Ep16
Davide e Fabio restavano in silenzio, il primo intento a seguire la traiettoria più sicura, il secondo a lavorare sul sistema operativo del velivolo per disattivare ogni possibile traccia che potesse svelarne la posizione.
Tutto era successo in pochi secondi. Fabio era riuscito a gettare in terra uno dei soldati. Davide era stato pronto nel disarmarlo e a utilizzare l’arma per costringere il pilota a scendere dall’elicottero.
– Non riesco a prendere il pieno possesso del sistema – disse Fabio.
Davide trasalì. Era la prima volta che lo sentiva parlare. Lo osservò per qualche istante.
– Forse non dipendeva da quel segnale – continuò il ragazzo, senza riuscire a nascondere un sorriso.
– Quindi mi stai dicendo che ci troveranno presto. –
– Esatto, sto dicendo proprio questo. Ed è bello poterlo fare. –
Questa volta fu Davide a sorridere.
– Il sistema sembra blindato. Ma temo possano inserirsi da un momento all’altro e prendere il controllo. –
– O forse stanno già cercando di abbatterci. – replicò Davide, forse più parlando a se stesso.
– Dove stiamo andando? – chiese Fabio.
Davide sapeva che esisteva un unico posto in cui avrebbe potuto tenersi lontano dall’occhio di quel sistema di controllo.
Ed era proprio lì che si stava dirigendo.
– Dove il logo occhi non può arrivare. –
Centro di detenzione preventiva
– Pensavo fossi morta – asserì Monica.
Monica aveva seguito con la coda dell’occhio quella figura femminile che si avvicinava.
– A quanto pare non è così. – rispose Simona.
– Che peccato – replicò l’altra.
– Dobbiamo collaborare se vogliamo uscire da qui – continuò Simona.
– Forse non ti sei resa conto che il mondo che conoscevi non esiste più. Che non c’è modo di ripristinare quella realtà. E che moriremo qui. – concluse Monica.
– Questo è da vedersi. –
– Hai un piano? –
– Tanto per cominciare movimentare un po’ l’ambiente. –
– E pensi che un po’ di rumore possa spaventare una macchina? –
– Questa macchina l’abbiamo creata noi. –
– No, io non ho progettato questa bestia. –
– Hai ragione. Non è alla bestia che voglio parlare, infatti. –
Monica sollevò lo sguardo per incrociare quello di Simona.
– Queste persone non sono più in grado reagire a nessuna provocazione. Sono spente. –
– Probabilmente è così.-
– E ci staranno ascoltando. –
– È quello che spero. – disse Monica, avvicinando la bocca all’orecchio della sua interlocutrice.
– Potremmo parlare al nulla. Quello a cui ti stai aggrappando potrebbe non esistere più, come tutto il resto. –
In quel momento i soldati si stavano avvicinando verso di loro, facendosi largo tra i detenuti.
– Abbiamo fame! – urlò Simona.
Qualcuno si voltò verso di loro, ma senza alcuna convinzione.
Nulla sembrava fermare la marcia dei soldati.
– Dateci del cibo vero! – urlò ancora Simona.
– Cibo, cibo! – iniziò a scandire Monica a voce sempre più alta.
– Sì, cibo! – urlò un’altra donna alle loro spalle.
In pochi secondi le grida avevano coinvolto la gran parte dei detenuti, molti dei quali iniziarono a spintonarsi e a rivolgere insulti verso i soldati, i quali facevano fatica a raggiungere l’origine di quella che era diventata in pochi secondi una rivolta.
Gli stessi soldati sembravano impreparati che una cosa del genere potesse davvero accadere.
Il rumore e il vociare divenne sempre più forte.
Simona si abbassò sotto la mole delle persone che urlavano.
– Esiste un vecchio cavo telefonico nel locale lavanderie, se riusciamo a trovare un dispositivo adatto potremmo provare a raggiungerlo. Solo tu puoi riuscirci. –
Monica ricambiò il suo sguardo, senza troppa convinzione.
– Dove possiamo trovare un dispositivo – replicò Monica.
Simona e Monica si allontanarono dal cuore della sommossa.
I soldati erano impegnati a sedare la sommossa.
Ma sui loro display che mostravano gli ordini impartiti era comparsa la scritta: interrogare soggetti scatenanti della sommossa.
Il messaggio mostrava le foto delle due detenute che avevano scatenato la protesta.
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