Quando abbiamo saputo della tragica fine di Giulia Cecchettin la maggior parte di noi uomini si è sentita colpevole. E molti di noi si sentono ancora tali, anche a valle della condanna all’ergastolo dell’autore di quel brutale assassinio, Filippo Turetta. Siamo colpevoli perché sentiamo sempre troppo spesso concetti maschilisti ondeggiare pericolosamente nei comuni discorsi. Il concetto maschilista è ancora vivo ed è sempre accanto a noi. Vive quando viene espresso nella considerazione che una donna non è adatta a fare un determinato mestiere, quando si accusa velatamente una donna di abusare della maternità, quando si giudica per l’abbigliamento, sorridendo sornioni con approccio morboso. Maschilismo. Sarebbe opportuno che questa condanna facesse riflettere sulla qualità terreno nel quale cresce la pianta del controllo, della prevaricazione. Della violenza. E cresce fondamentale perché ció che spesso manca è il rispetto, che a sua volta vive solo attraverso il dare un vero valore ai sentimenti. Perché se ami una persona, se hai amato una persona, l’ultima cosa che vorresti fare è farle del male, fosse anche con le parole. Questa condanna deve avere un peso, perché se a cambiare non saranno gli uomini sarà perfettamente inutile ogni concetto espresso con slogan appesi ai muri o con oggetti rossi posizionati in ogni dove. La consapevolezza risiede nell’accettare questa condanna come monito a guardarci tutti dentro e a chiedere scusa per tutte le volte che di fronte a parole e concetti maschilisti non abbiamo mosso un dito, né detto alcuna parola di difesa del concetto di rispetto.