Recensione “L’eretico” di Carlo A. Martigli

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Pico della Mirandola è morto prima di portare a termine la missione di unificare le tre grandi religioni. Mentre Firenze è scossa dalla peste e dai sermoni duri di Savonarola, a Roma la famiglia Borgia cerca, tra lussi e perversioni, di consolidare il potere del papato, accettando l’alleanza con gli odiati Medici, a loro volta pronti a tornare a capo di Firenze. Nel mezzo di questa guerra c’è un uomo che ha ereditato la missione di Pico della Mirandola, è Ferruccio de Mola, che con compagna Leonora, lotterà per difendere un segreto, una donna e un libro misterioso, che contiene una storia capace di cambiare il destino della chiesa di Roma e di tutto il mondo. Una storia intrigante, misteriosa, che ha origini lontane e che l’anziano monaco Ada Ta e la sua discepola Gua Li sveleranno a Ferruccio. L’eretico è un romanzo che va oltre il thriller, documentato dal punto di vista storico e curato da quello narrativo. Una storia ricca di spunti e riflessioni che trascina il lettore attraverso intrighi papali, inganni e inseguimenti. Riesce a raccontare uno dei segreti e dei misteri storici più importanti, svelando un enigma e allo stesso tempo parlando all’anima e al cuore. La tecnica e la potenza della documentazione rendono questo libro un’opera importante e una scoperta narrativa. Degno seguito di “999 – L’ultimo custode”, “L’eretico” estende e approfondisce l’idea dell’unificazione delle tre grandi religioni. Carlo A. Martigli è un autore intenso e raffinato, che racconta le passioni, i tradimenti e le perversioni dei Borgia e dei Medici e l’amore incantato di Ferruccio e Leonora e ci permette di fare luce su molti aspetti poco conosciuti della storia. Insegna e intrattiene in un vortice che conduce alla scoperta di uno dei segreti più importanti dell’uomo. Un romanzo da non perdere.

Recensione “Kapytalysty Vyrtualy” di RosyByndy

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Il tema profondo su basi trip pop è senza dubbio qualcosa di originale. Sin dal primo pezzo vengono affrontati argomenti complessi. In “Chiudete bene la porta” si racconta dell’equilibrio tra le tre grandi religioni e l’ipocrisia umana. “Due sentieri” è una ballata in cui spicca il duetto con Tiziana Rivale, in un viaggio interiore e intimo. “Dogma” si muove su una base elettronica ipnotica a evidenziare le debolezze dell’uomo e le sue fragilità senza cura possibile. “Io sono la vittima” è un pezzo la cui atmosfera attrae e invade in una forma rude quanto ancestrale. “Chinacrack” è una ritmica evoluzione con uno stile particolare, tra funk ed elettro-pop. Il testo è misterioso ed ermetico. “Parole che sfuggono alla voce” unisce parole criptate su melodia lenta e inesorabile, mistica. “Non votare per me” è un’esortazione, è un’idea, un vortice di pensieri che si inabissano. “Giù dal cielo” è come una messa lanciata nell’aria, un’evocazione di un male oscuro, che uccide, che logora le anime. E’ Guerra. “Il ventre dell’anima” è un brano mistico, un sorso d’anima e incanto metafisico. “Nabouf” porta avanti l’idea principale del disco, in un quadro immerso in atmosfere misteriose e sussurrate, come un loop che si allontana per tornare, ossessivamente. “Non mi svegliate più” colpisce per il ritornello orecchiabile e intenso, come un grido antico che si erge sulle musiche elettroniche e moderne. “Mengele’s nightmare” ha un ritmo ossessivo e incalzante, suoni lontani riecheggiano tra urla infernali. Un incubo nel suono e nell’anima. “Vorrei parlarti di me” è un verso poetico, recitato con ritmo struggente. “Writing Cleopatra” è il pezzo strumentale che chiude il disco. L’album “Kapytalysty vyrtualy” è particolare, con sonorità elettroniche e ipnotiche, i testi sono mistici ed ermetici. La miscela di queste caratteristiche genera un sound ossessivo e martellante, che riempie l’aria di suoni e parole, che taglia a metà la calma e riesce a far riflettere su temi complessi. Non si può dire sia un disco commerciale, anzi, è di nicchia e di difficile comprensione, ma ha proprio in questo la sua particolarità. Atmosfere e temi che ricordano le opere di Battiato, suoni che riportano a melodia moderne, dal trip pop al drum’n’bass. Originale.

Recensione “Cerco Ossigeno” di Willie DBZ

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Willie DBZ mastica il rap da una vita. E si sente. Il sound proposto da questo artista ha radici antiche. Lo si capisce sin dallo stile raffinato dell’intro del disco che ci accompagna al primo pezzo “Cerco Ossigeno”. Lo stile hip hop sembra richiamare l’anima che ha generato il suono dei primi OTR e Sottotono. I testi hanno una forte matrice sociale su melodie orecchiabili e beat ben costruiti. “Siamo messi male” è una canzone che fa il punto sul mondo della televisione e sui relativi contenuti scialbi quanto finti. ”Cloni” è un amaro attacco a un sistema robotizzato, costruito per controllare l’uomo, la cui natura è quella di vendersi, di sporcarsi per restare a galla. Il brano “Abbassa la cresta” è ricco di tecnicismi e istinto. Sapore antico di  denuncia sociale miscelata alla voglia di emergere. Interessanti i pezzi strumentali “Relax dopo la Jam”, “Attimo di lucidità” e “Pronti per un nuovo inizio”. “Amarcord” parla di storie di vita nella musica Hip Hop. Uno sfogo amaro e duro allo stesso tempo, da cui però trasuda la voglia continuare a lottare. L’album prosegue conservando il sound che è rimasto nell’anima di chi ha amato l’esordio dell’Hip Hop in italiano. “Limiti” racconta delle leggi  e del loro contrario, della trasgressione necessaria per ribellarsi. La ricerca della vera anima, nella musica, nella vita. Nel contrasto. “Indecisi della domenica” è uno scontro con la morale comune, con l’indecisione e con il quieto vivere. La scelta sembra essere l’unico modo per eludere questa assurda forma di auto-sorveglianza. “Punto di massimo” racchiude la rabbia e l’inevitabile reazione. Dura presa di posizione sul come affrontare la vita. E’ Lotta. “14 anni dopo – Toscana Bomberz” è una raffica featuring che si intrecciano. Rapper toscani con i loro versi che si scagliano sul beat. “Trentasette” è l’immagine di una storia tra Hip Hop, rabbia e vita. Una sfida raccontata a suon di versi. L’Hip Hop di Willie DBZ è raffinato e sanguigno allo stesso tempo, è storia e innovazione. L’anima si sente. Scorre sangue Hip Hop nelle vene. C’è rabbia che resiste a tutto, alla crisi, alla rassegnazione. Alla storia. In questo disco ci sono tutti gli ingredienti necessari che chi ama l’Hip Hop vuole sentire. E’ storia del Rap e della sua nuova origine.

Recensione del disco “Non sono mai stato qui” e intervista all’autore Davide Geddo

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Davide Geddo è un cantautore che sa toccare le corde giuste, l’avevo capito sin da quando ho sentito per la prima volta “Genova”, ma in questo disco si è superato. E con la complicità di un amore finito ha reso ogni nota un fiume in piena e allo stesso tempo un rivolo leggero in grado di scavarsi una strada in una roccia. La prima canzone dell’album “Non sono mai stato qui” è “Venezia”, struggente, con parole appassionate e forti dedicate a una donna ancora amata, che è fuggita via, un giorno come un altro. Descrive un cambiamento, una trasformazione interiore che, tuttavia, non riesce a far dimenticare. La durezza d’un amore che resta lì, a osservare. Come quando ci si guarda allo specchio e ci si scopre diversi, più tristi forse, ma più forti. “Dicono che io” è una canzone introspettiva, che analizza, studia e alla fine parla al cuore della donna che ti ha infranto il cuore, a tratti con durezza, a tratto con delicatezza. Un pezzo che emoziona, racconta, guarda l’amore da un nuovo punto di vista. “Angela e il cinema” è una ballata dall’animo jazz, blues, amara e dolce, con suoni che si intrecciano a parole che rincorrono in un racconto passionale con sfumature carnali. Le contaminazioni della musica popolare si uniscono ai suoni moderni e passionali di chitarra, violino e batteria, il tutto tra rustico e raffinato.  “Tristano” è un valzer popolare, tra la vita che ubriaca fino all’alba. Parole brille e sporche di vino e canti a squarciagola. Una sagra di musica e colori, suoni e canti popolari su melodie avvolgenti. “Stare bene” è una ballata, una passeggiata alla ricerca del senso più profondo di se stessi. Un modo colorato per ritrovare la strada migliore. “Il post amore” è un pezzo travolgente, divertente ed energetico. Un duetto fantastico con la bravissima Chiara Ragnini, che ricama e costruisce trame melodiche funky con la sua voce pura, dolce ed elegante. Una canzone che riesce a dare coraggio. E non è poco. “Equilibrio” è una ballata intima e coinvolgente, emoziona e incanta, con intense parole sussurrate. Soffici come neve. “Dall’amore (interventi di modifica alla viabilità interiore)”, è un pezzo creato come una metafora a suon di musica appassionata e indiavolata. Racconta divagazioni sull’amore, sulla vita, su se stessi, fino all’anima. “La campionessa mondiale di sollevamento pesi” è un dolce richiamo, come persi tra ricordi, lontani, ma che vivono ancora dentro, fanno ombra ai sogni e allo stesso tempo compagnia. In “Piccolina” Geddo sembra richiamare Fred Buscaglione, ravvivandone il sound e rendendolo ancora più dinamico, attuale. Moderno. “Sole rotto” è amara e sognante. E’ un pensiero soffuso, soffice e dolce, che oltrepassa il cielo, la distanza e l’amore svanito.

“Un pugno rotto è una canzone” è un piccolo gioiello. E’ una canzone fragile, delicata e intensa. Non si riesce a smettere di ascoltarla, soprattutto quando ascoltandola ci si sente proprio così, confusi, disarmati. Vittime di quel suono più oscuro. “Nancy” è un pezzo tagliente, ricco di ricordi, passioni che la vita costringe a celare in fondo all’anima. Svela le immagini raccolte come su un album da non riaprire. Un album che si vorrebbe bruciare, senza averne il coraggio. di farlo. “L’astronave di Provincia” è malinconia pura, un amore delicato, che entra senza far rumore. E’ un ricordo lieve, abbandonato tra le pieghe del letto. Un bacio che non si potrà dimenticare, mai.

L’album si conclude la canzone che da il titolo all’album. “Non sono mai stato qui” ha un suono che ipnotizza, che lascia un gusto strano in bocca, che fa sentire come soli di fronti al mare in tempesta, col freddo che entra nelle ossa. Poche luci intorno. E dentro una consapevolezza, ciò che amavi non c’è più. Una lucida solitudine che riesce quasi a far compagnia, diventa parte di te. Ti completa. E mentre il vento continua a soffiare, decidere di tornare a casa. E, forse,di dimenticare.

Un disco da ascoltare e riascoltare, che accompagna, emoziona, sussurra grida. Ubriaca. Un sapore a volte amaro, ma che rimane lì, fa riflettere, sognare e ricordare. I ricordi sono la trama portante dell’intero disco. Ricordi che nascondo lacrime per farsi forza. Per rialzarsi, e non smettere mai di sorridere.

Abbiamo posto alcune domande a Davide:

Le canzoni del nuovo disco sono ispirate a luoghi immaginari, cosa sono per te questi “ non luoghi”?

La musica è una potente macchina del tempo e dello spazio. Consente di rivivere sensazioni perdute o immaginare storie che non si sono potute realizzare. In essa il tempo vola e altera le sue leggi. La canzone non ha la bellezza tangibile di un quadro o di una scultura ma, pur essendo un’arte minore, è l’unico varco temporale che ci permette con la stessa facilità di essere profondamente noi stessi o di immaginarci nei panni di persone completamente diverse. In “Non sono mai stato qui” è mia intenzione sottolineare l’ambigua essenza della forma “canzone” dichiarandone l’assoluta libertà e indipendenza dalla presenza e dall’esperienza che condiziona il quotidiano.

Nell’album c’è una forte componente emotiva e sentimentale, quanto c’è di autobiografico nei pezzi?

Non credo alla musica come esibizione e divismo; credo alla musica come linguaggio, come espressione e come modo di toccarsi. Credo che non si tratti di essere autobiografico in ciò che racconti ma di esserlo in come racconti. Non sono quasi mai al centro delle mie canzoni; mi piace esserne collaterale, magari attore non protagonista. Mi piace essere nei dettagli.

Cosa lega le canzoni Genova e Venezia?

Sono due concetti opposti che finiscono per essere speculari. Venezia è la storia di tutto ciò che non è accaduto tra due persone che si ritrovano dopo un qualcosa che non c’è stato; la canzone inizia con un elenco di situazioni che non si sono realizzate e narra la storia di un viaggio che non si è compiuto. Genova, al contrario, rappresenta un modo di sentire e il forte senso di riscatto che trovo nella musica. In questa logica la bellezza misteriosa e contorta di Genova e quella sognante e unica di Venezia finiscono per specchiarsi come una realtà e il suo sogno.

Le tue canzoni sono come delle polaroid immagini di momenti, quasi scene di un film. Quale di queste fotografie porteresti sempre con te?

La dimensione cinematografica è quella più adatta alle mie canzoni; mi piace accompagnare visivamente dentro una storia, dare un carattere ai personaggi, mi piace romanzare e abbozzare paesaggi. Mi piace essere il regista delle canzoni. In altri casi, e mi viene in mente “stare bene”, il riferimento alla polaroid che tu hai colto mi pare appropriata. Ho i miei tempi nello scrivere; a volte non sono per niente brevi. Ma una volta che sono finiti i brani fanno parte di me e sono sempre con e dentro di me. Non ho scarti; solo idee su cui ritornare.

Quanto conta il mare nelle tue canzoni?

Noi, fortunati, che viviamo il mare abbiamo un doppio orizzonte che si fonde in lontananza. Non si può prescindere da questo mistero che induce umiltà, rispetto e riflessività. Inoltre ho un naturale stupore per tutti quegli elementi naturali che sanno “incantare” lo sguardo come anche il fuoco o le nuvole.

Quali sono gli artisti che ti hanno aiutato a esprimere la tua musicalità?

Per me suonare è quasi l’atto finale e decisivo ma non potrei sentirmi musicista senza essere ascoltatore e appassionato di musica. Lo star system identifica la musica come un mezzo di valorizzazione del talento o, purtroppo spesso, anche solo di contorno ad esso. Ciò ha professionalizzato la canzone ma ha tolto spontaneità, ricerca e spirito di appartenenza; la musica ha perso molto appeal rispetto, per esempio, al computer e alla tv; mondi di cui è diventata componente, perdendo in autonomia e forza. In questo senso collaborare è per me parte stessa dell’essere autore di canzoni. Ritengo di sentirmi dalla stessa parte di chi rivendica per la musica un’autorità e un’autorevolezza che stimoli l’ascolto, aspetto per me sempre prevalente. Da questa parte della barricata mi sento in sintonia con artisti di cui apprezzo l’approccio con la musica e le persone come Zibba, Sergio Pennavaria, Zazza, Michele Savino o Chiara Ragnini, ma la lista per fortuna è lunga e l’unione fa la forza. Di fatto infine è stato molto importante l’incontro con Rossano Villa di Hilary Studio che mi dato sicurezza e confidenza con lo studio di registrazione.

Alcuni dei tuoi pezzi sono ritmati, quasi indiavolati; altri sono più intimi e sussurrati. Quale delle due dimensioni senti più tua?

Vivo la musica come una casa. Ogni tanto sento il bisogno di fare festa, invitare tutti gli amici e passare la serata in allegria; altre volte ho bisogno di rinchiudermi nella mia stanza e parlare un po’ con me stesso. Sento mie entrambe le dimensioni e mi sento a mio agio nello sviluppare entrambe le dinamiche. Non credo che sia il binomio gioia- tristezza a creare un brano che sia degno di essere ascoltato ma so che servono spirito di osservazione, lucidità e feroce autocritica.

Come ti vedi tra dieci anni?

Un po’ cambiato.

Recensione del film “Lincoln”

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“Lincoln” non è un semplice film storico, ma un vortice che mostra le contraddizioni della politica in una veste nuova e terribilmente attuale. Steven Spielberg, regista della pellicola, mette in scena il presidente Abramo Lincoln, approfondendo le sue caratteristiche, da quelle pubbliche a quelle più intime e profonde. L’interpretazione dell’attore Daniel Day-Lewis è impeccabile e attrae con la recitazione delle storie raccontate dal presidente, con i gesti e i silenzi del Presidente, guidando così gli spettatori nelle sue scelte difficili scelte politiche. D’altro canto dal punto vista storico il protagonista è l’uomo che ha guidato gli Stati Uniti d’America durante le rivolte degli schiavi e che ha fatto la storia e per molti versi è la storia stessa. Il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America ingaggia un vero e proprio duello con i confederati per far approvare il terzo emendamento, quello che abolirà una volta per tutte la schiavitù nei neri in America. Una corsa contro il tempo e contro le fazioni che non volevano che l’emendamento passasse. Una storia commovente e forte, profonda e intensa, che sfrutta gli eventi storici e la complessità del protagonista di questa storia e della storia in generale. Regia, luci e interpretazioni degli attori sono ingredienti ottimi per un film da vedere, che fa riflettere e sperare. Gli accordi, la filosofia di quello che per molti è stato un tiranno e per altri un amato statista, rendono questo film bello e appassionante. Forse difficile da comprendere, poiché ci vuole molto impegno per entrare nell’ottica giusta, ma che senza ombra di dubbio si rivela un capolavoro. Un gran bel film.

Recensione del romanzo “Saltatempo” di Stefano Benni

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Saltatempo è un ragazzo, poi un uomo. Una trasformazione del protagonista che corre di pari passo con quella dell’Italia dalle contraddizioni di una nazione appena uscita da una guerra a quelle di un comunismo spesso ambiguo, sino alla nuova politica che sfocia nella corruzione. L’autore è Stefano Benni, che riesce a raccontare le mutazioni di un territorio e insieme di una cultura, che da rurale diventa sempre più cittadina, con tutto ciò che questo comporta. L’avvento dell’arrivismo, del cinismo e contemporaneamente delle prime scoperte, dall’amore alla droga, dal sogno alla morte. Saltatempo può muoversi nel tempo con il suo orobilogio e sapere come le cose andranno a fine, tra figure epiche e metafore ben studiate, il romanzo si sviluppa in maniera sapiente e oculata, raccontando un mondo, più mondi e scavando nella psiche e nelle paure dei protagonisti. E’ un romanzo per sognatori, ma che lascia in fondo anche tanta amarezza. E’ una storia che fa capire quanto l’uomo ha svenduto per raggiungere soldi, successo e un fantomatico progresso, che poi fa perdere il senno, l’anima, e alla fine anche la speranza. Questa però non muore mai davvero, ma rivive, come nelle anime che abitano i boschi, le montagne, come le idee che si rianimano, proprio quanto tutto sembra finito. Alla fine è solo il senso della vita, delle piccole cose, del credere negli ideali senza lasciarsi trasportare. Lo sviluppo di un territorio che diventa metafora della crescita di un uomo, che scopre se stesso anche oltre il male e forse nel male stesso riesce a trovare il senso dei propri desideri. Saltatempo è certamente un romanzo semplice e complesso allo stesso tempo, che mette le basi e le distrugge, che fa sognare e allo stesso tempo morire. Il tutto sembra insegnarci che non bisogna mai smettere di credere nelle cose, nelle idee, nei sogni, nella speranza di un mondo migliore, di una politica corretta. E di tutto quello che questo può provocare, l’eterna guerra tra il bene e il male che purtroppo talvolta si fondono senza riuscire a intravederne i confini. Cosa resta? Il senso più profondo delle cose: la vita.

Recensione di “1Q84” (integrale) di Murakami Hakuri

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Ho raccontato i primi due libri di questo romanzo in una precedente recensione, ma con il terzo e conclusivo libro posso descrivere questa storia nella sua interezza. “1Q84” è come un vortice. Un mondo parallelo in cui si rimane imprigionati. Si soffre e si gioisce assieme ai protagonisti Aomame, Tengo e Fukaeri. Un intrigo che si ingarbuglia pagina dopo pagina e atmosfere misteriose e a tratti mistiche sono gli ingredienti di un romanzo particolare. Lo stile di Murakami è originale e sfoggia una cultura certamente differente da quella che siamo abituati a trovare nella letteratura contemporanea, perché sembra di immergersi in una realtà epica, seppur ambientata ai nostri giorni. C’è un mondo che si percepisce sin dall’inizio e che diventa parte del lettore, come se questo libro possa ipnotizzare con la forza di frasi e parole costruite con maestria, sapienza e una grande pazienza. Ci sono scene e immagini che ritornano, che arricchiscono un quadro, quasi fossero particolari e sfumature che rendono il senso complessivo ancora più intenso e coinvolgente. Sono pochi i casi in cui ci si imbatte in fenomeni letterari come questo, quindi è necessario entrare in questa dimensione per capirne il senso e assaporarne il contenuto. Una storia avvincente, che risveglia la curiosità e le emozioni, e che, non in ultimo, fa riflettere grazie alle metaforiche divagazioni che l’autore crea e plasma. Ci sono colori sensuali e riquadri agghiaccianti che si susseguono senza fine. Una girandola di sensazioni che scivolano via, pagina dopo pagina. C’è passione e amore in questa storia, c’è pathos e cinismo, c’è il male e il bene che lottano, c’è il male dentro e quello che insegue i protagonisti. C’è una guerra inconsapevole. Quella di Murakami è una narrativa ad altissimo livello che non si può fare a meno di leggere. “1Q84” è un libro nel libro, un mondo in un altro mondo. Forse questo libro rappresenta proprio il mondo.

Un ottima lettura, complessa, fantasiosa e spietata, ma allo stesso tempo accattivante e provocatoria.

Recensione “Banana Split” dei Rekkiabilly

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Ci sono generi indimenticabili, che riecheggiano tra le onde sonore dei ricordi e ci sono gruppi che sanno farli rinascere. Ed è il caso dei Rekkiabilly. Sin dalla prima traccia, “6×6”, si sente odore di Rock’n Roll, una pura esplosione di energia e vitalità. Un suono in cui la melodia dei fiati e delle chitarre si fondono e danno vita a brani affascinanti, ricchi di forza e determinazione. E’ ironica e coinvolgente “L’astronauta”, mentre un’altalena di giochi di parole e metafore si può ascoltare in “Sisma”. “Banana Split” ha uno swing contagioso, arricchito da un testo sarcastico e altamente metaforico. “Lulù swing” ha un’anima jazz , come d’altro canto tutti i pezzi di questo album, e una musicalità intrigante percepibile sin dalla prima nota. “Notte, notte, notte” è un inno, una dedica al sapore notturno che i musicisti ben conoscono, il tutto immerso in un ritmo tra swing e blues. “Mezza notte di fuoco” riprende il tema portante del disco, il rock n’roll, con ritmo e suono elegantemente distorto delle chitarre, così come accade in “Il compare”. Energia, sound coinvolgente, e ironia sono gli ingredienti di “La pensione”. “Questo è rock’n roll” è un pezzo il cui titolo dice tutto ed evoca le atmosfere del disco, che si chiude con l’avvolgente e quasi prepotente “Toast e caffè arrosto”. In questo album si possono ascoltare canzoni curate, con arrangiamenti attenti e suoni coinvolgenti. Le melodie dei brani sono attraenti e trascinano con ritmo e vitalità che si sposa con l’eleganza delle interpretazioni dei musicisti e del cantante. Nei pezzi non si può non notare un uso intelligente della metafora e del gioco di parole rende il tutto ancora più intrigante. “Banana Split” è un disco interessante e certamente da ascoltare tutto d’un fiato. Adattissimo agli amanti della musica a trecentosessanta gradi. Per intenditori e per chi vuole lasciarsi trascinare da una musica elettrizzante.

Recensione “Chiamatemi Aiva” di Mc Ivanhoe

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Ivanhoe, per gli amici Aiva, presenta il suo disco “Chiamatemi Aiva” in una doppia veste, street album e Studio version. Li differenziano la tipologia delle basi, più americane nel primo e più classiche nel secondo, ma i risultato è in entrambi i casi è una musicalità curata, un sound attraente e ottimamente costruito. Alcuni pezzi sono particolarmente commerciali, mentre altri ricalcano stili più cari all’hip hop da strada. I temi affrontati sono tanti, da quello della morte come nell’intensa “Esiste un posto”, a quelli più frivoli come in “Vip”. Ci sono anche canzoni in cui i protagonisti sono i sentimenti, ne sono un esempio “Principe de mio Barrio” e “Il nostro libro”, orecchiabili e incisive, anche grazie al ritornello cantato dalla voce femminile. “Ancora una volta” è un pezzo amaro, sofferto, e che si lascia ascoltare. Retrogusto difficile da capire, ma che fa riflettere. “Aiva” ricorda l’hip hop riportato in auge da Fibra, ricca di riferimenti ai rappresentanti hip hip più famosi.

“Hopeless” racconta speranze, amarezze, e la voglia di raggiungere i sogni, le proprie speranze. Flusso di pensieri difficili e voglia di reagire. Sogni. “Quando sto sul beat” è un pezzo che trascina, ballabile, anche grazie dalla base dance. Inizia con una citazione di una famosa canzone di Fabri Fibra “Un’altra strada” e come in quella canzone anche qui si racconta la difficoltà di trovare una via d’uscita con la musica, con la propria passione. “L’ultimo angelo” è un pezzo amaro, con una melodia soffice e dura allo stesso tempo. La vita è difficile, e questo traspira dai versi scritti da questo artista. Odio, strade abbandonate, poche chance da giocarsi, “Un salto nel vuoto” è questo, un affronto alla vita e alle sue difficoltà. Una guerra a suon di note. La chiave di questo album è nella canzone “Questa musica”, ed difficile da accettare. L’hip hop commerciale che si sente in radio ci ha ormai abituati a qualcosa di diverso, e spesso ci cado anche io nel pensare a quello come al rap. Ma la verità è che l’hip hop è la musica che nasce dalla vita di tutti i giorni, dalla voglia di affrontare i giorni tutti uguali, di combattere la rabbia che ci imprigiona. La musica deve essere questo, ed è ciò che Aiva racconta. Sound curato, basi a tratti commerciali, ma che arrivano dritte all’obbiettivo. Comunicare. C’è voglia di arrivare e lo si sente chiaro in “Io non ho” (presente solo nella versione street). Tra i rapper emergenti Aiva ha le carte in regola per arrivare, è orecchiabile e musicalmente capace, sa certamente raccontare la vita. Se fosse un cantautore non avrei difficoltà a definire le sue canzoni complete, ma Aiva è un rapper, e da lui ci si aspetta, oltre alle storie, anche quella dose di “cattiveria”, quella buona ovviamente, quell’essere politicamente scorretto che tanto attira in questo genere musicale e che potrebbe conquistare ancora più pubblico. Detto questo, l’album è bello e si fa ascoltare. La speranza è quella di risentire Aiva sugli stessi palchi di Emis Killa, Ensi. Aiva è decisamente più bravo di Fabri Fibra, quindi le citazioni non sono affatto necessarie. Aiva può trovare una sua identità e differenziarsi da tutti gli altri rapper della scena, deve solo tentare di “osare” un po’ di più e il gioco sarà fatto. Questo artista è umile e bravo. Lo vogliamo il migliore, quindi come tutti i migliori, solo un po’ più dannato.

Recensione “Blank Times” di Fausto Rossi

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Lo stile espresso da Fausto Rossi  è raffinato e intimo. Canzoni particolari, come la ballata dal sapore rock e malinconico “Tu non lo sai” raccontano la storia di questo autore. Melodia avvolgente e voce coinvolgente in “Stars”. “Sogni” ipnotizza con chitarre distorte e parole criptiche mentre un sound particolare, moderno e innovativo esplode in “The Hill” e quasi nella quasi sperimentale in “I write aloud”, un pezzo che appare forte e tormentato. “Names” e “Can’t explain” sono ottime ballate, orecchiabili e intense. “Il vostro mondo” si aggrappa a uno stile classico e innovativo allo stesso tempo, che sperimenta emozioni e le racconta. Parole come suoni distorti e graffianti, temi ricercati. “Non ho creduto mai” racchiude una grinta e una passione per la musica e per la vita che non si può ignorare, una guerra che le note placano, una notte che la musica riaccende, un’anima che grida il suo nome, che ulula a una luna distratta. “Down down down” culla, con una musicalità che entra sottopelle, lenta e inesorabile, forte e profonda, come onde che scavano in fondo all’anima. Struggente e passionale. Parole immerse nel calore di un momento. I pezzi di Fausto Rossi racchiudono tante emozioni, suoni vellutati e talvolta devastanti, brividi che si rincorrono. Echi di suoni lontani, espressi da chi conosce la musica. E si sente. Una miscela che raccoglie sonorità di un rock più classico e le fa sposare con sonorità al limite dello sperimentale. Un’anima dannata forse, quella di Fausto Rossi, ma che sa quel che fa e dove vuole arrivare. Una storia che parte da lontano e un presente che si fa sentire, chiaro e forte come un ruggito di un leone che ha ancora tanto da dire. Musica ottima e di qualità, senza ombra di dubbio. Un ottimo artista che propone un ottimo album, “Blank Times”.