Recensione “Dario Antonetti e la svolta psichedelica il rigore esistenziale”

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Il disco di Dario Antonetti e la svolta psichedelica il rigore esistenziale possiede degli ottimi spunti musicali e molti richiami alla storia della musica e riesce a farsi ascoltare nonostante la cripticità dei testi,  a cui manca incisività. Il brano “Immacolata concezione” ha regala un suono rock melodico, suonato con passione e trasporto, e apre il disco con un’atmosfera epica e trascinante. “Luna di venere” ha un senso enigmatico che si sprigiona dalle note e si espande alla melodia raffinata e avvolgente. Una voce che ripete “non comprendo il senso delle tue parole”, nel girone dannato delle frasi nascoste, tra immagini sfumate e sfuggenti. “Giovanilistici musicisti” è una canzone ipnotica, criptica, nascosta in un testo quasi indecifrabile, unita a un suono che riempie l’aria di sensazioni strane e psichedeliche, un esplosione epiche di suoni che esplodono in un finale bello da ascoltare che lasciare riemergere ricordi sopiti nel tempo. “Pensiero nevrotico” è un pezzo che cela echi musicali con origine negli anni ’70, miscelati a un pop rock ricco di richiami alla storia musicale del genere. Gli intermezzi Ultrapressione risultano lunghi e poco integrati con il resto dei pezzi. “Tu ci caschi sempre” risuona con parole che si ripetono, ossessivamente, su un bel suono. Purtroppo, poco altro. “Tartarughe eccetera” mostra un testo criptico e atmosfere raffinate. Il brano “Il rigore esistenziale” è orecchiabile, ha parole apparentemente  semplici su una semplice melodia. L’atmosfera è accattivante, ma poco incisiva.

In questo disco si sente la voglia di creare qualcosa di originale, partendo da basi certe e conosciute. Si percepisce il tentativo di evoluzione dei brani presentati, ma il risultato ottenuto non è ancora pieno, manca incisività e testi più forti. L’ossessività di alcuni concetti può andar bene ma forse è necessario tararli in modo che lascino dentro qualcosa, altrimenti risultano belle melodie con qualche parola di contorno.  Da riascoltare al prossimo lavoro.

Recensione “I giorni della fionda” di Denis Guerini

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Un sound che nasce dal teatro e si evolve in una forma diversa. Canzoni che racchiudono suoni  e immagini. In “Luisa sente le voci” emerge una voce intensa e un suono incantevole di chitarra, per dar vita a un racconto enigmatico e trasparente che diventa canzone. “Le persiane del centro” inventa un’atmosfera ovattata, con suoni che scivolano tra le ombre, che si ingarbugliano tra i pensieri. “Caffè amaro” è teatrale e sognante, Jazz e melodica, questo pezzo è tratto da uno spettacolo teatro-canzone e si sente, sia dal sound che dall’arrangiamento. “Mi piace questo giorno” è un incedere di divagazioni e immagini di  un giorno qualsiasi, immerso tra le sensazioni passeggere, come di fronte al finestrino di un treno. “Questione di abitudine” è viva, con un’anima jazz e colori accesi che sembra rincorrersi tra le note e i versi, come tratti da un racconto di periferia. “La normalità” raccoglie pensieri che girano intorno al concetto che regala il nome alla canzone e alla necessità di sentirsi necessariamente diversi, non normali, chiedendosi quale sia davvero l’equilibrio giusto per vivere senza essere giudicati, appunto, “normali”. “La donna del viale” è un’istantanea che racconta di un attimo, di una donna, degli sguardi che la scrutano. Parole che cercano il senso dell’immagine, il senso dell’essenza, difficile da raccontare. In questo racconto però si riesce quasi a percepire la presenza di questa donna, e si riesce quasi a sentirne il profumo. “Il timido” è un personaggio in cui molti possono immedesimarsi, ricercare la propria anima. E’ un concetto, astratto in parte, molto reale nella sua essenza. E’ parte di noi. “La vacanza” è una bolla che è anche un luogo, fantastico e reale allo stesso tempo. Tra luogo comune e immaginario, questo pezzo si fa ascoltare col suo ritmo e la passione che traspare dalle sue parole. Nel pezzo “L’ipocondriaco” emerge un nuovo personaggio folkloristico, protagonista e fragile, incantato e impaurito.

In questo disco vengono raccontati numerosi personaggi, che parlano di se stessi, delle loro paure, delle fobie e dei sogni. Uno spettacolo tra musiche jazz e parole, versi e suoni incantati. Nel silenzio di una platea che ascolta, queste canzoni si rincorrono dal primo all’ultimo pezzo. Si sentono, in alcuni casi troppo, i richiami a De Andrè e Gaber.

Recensione romanzo “Il segno dell’untore” di Franco Forte

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576, in una Milano sconvolta dalla peste bubbonica e dalla fame è l’omicidio del commissario della Santa Inquisizione Bernardino da Savona a smuovere gli animi. Un caso difficile per il protagonista, il Notaio Taverna, con l’aiuto dei suoi due fidati collaboratori Tadino e Rinaldo, si districa nella ricerca del colpevole nel bel mezzo di una guerra diplomatica tra Corona di Spagna, Chiesa e Santa Inquisizione. Conflitti e ricatti, pressioni e inganni, in una corsa contro il tempo che non risparmia nessuno. Nicolò Taverna lotta fino all’ultimo per riuscire a risolvere il caso di omicidio e del misterioso furto del Candelabro del Cellini, rischiando la sua stessa vita. La sua ricerca coinvolge anche Isabella, una giovane donna con gli occhi verdi, che riesce ad alleviare il dolore per la perdita della moglie Anita. Il romanzo “Il segno dell’Untore” di Franco Forte riesce a evocare le atmosfere di un thriller in un romanzo storico. Una miscela esplosiva. La trama colpisce e attrae, i personaggi sono originali e affascinanti. Il protagonista Nicolò Taverna è determinato e sicuro di sé, forse creato dall’immaginazione di Franco Forte, forse no, ma la cosa importante è che conquista il lettore rendendo attraente uno dei periodi storici più oscuri, in cui anche i monatti, gli uomini che si occupavano di portare via i cadaveri degli uomini morti di peste, diventano intriganti e misteriosi. La passione si scontra con la morte, in una sfida che conduce a un unico vero vincitore: il lettore.

Non perdete la presentazione de “Il segno dell’untore” il 9 maggio alle ore 18.30 alla Biblioteca Multimediale Archimede di Settimo Torinese. Oltre al romanzo, Franco Forte presenterà la raccolta “365 Storie d’amore” edita da Delos Books.

Recensione “Senza pensieri” dei Gossip Killer

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Il progetto dei Gossip Killer è aggressivo e ruggente. Hip Hop con ottima musicalità e testi taglienti garantiscono bei pezzi come “Uragano”, che ha un ritmo coinvolgente e un ottimo sound. “Me stesso, te stesso” racconta la consapevolezza della voglia di rivalsa, della rabbia, dei sogni, dell’anima e delle difficoltà da superare per arrivare alla vittoria. I temi trattati nell’album “Senza pensieri” sono tanti e diversi, si passa dall’affrontare il mondo delle banche, con la sua ipocrisia, la sua spietata mentalità, alla guerra del commercio, del mercato, paragonando la mentalità italiana che si trasforma giorno dopo giorno nel meccanismo cinese, in cui l’uomo svanisce per diventare quasi un piccolo ingranaggio di un sistema che non si può e non si vuole cambiare. In questo disco si parla di introspezione e sofferenza, di ricerca della libertà, che si nasconde tra rime e determinazione, come in “Schiaffi in faccia” in cui si raccontano le difficoltà nella vita, la consapevolezza di dover reagire. Uno dei temi più complessi che questo disco affronta è il rapporto con i Social Network, l’apatia e l’ipocrisia di rapporti che altro non sono se non finzione. La condivisione del niente, il finto contatto. Il racconto amaro di una società che si è persa tra i cavi dell’etere. Si parla anche di religione in questo disco e lo si fa nel modo più sprezzante e duro. Un quadro che descrive il meccanismo di ragionamento del Vaticano, modificando la storia e spesso imponendola. Le parole sono taglienti, forse scorrette, ma che non nascondono delle verità. I Gossip Killer attaccano la politica e raccontano le difficoltà della vita, la ricerca di una via d’uscita che per loro è la musica. Non si vergognano di parlare di sentimenti ed emozioni, con lo sprezzante cinismo che solo il rap riesce a evocare. Contestano il meccanismo dell’immagine, delle emozioni vendute a basso costo ai magazine. Si percepisce amarezza tra le loro rime, ma anche una grande forza e determinazione. Le basi sono dinamiche e aggressive, i versi sono trasparenti e spesso furenti, e raccontano il mondo in tutte le sue sfaccettature. Molta importanza viene data agli aspetti sociali e umani, mettendo a fuoco l’istinto, la rabbia e la passione per creare una musica pronta a colpire e a evocare lo spirito di rivalsa.

Recensione “Atmosfere” di Spillo

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L’album “Atmosfere” di Spillo è un disco energico e ricco di spunti interessanti. Ci sono pezzi più sentimentali e altri più aspri e duri. Il primo brano “Ancora una volta” possiede un bel beat e rime fluide. Un degno intro che prepara l’ascoltatore ad apprezzare i pezzi successivi.  “Non voltarti” racconta una storia d’amore e le emozioni amare di un addio, forse la rassegnazione, di certo un nuovo inizio. “Tic Tac” è arricchito dal featuring di Daniel Mendoza. Il testo aspro, sociale, racconta l’Italia e le sue contraddizioni tra politica e religione. “Ciò che non sarò” parla di pensieri e nostalgia, di una favola grigia, tra fumo e incanto. “Resta sveglio” contiene suoni che la strada racconta, i sogni che si celano tra le rime, respirando musica. “Più su” è evoluzione in rima, una volontà che diventa passione, una ricerca che diventa canzone. “Dirti addio” è ritmo con parole amare, il racconto dettato dalla nostalgia, da una malinconia che è ricordo, pensieri che non si possono dimenticare. Ma si deve. “Departure” è sfogo, voglia rivincita. Di arrivare. Di continuare a sognare. “Cibo per l’anima” parla della sfide, della necessità di arrivare. Di rabbia. “Non c’è più” è un pezzo, un blocco con appunti di viaggio di una città, in cui nascere e rinascere: Palermo. “Possibilità” è un flusso di pensieri e coscienza, di parole e sentimenti. Rivalsa, riscatto. Parole oltre le scritte sui muri. “Play” regala parole che si incastrano, che raccontano, che istigano a sognare. Ancora. “Atmosfere” è un pezzo ipnotico, un arrivederci, che chiude un disco amaro e duro, ma anche ricco di sentimenti ed emozioni. Il disco di Spillo contiene ottime basi con un suono molto curato, parole studiate e arrangiamenti molto convincenti. Si percepiscono sentimenti di rivalsa. Attendiamo Spillo con nuove canzoni, siamo certi che possa raggiungere livelli ancora più alti, magari approcciandosi a temi più complessi e difficili che certamente vivere nella città di Palermo può consigliare.

Recensione “Come se fossi dio” di Leon

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Leon propone un suono moderno, ma con basi melodiche, legate alla storia della musica, con contaminazioni che vanno dal rock, al pop, sino a esplorare musicalità elettroniche e internazionali. Il primo pezzo “Come se fossi dio” è ipnotico e possiede un ottimo sound con un testo coinvolgente e attraente. “Bellissima” è una bella ballata, con bei suoni e parole intense, perse in un’atmosfera incantata. “Canto notturno” è un racconto tra rime e un suono quasi cupo, ma sognante. Che parla dei luoghi oscuri della notte, dei pensieri celati in spazi senza confini. “Encore” è un brano intenso, reso ancora più affascinante dal testo in francese, con un sound internazionale. “Immagini” è una ballata che racconta sentimenti intensi e profondi, tra suoni e poesie. “Profughi” ha un suono che ammalia, che coinvolge sin dalla prima nota, un testo criptico, ma che non nasconde troppo rabbia e la voglia di fuggire. “Ego te absolvo” è una canzone particolare, che affronta un argomento difficile e spigoloso. Tra religione e anima, tra peccato e perdono, tra opere infami e omissioni. Un pezzo da ascoltare più volte. “Giorni di pioggia” regala un rock elettronico, passionale e intenso. Puro. Testo e voce che portano in luoghi sconosciuti. “Nel gin”: qualcosa non va, recita il testo. C’è dell’amarezza che la pioggia consola, che l’alcol ascolta, in una notte come tante, ma, a suo modo, diversa. “Wickerd game” è un brano in francese, con melodia e atmosfera tra rock melodico e pop passionale, una miscela che si fa ascoltare. Il disco “Come se fossi dio” di Leon è ben suonato, ricco di spunti interessanti e di un sound curato e dinamico. I testi sono spesso graffianti, altre volte più intimi, certamente profondi e passionali. Un disco che sa farsi ascoltare. Proposta interessante.

Recensione album “Believe it” di Ila & The Happy Trees

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Melodie frizzanti e una musicalità avvolgente sono le caratteristiche principali delle canzoni di Ila & The Happy Trees. Un disco ricco di pezzi che conquistano sin dal primo ascolto. “Believe it” è una ballata raffinata ed elegante, accompagnata da melodia semplice e armoniosa e guidata da una una voce che ammalia. “TU generico” è brano che racconta l’ipocrisia, gli occhi nascosti dietro un volto che finge un sorriso. Una guerra quotidiana, che un sorriso può placare. Un invito a sognare ancora. Il brano “Sun” possiede un sound che riecheggia tra i violini e una voce sognante, intensa, profonda. Che emoziona. Una leggera malinconia si muove nell’aria, contrastata da un vento che rinasce, che fa guardare oltre la siepe. Un suono che racconta un mondo nuovo. La ballata “Change the worlds” è soffusa, trasparente. Piacevole. “O cè” è un brano cantato in un dialetto, che poi è una lingua. Canzone comunicativa, dolce e sussurrata.“Into a Change” ha sound internazione, nella sua leggerezza, nella sua affascinante melodia. “Quando ero bambino” parla di ricordi, immagini,  e speranze perse tra parole calde ed evocative, che in fondo ai sogni, non si perdono. “Bolla” racconta emozioni che si perdono tra gli accordi di una canzone fresca e viva. “The meaning of life” è intensa e avvolgente, piena di sentimenti che vibrano come le corde di chitarra. “La lingua” è una  canzone melodiosa, che incanta a ogni nota. “Wake me up” è lenta, appassionante, musicalmente incantevole. “Drop water ocean” è un pezzo soave, che chiude con cori e splendida musica strumentale. L’album “Believe it” è intenso, bello da ascoltare. Raffinato ed elegante, ottimamente suonato e con voce armoniosa e un sound internazionale. Un bel disco.

Recensione “The Quite Riot” degli Ordem

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L’album “The Quite Riot” degli Ordem accompagna l’ascoltatore verso sonorità d’altri tempi sin dalla prima canzone “No Life”, al rock melodico con retrogusto malinconico portato al successo da gruppi storici come Gun’s Roses e U2. Proseguendo nell’ascolto c’è “The scent of lights”, una ballata ricca di melodia, rock semplice e puro, senza troppi fronzoli. Il brano “The quite riot” è veloce, con bellissimi virtuosismi di chitarra elettrica, costruiti sulla base melodica ben studiata. “Essential” sembra essere l’aggettivo perfetto del rock degli Ordem: essenziale. Musica che si fa ascoltare e che affascina. L’intro di “Instant’s mind” ricorda il suono dei Dream Theatre, anche nel suo quasi malinconico incedere, in cui la voce rompe il giro di accordi e ha inizio una canzone ricca di atmosfera. “Surrenders to rise” accompagna come durante un viaggio in auto, lungo strade perse in aperta campagna, mentre lontano si intravede un sapore nuovo, dimenticato. “Brand new song” è un brano che si immerge in un’atmosfera energica, con un ritmo che trascina, mentre “Shine on”, sembra rallentare il corso dell’intero album, come volesse far riflettere. Il tempo è più lento, la voce più soffice. Riflessiva. “Everything” riporta con un rif ben studiato a un pezzo grintoso e graffiante. “Mayf” e “Edges” rappresentano un rock, forse più classico, ma sempre accattivante, come d’altro canto tutti i pezzi del disco. “Us” si apre con un rif intimo, suadente ed è così che nasce una canzone quasi sussurrata, che raccoglie sentimenti, emozioni e un profumo che non smette mai un attimo di essere rock. L’album si chiude con “Waterlily”, che mantiene lo stile affascinante degli Ordem, richiami anche in questo caso al rock melodico e passionale che sembrava svanito, ma che questo gruppo ripresenta e lo fa molto bene, riuscendo a mantenere un cuore rock che pulsa, su melodie e sonorità moderne e rivisitate. Un salto nel tempo, e un ritorno alla realtà, malinconia ed energia, rabbia e passione, i punti cardine della musica. Del perdersi e, alla fine del viaggio, ritrovarsi, magari sorridendo di fronte a un tramonto, alla fine di una lunga giornata, di musica.

Recensione “The Quite Riot” degli Ordem

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L’album “The Quite Riot” degli Ordem accompagna l’ascoltatore verso sonorità d’altri tempi sin dalla prima canzone “No Life”, al rock melodico con retrogusto malinconico portato al successo da gruppi storici come Gun’s Roses e U2. Proseguendo nell’ascolto c’è “The scent of lights”, una ballata ricca di melodia, rock semplice e puro, senza troppi fronzoli. Il brano “The quite riot” è veloce, con bellissimi virtuosismi di chitarra elettrica, costruiti sulla base melodica ben studiata. “Essential” sembra essere l’aggettivo perfetto del rock degli Ordem: essenziale. Musica che si fa ascoltare e che affascina. L’intro di “Instant’s mind” ricorda il suono dei Dream Theatre, anche nel suo quasi malinconico incedere, in cui la voce rompe il giro di accordi e ha inizio una canzone ricca di atmosfera. “Surrenders to rise” accompagna come durante un viaggio in auto, lungo strade perse in aperta campagna, mentre lontano si intravede un sapore nuovo, dimenticato. “Brand new song” è un brano che si immerge in un’atmosfera energica, con un ritmo che trascina, mentre “Shine on”, sembra rallentare il corso dell’intero album, come volesse far riflettere. Il tempo è più lento, la voce più soffice. Riflessiva. “Everything” riporta con un rif ben studiato a un pezzo grintoso e graffiante. “Mayf” e “Edges” rappresentano un rock, forse più classico, ma sempre accattivante, come d’altro canto tutti i pezzi del disco. “Us” si apre con un rif intimo, suadente ed è così che nasce una canzone quasi sussurrata, che raccoglie sentimenti, emozioni e un profumo che non smette mai un attimo di essere rock. L’album si chiude con “Waterlily”, che mantiene lo stile affascinante degli Ordem, richiami anche in questo caso al rock melodico e passionale che sembrava svanito, ma che questo gruppo ripresenta e lo fa molto bene, riuscendo a mantenere un cuore rock che pulsa, su melodie e sonorità moderne e rivisitate. Un salto nel tempo, e un ritorno alla realtà, malinconia ed energia, rabbia e passione, i punti cardine della musica. Del perdersi e, alla fine del viaggio, ritrovarsi, magari sorridendo di fronte a un tramonto, alla fine di una lunga giornata, di musica.

Recensione di “Adieu Shangri-la” di Ugo Mazzei

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L’album “Adieu Shangri-la” è ricco di sensazioni e atmosfere piacevoli, di pezzi intensi e profondi e musiche avvolgenti.

Il brano “Fatemi respirare” richiama influenze alla De Gregori, una musica che si perde tra poesia e rock melodico, con un testo che è a tratti provocatorio, certamente intenso. “Sexyroad” sembra ricordare le ballate di De Andrè e allo stesso tempo incantare con atmosfere americane, tra asfalto, polvere e pensieri che rincorrono una sensazione di confusione, dentro. E’ la ricerca di se stessi, delle cose importanti lasciate alle spalle. “C’era” è una ballata impegnata, una storia che incanta e si fa strada dentro i ricordi. Un racconto al ritmo di un tempo lontano, eppure ancora troppo vicino. “Canzone per Chico” è una canzone lenta, quasi inesorabile, come il viaggio in treno, nel tempo, oltre il tempo. Fermarsi a una stazione e guardare il cartelloni degli orari, ma non ci sono scritte, solo la certezza di un altro viaggio. “Oh Susanna” racconta invece un rock sanguigno, con leggere contaminazioni country, una storia appassionata e intensa, con immagini e personaggi degni della narrativa di viaggio. Il brano “Armaggeddon” possiede un bellissimo sound, una ballata brillante e con un ottimo arrangiamento. Un viaggio, una storia. “Oggi” è un pezzo intimo e introspettivo, che parla d’amore, di emozioni e scatta istantanee di istanti rubati e di parole lasciate a metà, di sguardi che rimangono indelebili, nonostante il tempo e le cose che cambiano. Il tema di “Stracci inutili” è dimenticare, lasciare tutto alle spalle. Ricominciare. E’ un pezzo che racconta come rialzarsi, cercando la forza dentro. “Cerchio di fuoco” racconta una fuga, dai o nei ricordi, come in un gioco, aspettando che qualcuno faccia la prima mossa. E’ la storia di un’attesa, forse, di un’eternità. “Adieu Shangri-la” è la canzone che regala il titolo all’album. Come una canzone d’amore, come un addio leggero, senza dolore. Come la malinconia sulle note di diamante e nuvole. Un’estasi senza tempo. Una sfumatura che costruisce un colore, una melodia che vibra al suono dei ricordi.

L’album di Ugo Mazzei è bello da ascoltare, ha richiami a molta della musica leggera italiana, soprattutto a quella cantautoriale. Da De Gregori a De Andrè, passando le Guccini, i testi sono raffinati e ben costruiti, la musicalità e gli arrangiamenti sono molto curati. Un bel disco.