. Forse niente. Siamo vetri sporchi, noi. Piccole ombre colorate di vento. Poco prima di fuggire. I luoghi sembrano sempre gli stessi. E io la soluzione non ce l’ho, perché tutto sia diverso. Ci si ritrova qui, al bar. A guardare la superficie del caffè. Sempre uguale. La notte splende come sempre, illuminata da una luna che fa quasi paura. No. I sogni non aiutano. Ti fan sentire inadeguato. Sempre. La terra brucia, sarà stato il troppo sole. La testa mi fa male. Sembra senta il peso del tempo. Senza fine. O forse, una fine ce l’ha. Ed è sempre tardi per guardarsi dentro. Sempre ammesso che serva a qualcosa. Il giorno è un giorno come tanti. Piccole ombre disegnate a stento. Sulla sabbia. Mentre la rabbia ascolta, e sembra stanca anche lei. E’ la prima volta che la vedo così. Non ha più quei lineamenti duri. Non sembra più così determinata. Vorrei sbagliarmi, ma sembra avere paura. Anche lei. Io resto qui. Su questa banchina, da quanto tempo sto aspettando quella nave? Forse non passerà. Ed è meglio così. I miei passi si susseguono, come capitoli di un libro. Ogni tanti mi fermo, guardo una vetrina. E riparto. Quanti sogni non aiutano. Quante stelle non illuminano.

Recensione album “I-taliani” dei Sine Frontera

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Il disco “I-taliani” dei Sine-Frontera raccoglie sonorità rock e folk e crea un’atmosfera ricca di energia. Il brano che regala il titolo all’intero album “I-taliani” trascina tra ironia e folklore con una musicalità tra ska e musica popolare. Tra storia e dissacrante un’analisi dell’attualità. E’ un pezzo dinamico e carico di contenuti. “Hombres” è una ballata che ricorda le radici della musica italiana impegnata che hanno fatto la storia, con un ritmo che unisce modernità alla classicità della musica popolare. Quella che sa far ballare e allo stesso tempo riflettere. Non è una cosa semplice, ma i Sine Frontera ci riescono molto bene. Il brano “No soy borracho” racconta un viaggio e una storia d’amore d’altri tempi. Guerre lontane e con quel desiderio di rivoluzione che nasce e vive nei sentimenti più semplici. Eppur quelli che spingono a combattere. La canzone “La ruota” è una metafora dove i luoghi più comuni si fondono con i più comuni pensieri. Le amarezze, i sogni, come una corsa in bici. In salita. Metro dopo metro, ma continuare a vivere. A sperare che tutto cambi, e proprio come una ruota, tornino i tempi migliori. “Il villano” possiede un testo sporco, ma vero. Un racconto che parla di un personaggio scomodo, forse inadatto al tempo di oggi, eppure così attuale. Un controsenso? Un po’ come lo è la realtà. “Jessi e il bandito” è un brano con una musicalità da vecchio west e personaggi che sembrano usciti dalla letteratura. E l’epica storia di un bandito. “Dietro il portone” è una ballata in dialetto mantovano che racconta una storia senza tempo, quella dei deportati di un campo di concentramento. Racconta la perdita dell’identità. Dietro il portone è la metafora della morte della memoria. La citazione in questa canzone è doverosa: “Se questo è un uomo”. Il brano “Camillo e Peppone” nasce dalla filmografia più classica, dove i sentimenti sono in bianco e nero, dove la lotta è passione. Politica e religione, interessi contrastanti, che uniscono due personaggi, due cuori, che continuano a battersi. “Io son di” è un pezzo rock con suoni distorti che raccontano un mondo da un punto di vista ben preciso: “io son io e voi non siete un cazzo”. Una dissacrante parodia della politica, che poi non si discosta affatto da quello che la realtà ha dimostrato. “Fiocco di neve” è una ballata che racconta il Natale e un’attesa di un fiocco di speranza. Di vita. “Peace and freadom” è un saluto. Parole senza tempo, che riassumono il pensiero di questo gruppo e lasciano un sapore di speranza, necessaria alla fine di un disco e di ogni racconto che si rispetti. Questo disco racconta la continuità di un genere musicale senza tempo, che dalle pianure mantovane raggiunge il mondo, e dalle stesse pianure raccoglie la storia di popolo. Di un paese. Per farne musica. La musica.

Recensione romanzo “Sulla sedia sbagliata” di Sara Rattaro

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Quattro storie difficili, in cui i sentimenti sono la trama stessa. Storie che sembrano lontane, ma che sono unite da un unico filo conduttore. Gli occhi di una madre. Gli occhi di un figlio. La ricerca di se stessi, delle pieghe della vita che allontanano da quello che davvero che si vorrebbe. Da quello che sei. Quattro immagini diverse. Andrea che sotto effetto di stupefacenti uccide la fidanzata Barbara. La narrazione a effetto consente al lettore di capire il punto di vista dell’omicida, analizzando la struttura del perché di quell’atto, e della madre, la cui immagine perfetta viene infangata e sbattuta in prima pagina. Sono due anime le cui storie si scontrano, e, in fondo, si incontrano. Un viaggio a ritroso nel senso più completo della vita e della morte. Questo romanzo racchiude infatti anche la storia della mamma di Barbara, che vede uscire la propria figlia da casa, per non vederla tornare mai. E’ il suo dramma, la perdita della realtà, della propria coscienza. E’ la sua follia. Un’altra istantanea è la storia di Valeria che scopre l’amore, ma solo per un attimo. Fino a quando scoprirà dal telegiornale che il ragazzo che ama ha ucciso la madre. E’ la storia di Zoe, che attende un trapianto, una vita normale. Un amore. Questo romanzo è un viaggio in queste quattro storie e in tanti punti di vista molto differenti tra loro. L’attenzione si sofferma sul rapporto madre figlio (o figlia), sull’accettazione di un dolore a cui non si può più porre rimedio, e su tutto ciò che, in qualche modo, ha portato a quella situazione. Ai sensi di colpa, le paure inespresse, la voglia di scappare lontano semplicemente per non vedere e non capire ciò che sta accadendo. E’ lo scontro con il senso di abbandono e con la necessità di ritrovare la vita, se non più quella di prima, una vita. Si parla di rabbia, di sogni, di dolore. Di perdono. Un vortice che trascina il lettore nell’alternarsi della narrazione delle storie, in cui si percepisce la medesima genesi del dolore e dell’amore stesso. Un treno, tanti viaggiatori e stazioni. Un punto di arrivo. Diverso per tutti.

Quanto dura una nota?

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Ci sono dei momenti diversi dagli altri, in cui vengono a galla i ricordi. In cui ogni cosa prende forma, si plasma. Accade quando la luna è al suo colmo e i suoi raggi illuminano tutto. Anche dentro. C’è una strana forma di malinconia stasera, che fa venir voglia di chiudere il pianoforte perché non vuoi più sentirlo più suonare. Perché ogni nota e ogni parola di quelle stupide canzoni ti parlano di lei. Ti fanno sentire perso. E lasciano il peso addosso di un fallimento. No, non fa ridere. Non vedo perché debba farne. Io non lo so cosa sia l’amore. Pensavo di averlo capito. E non era così. Il mio sguardo si perde ancora tra la gente come a voler rincontrare quegli occhi, ma non capita mai. La vita non è un film, e nemmeno un quiz a premi. E’ un gioco scorretto. Una bomba che ha un timer al contrario, verso l’implosione. E’ un suppellettile, che si gioca a dadi la fiducia. Che svende le tue parole togliendole ogni senso. E’ una bella melodia suonata in silenzio. E’ una poesia senza parole. Per quanto tempo vibra una nota? Non lo so. So solo che spesso la si sente ancora dentro, a riecheggiare tra le stanze vuote dei ricordi. Dei passi falsi di un sogno. Delle mezze verità di una vita che sa essere spietata. Questo è l’amore? Si, e allora a che serve? A chi serve? Quali certezze lasciano queste ferite che si fingono rimarginate e che invece gridano ancora? La notte è ancora lunga, la luna è sempre lì a guardami. Passa di qui, almeno raccontami di te. Dimmi cosa pensi di questa anomalia. Ci sono momenti in cui tutto questo non ha senso. In cui perdono senso anche i ricordi e ci penso. Ti penso. Leggera, mentre il tuo treno va via. E miei sogni si siedono su una panchina di una stazione, senza avere il coraggio di rialzarsi. E io non posso obbligarli a farlo. Io non voglio farlo. Il silenzio tutto sommato fa compagnia. Quanto dura una nota? Forse solo l’attimo in cui questo pensiero smetterà vi far vibrare quest’aria. Vuota.

La risata della luna

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I miei passi lasciano orme di neve sul marciapiede, i miei sogni si perdono in fondo al viale. Il giorno di Natale, che odio. Chi poteva dirlo che sarebbe accaduto proprio oggi. Nei miei ricordi il tuo viso è ancora quello che avrei accarezzato il primo giorno che ti ho vista. Il destino gioca le sue carte, ed è sempre più bravo di me. Mi ha battuto. Dio solo sa quanto io odi perdere. I fiocchi di nevi scivolano sul mio cappotto. Nel cielo c’è una luna troppo piena, e sembra ridere. Nella tasca sento il telefono vibrare. Lascio che continui a emettere quel ronzio. Mancano solo pochi isolati, i miei passi rallentano. Mi fermo davanti al portone. Sembra gigante. Un anno, un attimo. Uno sguardo, due occhi verdi. I tuoi. E poi un viaggio, con lei. Ma la vita è un gioco di scacchi, e sono un vigliacco. Sono scappato, un’altra volta. Ho sempre avuto paura, anche della mia stessa ombra. Dei miei sogni. La luna questo lo ha sempre saputo. E ride, di me. Salgo i gradini, uno a uno, apro il portone e cammino lungo il corridoio bianco, che sembra non finire mai. Quel viaggio mi ha cambiato. Pochi mesi sono una goccia. Uno scalo, i tuoi occhi, verdi riflessi, sul vetro degli arrivi. Un bacio, soltanto uno. E poi un altro ancora. Il sapore della pelle sulla pelle. Il destino mi ha battuto, e che ironia, proprio il giorno di Natale. “Venga, mi segua. La stiamo cercando al telefono da almeno un’ora” mi dice l’uomo vestito di bianco. Io lo seguo senza riuscire a parlare. Quando le porte si aprono rivedo i tuoi occhi, verdi, provati. Sei pallida. No, io non ho mai saputo amare nessuno davvero, forse nemmeno me stesso. E ora che mi sorridi, mi mostri quel piccolo corpicino che piange. Scopro di aver sempre sbagliato tutto. Nove mesi sono una goccia, eppure in questa goccia c’è tutto. Ora so perché la luna rideva. Il destino mi ha battuto, e questa è la più bella sconfitta che potessi subire. Ora non odio più il Natale, e amo te, e la piccola vita che mi hai regalato.

Recensione libro “I segreti del linguaggio del corpo” e intervista all’autore Marco Pacori a cura di Amelia Tipaldi e Daniele Mosca

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“I segreti del linguaggio del corpo” di Marco Pacori è un libro che con una assoluta semplicità svela principi complessi del comportamento degli uomini. Il testo è suddiviso per aree che man mano accompagnano il lettore alla scoperta dei segreti del linguaggio del corpo. Si inizia con una panoramica per scoprire le ragioni scientifiche, i principi di funzionamento del cervello e in particolar modo della parte che da origine ai segnali: l’amigdala. Nel libro vengono spiegati concetti importanti come lo spazio prossemico, quello spazio che nel dialogo tra due persone varia in funzione della tipologia di rapporto ed è minore quanto più il rapporto è stretto e come imparare a osservare i comportamenti per capire il significato dei segnali non verbali. Ci sono numerosi esempi visivi che descrivono come cogliere i segnali dal primo incontro, dal modo di camminare allo sguardo, dalla stretta di mano alla postura dell’interlocutore, poiché ognuna di queste gestualità può determinare e specificare le intenzioni, come quelle di voler delimitare il proprio territorio, analizzando le similitudini con il comportamento degli animali. Man mano che la descrizione di questi segnali prosegue, si entra sempre di più nei meccanismi cerebrali che hanno luogo durante il dialogo, raccontato con semplicità come individuare principi di ansia, paura o fastidio, fino a quelli di piacere, attenzione e interesse. Ma la cosa più importante è la correlazione sulle modalità di utilizzo come regolatori della conversazione stessa per renderla più piacevole e per rendersi maggiormente attraenti. Viene evidenziata l’importanza delle sfumature dei segnali inviati durante il dialogo, poiché dietro queste si nascondono i pensieri e le opinioni dell’interlocutore. L’analisi di tutte queste informazioni porta il terrore a cercare di capire qualcosa che a suo modo appare affascinante: la menzogna. E’ un po’ il fulcro del libro, quello in cui si spiega come mettere in pratica gli insegnamenti per svelarle, semplicemente con l’osservazione. Questo libro è un viaggio nella psicologia dell’uomo, nelle sue reazioni più elementari, eppure fondamentali per i rapporti sociali in cui ci si deve relazionare. Esempi concreti, come l’utilizzo di queste tecniche a scopo terapeutico, come da parte di uno psicologo o medico, agenti di polizia, maestri, fino ai semplici discorsi tra persone comuni. Ogni movimento del corpo racconta dei segreti, anche a se stessi. Questo libro racconta con disarmante semplicità la tecnica e la possibilità di utilizzo dei segnali non verbali ed entra nel merito delle varie tematiche con dovizia di particolari e con esempi concreti. C’è un mondo in ogni aspetto descritto in questo testo, l’insieme permette di vedere il prossimo come una miniera di gesti che normalmente non riusciremmo a notare e ad ampliare la comprensione dei messaggi che gli altri inviano, pur senza esserne coscienti. Un testo intrigante e interessante, adatto a tutte le tipologie di lettori. Scritto in modo comprensibile e scorrevole, con le illustrazioni che aiutano nella spiegazione. Assolutamente da leggere.

Abbiamo posto alcune domande a Marco. Ecco l’intervista.

Capire in anticipo quello che pensa il proprio interlocutore sicuramente porta notevoli vantaggi ma a volte non sarebbe meglio non saperlo?

C’è un’unica relazione in cui é consigliabile tenere alcune informazioni per sé:  il rapporto di coppia. In questo contesto venire a sapere dei sentimenti o di dettagli sessuali di un legame precedente potrebbe ferire. Così, in questa situazione potrebbe rivelarsi svantaggioso leggere nel comportamento dell’altro, specie se la lettura avviene in modo superficiale o riduttiva.

L’interpretazione dei segnali del corpo va fatta, infatti, all’interno di un contesto: se ad esempio, riferendoci all’esempio sopra, notiamo che il nostro partner si passa la lingua sulle labbra (un segno di piacere) quando vede la foto di un ex, potremmo provare gelosia ritenendo che provi ancora dei sentimenti. Tuttavia, potrebbe averlo fatto solo perché questa persona le ha risvegliato un ricordo piacevole e non perché attualmente ne sia ancora innamorata.

Negli altri rapporti interpersonali é invece auspicabile capire cosa passa nella mente dell’altro e se quello che dice coincide con ciò che pensa.

Dopo avere riconosciuto le proprie emozioni e’ possibile mascherarle?

Se proviamo un’emozione questa innesca una reazione immediata e istintiva; questa reazione provoca una determinata espressione del volto e dei  movimenti del corpo (come un sollevamento delle spalle nella paura o una contrazione delle mascelle nella rabbia). Possiamo cercare di inibire queste manifestazioni, ma qualcosa trapela comunque: in questo caso, assisteremo ad una microespressione (un atteggiamento che compare sul volto per circa 1/25 di secondo) o ad un’espressione soffocata (che dura più a lungo, ma l’espressione é solo parziale).

I neonati hanno da subito la capacità di riconoscere le espressioni sul volto della madre? Quando perdiamo questa capacità?

La ricerca e le osservazioni sullo sviluppo e sull’acquisizione delle abilità sociali hanno dimostrato che queste insorgono molto precocemente; La ricerca scientifica lo dimostra chiaramente. Ad esempio, Tiffany Field assieme ad altri colleghi ha notato come i neonati prestino una maggiore attenzione visiva quando un volto cambia espressione, suggerendo così implicitamente che questi ultimi sono in grado di discriminare la mimica facciale poco dopo la nascita. Inoltre, Charles Nelson con precise misurazioni ha appurato che i neonati sono in grado di distinguere una faccia arrabbiata da un volto felice. Mikko PeltolaJukka Leppänen e altri studiosi, dal canto loro, hanno appurato, registrando l’attività cerebrale, che i bambini di sette mese sono in grado di cogliere la mimica facciale della paura.

Queste capacità aumentano con l’esperienza; decrescono però con l’invecchiamento in linea con la perdita di altre abilità cognitive e questo ha inizio attorno ai 50 anni. Il declino é attribuito al fatto che una struttura essenziale nel riconoscimento delle emozioni (la corteccia prefrontale) si deteriora con l’età molto più rapidamente di altre regioni cerebrali.

Questa perdita di “acume” non riguarda solo le espressioni facciali, ma anche gesti, posture, movimenti del corpo e caratteristiche vocali delle emozioni e sembra riguardi più le emozioni negative (come rabbia, tristezza, paura e disgusto) che quelle positive (felicità, entusiasmo, ecc.).

Probabilmente conosce il telefilm Lie To Me, in cui il protagonista è capace di usare le tecniche descritte sul libro fin quasi all’esasperazione. Fino a che punto queste tecniche sono utilizzabili dal punto di vista scientifico, o nel merito di una indagine? Qual è la massima attendibilità che si può raggiungere?

Lie to me ha come consulente scientifico Paul Ekman, la massima autorità nello studio delle espressioni facciali; tuttavia é fiction e come tale deve innanzitutto destare l’attenzione e la curiosità dello spettatore. Ne é derivato così un compromesso in cui alcune conclusioni di Cal Lightman  (protagonista principale del telefilm) sono verosimili; altre sono molto enfatizzate. Nel riconoscimento della menzogna tutti gli studiosi sono d’accordo su un punto: i segnali, per lo più non verbali, su cui ci si basa, sono indizi, non segni inequivocabili di bugia. In alcune puntate sembra che invece sia possibile, non solo di dare un’interpretazione certa, a partire da un solo comportamento o espressione facciale, ma che da questa si possano trarre tutta una serie di conclusioni all’apparenza logiche e coerenti: questa però non é scienza, ma intuizione.

In ogni caso, tecniche di questo tipo (il riconoscimento delle micro-espressioni facciali, alcuni segnali del corpo e degli indizi linguistici) vengono utilizzati dall’FBI o dall’Interpool per distinguere la verità dalla menzogna e con un buon grado di attendibilità. Naturalmente, non basta: é necessario che questi indizi vengano suffragati da prove concrete.

Un esempio di come il linguaggio del corpo possa rivelarsi utile nelle indagini criminali ci viene da una ricerca degli  psicologi Stephen Porter e Leanne ten Brinke.

Questi studiosi, analizzando il comportamento non verbale dei familiari di persone scomparse in 78 appelli diffusi in TV hanno scoperto che chi parlando del proprio congiunto esprimeva, anche per qualche istante, un’espressione di disprezzo e un ghigno molto probabilmente era responsabile della sparizione. Prendendo come spunto questa scoperta ho esaminato numerose interviste di Sabrina Misseri e Salvatore Parolisi in relazione alla morte di Sarah Scazzi e di Melania Rea. In entrambi i casi, riportando la mia analisi e le conclusioni nel mio libro “Il Linguaggio della Menzogna” ho rilevato nella prima micro-espressioni di disprezzo e rabbia parlando della cugina e disprezzo e un sorriso mal celato nel secondo quando raccontava della sparizione di sua moglie Melania.

Secondo lei in politica è possibile che il segnale non verbale possa essere utilizzato per ampliare il consenso mediatico tramite le televisioni?

Si vocifera che Obama,  il presidente americano, abbia usato in modo intenzionale particolari  gesti e comportamenti per indurre l’elettorato a scegliere lui. In ogni caso, é ormai risaputo che politici e manager “vanno a scuola” di linguaggio del corpo per migliorare la propria immagine, saper comunicare in maniera più efficace e soprattutto persuasiva.

E’ quindi difficile vedere un politico durante un dibattito o un confronto in TV fare segnali negativi, come chiudere le braccia, incassare la testa fra le spalle o assumere posture raccolte: tendono infatti a parlare esponendo i palmi delle mani verso l’alto in segno di onestà e franchezza, a sorridere spesso, a stare con le braccia distese e aperte, a toccare e stringere le mani di chi li va ad ascoltare ai comizi (un comportamento molto accattivante).

La credibilità e la sincerità sono valori giudicati molto importanti dall’elettorato.

Al riguardo, vale la pena di citare l’esito di una recente indagine condotta dagli psicologi

Eryn Newman  Maryanne Garry, Daniel Bernstein assieme ad altri colleghi.

Questi studiosi hanno dimostrato che basta la presenza di un’immagine (anche non pertinente) a fianco di un politico mentre fa i suoi proclami per aumentare la supposta veridicità di quello che dice: un “trucco” tanto semplice quanto efficace!

In che modo i supporti tecnologici possono diventare delle barriere? Sono in grado a lungo termine di modificare la comunicazione non verbale tra le persone?

Telefonini, chat, social network limitano molto il contatto diretto: é inevitabile quindi che anche la comunicazione cambi: ad esempio, si é stimato che é più facile mentire con un sms, tanto che c’é una tendenza piuttosto diffusa a “raccontare” frottole (anche parziali) con questa tecnologia.

Il fatto che l’interazione non sia immediata non significa però che manchino dei messaggi non verbali.; solo che sono di tipo diverso. In uno studio Joseph Walther e Lisa Tidwell hanno rilevato che un email suscita un effetto diverso in rapporto a quando viene mandata. Se riguarda il lavoro e viene spedita la sera o di notte da l’impressione che chi la invia sia una persona sicura di sé; per contro, se é un messaggio amichevole il mittente appare più dominante se la spedisce di giorno.

Anche il tempo di risposta ha il suo peso: una comunicazione di lavoro viene percepita in modo più positivo in orario d’ufficio se é breve; mentre, infastidisce se lo stesso accade di notte. Le cose si ribaltano nei messaggi fra amici: se uno risponde la notte da l’idea di essere cordiale e empatico.

a cura di Amelia Tipaldi e Daniele Mosca