Recensione album “Tutta scena” di Jok e Rueka

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L’album “Tutta Scena” di Jok e Rueka ha radici nell’hip hop italiano più classico e molte influenze dalla musica leggera italiana. I brani sono cantati con passione e i beat sono perfetti per quello che sembra un progetto di “ripristino” di quel rap che molti italiani hanno imparato ad amare. In questo disco non si nascondono le fragilità della vita, proprio come nel primo brano “Tanta nostalgia”, in cui il peso della penna diventa l’alibi per parlare della sofferenze dei giorni più voti. Della guerra contro il grigio dei momenti più difficile, in cui tutto sembra cadere. La forza della rabbia e una chiara citazione degli articolo 31 rendono il pezzo accattivante. “Non ti sento” è sentire il senso più profondo delle cose. La voglia di scappare. Evadere. Imprimere la propria storia. La solitudine che diventa rabbia. Il negativo della foto. In “Dentro ogni storia” c’è il senso dei momenti. Della vita. Dei versi più oscuri. Il brano “Le nostre donne” ricorda per molti versi il sound dei Gemelli DiVersi. Un brano intenso che regala il giusto peso a una figura fondamentale della vita: la mamma. “Il più meglio” è un gioco fatto di sarcasmo, ironia, giochi di parole e citazioni a raffica. Il brano “Rimo perché” è un’onda che si muove tra ironia e realtà. Tra passione e verità. Nel pezzo “Toc Toc” si percepisce amarezza che si perde nel buio. Il senso più profondo tra le cose più semplici. La svolta. L’attimo che può cambiare tutto. Una durezza nata per difendersi. “La notte di san Lorenzo” è l’amaro racconto di un attimo. Quello che cambia tutto. Un desiderio che nulla possa finire davvero. La sofferenza  che diventa ritorno. Un’emozione fitta al cuore. La vita. Ancora. “Non mi viene fa il punto sulla situazione artistica hip hop. Sulle verità di comodo. La civiltà dell’immagine. “Mai più noi” racconta i sentimenti e l’amarezza dell’addio. “La mia vita” parla della vita nel quartiere, delle scelte che poi vere scelte non sono. Le prime immagini che portano dall’adolescenza ai primi palchi, senza dimenticare mai chi si è davvero. “Cenere” ha un beat nato dalla traccia “Volersi male” di Marco Masini e porta in scena i graffi della vita. La rabbia. Quello che resta. “Embè” racconta i valori che svaniscono cercando del successo. Lo schifo che diventa normalità. “Selfmade” è un viaggio passo dopo passo, alla ricerca di una strada lontano dagli sguardi di chi vede gli insuccessi altri come i propri traguardi. In “Nulla di buono” ci sono sogni. Anima. Capire il valore del denaro. E chi sei davvero. “Tutta scena” è un album con forti radici nell’hip hop italiano, pieno di energia e di canzoni forti e orecchiabili. Consigliato.

Recensione album “Late Night Session” di Mocce

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L’album “Late Night Session” del produttore Mocce raggruppa una serie rapper talentuosi che rimano su beat evocativi e affrontano temi comuni tra i rapper emergenti. Si parla di rabbia, di voglia di raccontare le difficoltà nella realizzazione di un sogno. L’album inizia con l’intro “Aria sospesa” in cui ci sono parole dure che riecheggiano su un ottimo beat. “Feeling” ė un brano in bilico tra hip hop e soul. Una traccia intensa che ricorda il sound dei primi Sottotono. Le parole del brano “Rabbia e Sogni” sono rabbiose e raccontano una vita sull’asfalto. Sogni che si rincorrono alla ricerca di se stessi. “Qui da solo” possiede un sound che coinvolge e ricorda la musica da club. Un beat che, anche in questo caso, ricorda i Sottotono, quasi come un tributo per chi li ha ascoltati e amati. “Ora sentici” ė una risposta alla vita creata con le rime. La scuola dell’hip hop che nasce e cresce. Poesia che diventa musica. Il brano “Late Night Session” non è solo divertimento. E’ musica. Immagini che diventano note e versi. Suoni diversi. E’ la voglia di farsi ascoltare. Una musicalità non originale, ma che attrae. In “Persi” viene esplicitamente citato Tormento come maestro. Ed è inevitabile non sentirne le influenze nel pezzo. Il risultato è buono. Melodia attraente e una quantità di versi che diventano musica anch’essi, tutte componenti necessarie per un buon pezzo hip hop. Il brano “Chi sono” ė come guardarsi dentro. Le necessità e i sogni. Ė ciò che serve davvero e che fa vivere. Ed ė anche quello che uccide. Il pezzo “Sempre io” ė l’anima allo specchio. Senza regole. Un viaggio tra sogno e realtà, tra ombra e successo. Il pezzo “Questa realtà” un po’ ricorda il primo Neffa, Un beat che riporta al passato. Una serie di versi che riportano a una realtà fatta di chiaro-oscuri. Di momenti. “Balla per me” è un ballo d’amore che gira intorno ai soldi come attorno a un palo da lap dance e  che forse è una metafora di una vita parallela. Di una vita lontana. La sofferenza messa in mostra. Un sorriso finto. Il beat di “Ci vuole cuore” ricorda il suono degli anni ottanta e suona molto bene. Versi che si rincorrono. Un po’ come lo stile che i Sottotono proposero con l’album “Sempre lo stesso effetto”. Un’ottima scelta stilistica. “Non guardo indietro” racconta storie di vita, semplici, comuni. Ma di vita. Un sound che guarda oltre i giorni d’oggi. Ė voglia di futuro. Ė musica. L’album “Late Night Session” suona bene seppur non brilli in originalità, con atmosfere che riportano al sound dei Sottotono e in generale della mitica “Area cronica”.  La copertina del disco ha una grafica curata e accattivante. Un consiglio per concludere: toccare temi meno comuni nell’hip bop emergente aiuterebbe a proporre una novità che verrebbe certamente accolta con maggior entusiasmo. Nel complesso il disco si lascia ascoltare.

Recensione album “Nowhere but here” di Elle

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Il disco “Nowhere but here” di Elle contiene tante belle canzoni, intense e con un ottimo sound. Il primo pezzo si chiama “Berlin” ed è un ballata appassionata, melodiosa, cantate da una bella e saporita voce. Una voce viva. Il brano “Let me be your eyes” possiede un ritmo incalzante, una grande potenza musicale e un suono in equilibrio tra musica country e anni ’80. “Lover” è un’altra ballata con uno stile internazionale e un cuore pulsante tra le note. L’amarezza di un amore. “Nowhere but here” è una canzone lenta ma inesorabile. La pazienza dei giorni, ovunque. Ma qui. Perdersi. “Killing my love” è un graffio che illumina. Una luna piena che incanta. E fa male. Uccide. L’anima. Il brano “A new life” ha un sound internazionale, semplice e ammaliante. Che fa riflettere guardando fuori dal finestrino di un treno che porta altrove. “She’s alone” è un volo a un passo da se stessa. Lei è sola. Ma ora conosce la strada. E sa dove andare. E’ ben sveglia. E vuole tornare a sognare. Questa volta a occhi aperti. “A lie” racconta le paure, le notti a pensare. Gli occhi chiusi. Ascoltare. Ascoltarsi. Una ballata densa di colori, sia musicali che di emozioni. Riflessi. “Enlightens” regala una musicalità che entra dentro, parla alle lacrime ferme in una stazione persa nella nebbia. Il disco di Elle è carico di sensazioni, che richiama musiche lontane ed evoca ricordi. Riesce a far guardare dentro. E’ passione. Anima. Colore. Un bel disco, per chi ama le sonorità internazionali e le ballate vere e intense. Per cbi vuole emozionarsi.

Recensione album “Murales” di Sonia Mariotti

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L’album “Murales” di Sonia Mariotti è delicato e dolce, composto da canzoni sono semplici e incantate. ”Solo la fine di noi” racconta di un triangolo di specchi, di pensieri e amori imperfetti. “Ballata d’amore” è una canzone semplice. Intensa e malinconica. In “Ogni volta” si sente il dolore, il farsi male, nei giorni a perdere. Nelle verità che si giocano a carte nella partita tra le sfumature della vita. “Murales” vola in un equilibrio labile, tra viaggi e ritorni. Le parole e gli sbagli. Le note leggere, la ricerca di un senso scritto sui muri silenziosi. “Giocami” è una ballata persa nei giochi di parole. Richiami ed echi lontani. Sentimenti e ostacoli. In “Regalami chi sei” si percepisce il corso delle cose, le reazioni intangibili. Memorie. Pensieri instabili. Racconti d’amori intensi pieni e solitari. “Vivo dentro” è la sequenza dei pensieri. Il sussulto in un giorno qualsiasi. Le parole a rincorrersi. “On the hill” è una ballata con un ritmo leggero e una melodia accattivante. “Liberami l’anima” è una poetica ballata d’amore, di paure di perdersi nei rimorsi e nei ricordi. Un disco che miscela semplicità con un linguaggio diretto e dolce.

Recensione “I segreti dell’intelligenza corporea” di Marco Pacori

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“I segreti dell’intelligenza corporea” è un libro particolare, che svela un mondo nascosto, ma che con maggiore attenzione è possibile scoprire. Il corpo parla con un suo linguaggio, a volte criptico, a volte più esplicito, ma che svela la sua identità. I rapporti tra le persone sono regolati da questi comportamenti, i quali, in qualche modo, possono essere modificati per ottenere dei risultati. Il libro racconta i risultati di una serie di esperimenti volti a evidenziare come i comportamenti possano essere modificati mettendo i soggetti a contatto con determinati fattori. Esperimenti basati sulla correlazione tra odore sgradevole, materiali ruvidi, e le reazioni inconsapevoli dei soggetti coinvolti. I capitoli presenti nel libro raccontano l’esperimento, il risultato e i consigli su come usare queste reazioni in vari contesti, come per esempio durante  un colloquio di lavoro. Marco Pacori svela come parlare di “sensazioni di stomaco” non sia scorretto, ma che anzi lo stomaco sia una parte importante del sistema nervoso legata al cervello. Racconta come utilizzare le tecniche collegate all’intelligenza corporea per migliorare determinazione e sicurezza in se stessi o per migliorare creatività e apprendimento. Un metodo che spinge ad allenare questa forma di intelligenza e renderla in qualche modo “disponibile” e utilizzabile. “I segreti del’intelligenza corporea” è un viaggio nel corpo umano, nelle sue contraddizioni e nei suoi meccanismi importanti quanto impercettibili e nelle sue sfumature. Un altro lavoro che Pacori crea per raccontare quello che non sappiamo o che abbiamo sempre sottovalutato, come mettere al servizio il nostro stesso istinto. Semplicemente ascoltando e ascoltandoci.

A cura di Daniele Mosca in collaborazione con Amelia Tipaldi

Recensione album “Murales” di Sonia Mariotti

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L’album “Murales” di Sonia Mariotti è delicato e dolce, composto da canzoni sono semplici e incantate. ”Solo la fine di noi” racconta di un triangolo di specchi, di pensieri e amori imperfetti. “Ballata d’amore” è una canzone semplice. Intensa e malinconica. In “Ogni volta” si sente il dolore, il farsi male, nei giorni a perdere. Nelle verità che si giocano a carte nella partita tra le sfumature della vita. “Murales” vola in un equilibrio labile, tra viaggi e ritorni. Le parole e gli sbagli. Le note leggere, la ricerca di un senso scritto sui muri silenziosi. “Giocami” è una ballata persa nei giochi di parole. Richiami ed echi lontani. Sentimenti e ostacoli. In “Regalami chi sei” si percepisce il corso delle cose, le reazioni intangibili. Memorie. Pensieri instabili. Racconti d’amori intensi pieni e solitari. “Vivo dentro” è la sequenza dei pensieri. Il sussulto in un giorno qualsiasi. Le parole a rincorrersi. “On the hill” è una ballata con un ritmo leggero e una melodia accattivante. “Liberami l’anima” è una poetica ballata d’amore, di paure di perdersi nei rimorsi e nei ricordi. Un disco che miscela semplicità con un linguaggio diretto e dolce.

Recensione “Pensieri raccolti” di Aliceland

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L’album “Pensieri raccolti” di Aliceland è melodioso, dolce e emozionante. I brani sono intensi e soffici. “Chiamerai” è una ballata semplice e appassionata. Un amore. E le ferite che lascia. La canzone “Immagina” possiede un bel suono di chitarre. E’ un pezzo leggero e melodioso con una voce dolce e sognante. “Pianeti” è una ballata struggente con passaggi lenti e con una profondità di immagine. Lati che si nascondono ed esplodono in un ritornello che vibra. Una storia. “Oltre il vetro” racconta una storia d’amore.  Una prigione di sentimenti, dove la noia uccide senza far rumore.  “Tramonto d’estate regala un suono di pianoforte che si sente in lontananza. Come l’eco dei ricordi. Dei sogni. Tutti dormono. Lei raccoglie pensieri e li racconta. Ascolta. In “Segreti notturni si può ascoltare un bel ritmo e una voce soffusa e melodiosa.  “Let me know” incanta con un bel ritmo, un pop rock attraente e affascinante con un ritornello energetico. “Sacred mountain” è una ballata carica di immagini con atmosfere intense e sognanti. “Com’era” parla di un amore d’autunno che va via. Di un freddo che arriva, col peso dei ricordi. Le ferite. I cambiamenti forzati. Le nuove abitudini. “Il gioco” racconta gli sguardi. I sogni e i discorsi che tornano. Pensieri che restano sospesi tra anima e passato. In “Ovunque” c’è l’istantanea di una nuova vita, di un racconto. Ritrovarsi forti. Dopo la turbolenza, dopo il vento e le tempeste. Ritrovarsi. “Sand and silence” ci si lascia trasportare dal suono melodioso e profondo e dalle sfumature e brividi. Ritagli di istanti.  “Spengo” è come chiudere gli occhi. E dimenticare. Perdersi. Restare incantati mentre si scopre che il cuore non sa dormire. Come non sa farlo la vita. “Crying” è una ballata profonda e intensa. Alice ci regala un disco che si lascia ascoltare, c’è passione, c’è musica ben suonata e canzoni semplici ma molto intense. Fa sognare e pensare. Un bel disco.

Recensione album “I-taliani” dei Sine Frontera

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Il disco “I-taliani” dei Sine-Frontera raccoglie sonorità rock e folk e crea un’atmosfera ricca di energia. Il brano che regala il titolo all’intero album “I-taliani” trascina tra ironia e folklore con una musicalità tra ska e musica popolare. Tra storia e dissacrante un’analisi dell’attualità. E’ un pezzo dinamico e carico di contenuti. “Hombres” è una ballata che ricorda le radici della musica italiana impegnata che hanno fatto la storia, con un ritmo che unisce modernità alla classicità della musica popolare. Quella che sa far ballare e allo stesso tempo riflettere. Non è una cosa semplice, ma i Sine Frontera ci riescono molto bene. Il brano “No soy borracho” racconta un viaggio e una storia d’amore d’altri tempi. Guerre lontane e con quel desiderio di rivoluzione che nasce e vive nei sentimenti più semplici. Eppur quelli che spingono a combattere. La canzone “La ruota” è una metafora dove i luoghi più comuni si fondono con i più comuni pensieri. Le amarezze, i sogni, come una corsa in bici. In salita. Metro dopo metro, ma continuare a vivere. A sperare che tutto cambi, e proprio come una ruota, tornino i tempi migliori. “Il villano” possiede un testo sporco, ma vero. Un racconto che parla di un personaggio scomodo, forse inadatto al tempo di oggi, eppure così attuale. Un controsenso? Un po’ come lo è la realtà. “Jessi e il bandito” è un brano con una musicalità da vecchio west e personaggi che sembrano usciti dalla letteratura. E l’epica storia di un bandito. “Dietro il portone” è una ballata in dialetto mantovano che racconta una storia senza tempo, quella dei deportati di un campo di concentramento. Racconta la perdita dell’identità. Dietro il portone è la metafora della morte della memoria. La citazione in questa canzone è doverosa: “Se questo è un uomo”. Il brano “Camillo e Peppone” nasce dalla filmografia più classica, dove i sentimenti sono in bianco e nero, dove la lotta è passione. Politica e religione, interessi contrastanti, che uniscono due personaggi, due cuori, che continuano a battersi. “Io son di” è un pezzo rock con suoni distorti che raccontano un mondo da un punto di vista ben preciso: “io son io e voi non siete un cazzo”. Una dissacrante parodia della politica, che poi non si discosta affatto da quello che la realtà ha dimostrato. “Fiocco di neve” è una ballata che racconta il Natale e un’attesa di un fiocco di speranza. Di vita. “Peace and freadom” è un saluto. Parole senza tempo, che riassumono il pensiero di questo gruppo e lasciano un sapore di speranza, necessaria alla fine di un disco e di ogni racconto che si rispetti. Questo disco racconta la continuità di un genere musicale senza tempo, che dalle pianure mantovane raggiunge il mondo, e dalle stesse pianure raccoglie la storia di popolo. Di un paese. Per farne musica. La musica.

Recensione romanzo “Sulla sedia sbagliata” di Sara Rattaro

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Quattro storie difficili, in cui i sentimenti sono la trama stessa. Storie che sembrano lontane, ma che sono unite da un unico filo conduttore. Gli occhi di una madre. Gli occhi di un figlio. La ricerca di se stessi, delle pieghe della vita che allontanano da quello che davvero che si vorrebbe. Da quello che sei. Quattro immagini diverse. Andrea che sotto effetto di stupefacenti uccide la fidanzata Barbara. La narrazione a effetto consente al lettore di capire il punto di vista dell’omicida, analizzando la struttura del perché di quell’atto, e della madre, la cui immagine perfetta viene infangata e sbattuta in prima pagina. Sono due anime le cui storie si scontrano, e, in fondo, si incontrano. Un viaggio a ritroso nel senso più completo della vita e della morte. Questo romanzo racchiude infatti anche la storia della mamma di Barbara, che vede uscire la propria figlia da casa, per non vederla tornare mai. E’ il suo dramma, la perdita della realtà, della propria coscienza. E’ la sua follia. Un’altra istantanea è la storia di Valeria che scopre l’amore, ma solo per un attimo. Fino a quando scoprirà dal telegiornale che il ragazzo che ama ha ucciso la madre. E’ la storia di Zoe, che attende un trapianto, una vita normale. Un amore. Questo romanzo è un viaggio in queste quattro storie e in tanti punti di vista molto differenti tra loro. L’attenzione si sofferma sul rapporto madre figlio (o figlia), sull’accettazione di un dolore a cui non si può più porre rimedio, e su tutto ciò che, in qualche modo, ha portato a quella situazione. Ai sensi di colpa, le paure inespresse, la voglia di scappare lontano semplicemente per non vedere e non capire ciò che sta accadendo. E’ lo scontro con il senso di abbandono e con la necessità di ritrovare la vita, se non più quella di prima, una vita. Si parla di rabbia, di sogni, di dolore. Di perdono. Un vortice che trascina il lettore nell’alternarsi della narrazione delle storie, in cui si percepisce la medesima genesi del dolore e dell’amore stesso. Un treno, tanti viaggiatori e stazioni. Un punto di arrivo. Diverso per tutti.

Recensione libro “I segreti del linguaggio del corpo” e intervista all’autore Marco Pacori a cura di Amelia Tipaldi e Daniele Mosca

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“I segreti del linguaggio del corpo” di Marco Pacori è un libro che con una assoluta semplicità svela principi complessi del comportamento degli uomini. Il testo è suddiviso per aree che man mano accompagnano il lettore alla scoperta dei segreti del linguaggio del corpo. Si inizia con una panoramica per scoprire le ragioni scientifiche, i principi di funzionamento del cervello e in particolar modo della parte che da origine ai segnali: l’amigdala. Nel libro vengono spiegati concetti importanti come lo spazio prossemico, quello spazio che nel dialogo tra due persone varia in funzione della tipologia di rapporto ed è minore quanto più il rapporto è stretto e come imparare a osservare i comportamenti per capire il significato dei segnali non verbali. Ci sono numerosi esempi visivi che descrivono come cogliere i segnali dal primo incontro, dal modo di camminare allo sguardo, dalla stretta di mano alla postura dell’interlocutore, poiché ognuna di queste gestualità può determinare e specificare le intenzioni, come quelle di voler delimitare il proprio territorio, analizzando le similitudini con il comportamento degli animali. Man mano che la descrizione di questi segnali prosegue, si entra sempre di più nei meccanismi cerebrali che hanno luogo durante il dialogo, raccontato con semplicità come individuare principi di ansia, paura o fastidio, fino a quelli di piacere, attenzione e interesse. Ma la cosa più importante è la correlazione sulle modalità di utilizzo come regolatori della conversazione stessa per renderla più piacevole e per rendersi maggiormente attraenti. Viene evidenziata l’importanza delle sfumature dei segnali inviati durante il dialogo, poiché dietro queste si nascondono i pensieri e le opinioni dell’interlocutore. L’analisi di tutte queste informazioni porta il terrore a cercare di capire qualcosa che a suo modo appare affascinante: la menzogna. E’ un po’ il fulcro del libro, quello in cui si spiega come mettere in pratica gli insegnamenti per svelarle, semplicemente con l’osservazione. Questo libro è un viaggio nella psicologia dell’uomo, nelle sue reazioni più elementari, eppure fondamentali per i rapporti sociali in cui ci si deve relazionare. Esempi concreti, come l’utilizzo di queste tecniche a scopo terapeutico, come da parte di uno psicologo o medico, agenti di polizia, maestri, fino ai semplici discorsi tra persone comuni. Ogni movimento del corpo racconta dei segreti, anche a se stessi. Questo libro racconta con disarmante semplicità la tecnica e la possibilità di utilizzo dei segnali non verbali ed entra nel merito delle varie tematiche con dovizia di particolari e con esempi concreti. C’è un mondo in ogni aspetto descritto in questo testo, l’insieme permette di vedere il prossimo come una miniera di gesti che normalmente non riusciremmo a notare e ad ampliare la comprensione dei messaggi che gli altri inviano, pur senza esserne coscienti. Un testo intrigante e interessante, adatto a tutte le tipologie di lettori. Scritto in modo comprensibile e scorrevole, con le illustrazioni che aiutano nella spiegazione. Assolutamente da leggere.

Abbiamo posto alcune domande a Marco. Ecco l’intervista.

Capire in anticipo quello che pensa il proprio interlocutore sicuramente porta notevoli vantaggi ma a volte non sarebbe meglio non saperlo?

C’è un’unica relazione in cui é consigliabile tenere alcune informazioni per sé:  il rapporto di coppia. In questo contesto venire a sapere dei sentimenti o di dettagli sessuali di un legame precedente potrebbe ferire. Così, in questa situazione potrebbe rivelarsi svantaggioso leggere nel comportamento dell’altro, specie se la lettura avviene in modo superficiale o riduttiva.

L’interpretazione dei segnali del corpo va fatta, infatti, all’interno di un contesto: se ad esempio, riferendoci all’esempio sopra, notiamo che il nostro partner si passa la lingua sulle labbra (un segno di piacere) quando vede la foto di un ex, potremmo provare gelosia ritenendo che provi ancora dei sentimenti. Tuttavia, potrebbe averlo fatto solo perché questa persona le ha risvegliato un ricordo piacevole e non perché attualmente ne sia ancora innamorata.

Negli altri rapporti interpersonali é invece auspicabile capire cosa passa nella mente dell’altro e se quello che dice coincide con ciò che pensa.

Dopo avere riconosciuto le proprie emozioni e’ possibile mascherarle?

Se proviamo un’emozione questa innesca una reazione immediata e istintiva; questa reazione provoca una determinata espressione del volto e dei  movimenti del corpo (come un sollevamento delle spalle nella paura o una contrazione delle mascelle nella rabbia). Possiamo cercare di inibire queste manifestazioni, ma qualcosa trapela comunque: in questo caso, assisteremo ad una microespressione (un atteggiamento che compare sul volto per circa 1/25 di secondo) o ad un’espressione soffocata (che dura più a lungo, ma l’espressione é solo parziale).

I neonati hanno da subito la capacità di riconoscere le espressioni sul volto della madre? Quando perdiamo questa capacità?

La ricerca e le osservazioni sullo sviluppo e sull’acquisizione delle abilità sociali hanno dimostrato che queste insorgono molto precocemente; La ricerca scientifica lo dimostra chiaramente. Ad esempio, Tiffany Field assieme ad altri colleghi ha notato come i neonati prestino una maggiore attenzione visiva quando un volto cambia espressione, suggerendo così implicitamente che questi ultimi sono in grado di discriminare la mimica facciale poco dopo la nascita. Inoltre, Charles Nelson con precise misurazioni ha appurato che i neonati sono in grado di distinguere una faccia arrabbiata da un volto felice. Mikko PeltolaJukka Leppänen e altri studiosi, dal canto loro, hanno appurato, registrando l’attività cerebrale, che i bambini di sette mese sono in grado di cogliere la mimica facciale della paura.

Queste capacità aumentano con l’esperienza; decrescono però con l’invecchiamento in linea con la perdita di altre abilità cognitive e questo ha inizio attorno ai 50 anni. Il declino é attribuito al fatto che una struttura essenziale nel riconoscimento delle emozioni (la corteccia prefrontale) si deteriora con l’età molto più rapidamente di altre regioni cerebrali.

Questa perdita di “acume” non riguarda solo le espressioni facciali, ma anche gesti, posture, movimenti del corpo e caratteristiche vocali delle emozioni e sembra riguardi più le emozioni negative (come rabbia, tristezza, paura e disgusto) che quelle positive (felicità, entusiasmo, ecc.).

Probabilmente conosce il telefilm Lie To Me, in cui il protagonista è capace di usare le tecniche descritte sul libro fin quasi all’esasperazione. Fino a che punto queste tecniche sono utilizzabili dal punto di vista scientifico, o nel merito di una indagine? Qual è la massima attendibilità che si può raggiungere?

Lie to me ha come consulente scientifico Paul Ekman, la massima autorità nello studio delle espressioni facciali; tuttavia é fiction e come tale deve innanzitutto destare l’attenzione e la curiosità dello spettatore. Ne é derivato così un compromesso in cui alcune conclusioni di Cal Lightman  (protagonista principale del telefilm) sono verosimili; altre sono molto enfatizzate. Nel riconoscimento della menzogna tutti gli studiosi sono d’accordo su un punto: i segnali, per lo più non verbali, su cui ci si basa, sono indizi, non segni inequivocabili di bugia. In alcune puntate sembra che invece sia possibile, non solo di dare un’interpretazione certa, a partire da un solo comportamento o espressione facciale, ma che da questa si possano trarre tutta una serie di conclusioni all’apparenza logiche e coerenti: questa però non é scienza, ma intuizione.

In ogni caso, tecniche di questo tipo (il riconoscimento delle micro-espressioni facciali, alcuni segnali del corpo e degli indizi linguistici) vengono utilizzati dall’FBI o dall’Interpool per distinguere la verità dalla menzogna e con un buon grado di attendibilità. Naturalmente, non basta: é necessario che questi indizi vengano suffragati da prove concrete.

Un esempio di come il linguaggio del corpo possa rivelarsi utile nelle indagini criminali ci viene da una ricerca degli  psicologi Stephen Porter e Leanne ten Brinke.

Questi studiosi, analizzando il comportamento non verbale dei familiari di persone scomparse in 78 appelli diffusi in TV hanno scoperto che chi parlando del proprio congiunto esprimeva, anche per qualche istante, un’espressione di disprezzo e un ghigno molto probabilmente era responsabile della sparizione. Prendendo come spunto questa scoperta ho esaminato numerose interviste di Sabrina Misseri e Salvatore Parolisi in relazione alla morte di Sarah Scazzi e di Melania Rea. In entrambi i casi, riportando la mia analisi e le conclusioni nel mio libro “Il Linguaggio della Menzogna” ho rilevato nella prima micro-espressioni di disprezzo e rabbia parlando della cugina e disprezzo e un sorriso mal celato nel secondo quando raccontava della sparizione di sua moglie Melania.

Secondo lei in politica è possibile che il segnale non verbale possa essere utilizzato per ampliare il consenso mediatico tramite le televisioni?

Si vocifera che Obama,  il presidente americano, abbia usato in modo intenzionale particolari  gesti e comportamenti per indurre l’elettorato a scegliere lui. In ogni caso, é ormai risaputo che politici e manager “vanno a scuola” di linguaggio del corpo per migliorare la propria immagine, saper comunicare in maniera più efficace e soprattutto persuasiva.

E’ quindi difficile vedere un politico durante un dibattito o un confronto in TV fare segnali negativi, come chiudere le braccia, incassare la testa fra le spalle o assumere posture raccolte: tendono infatti a parlare esponendo i palmi delle mani verso l’alto in segno di onestà e franchezza, a sorridere spesso, a stare con le braccia distese e aperte, a toccare e stringere le mani di chi li va ad ascoltare ai comizi (un comportamento molto accattivante).

La credibilità e la sincerità sono valori giudicati molto importanti dall’elettorato.

Al riguardo, vale la pena di citare l’esito di una recente indagine condotta dagli psicologi

Eryn Newman  Maryanne Garry, Daniel Bernstein assieme ad altri colleghi.

Questi studiosi hanno dimostrato che basta la presenza di un’immagine (anche non pertinente) a fianco di un politico mentre fa i suoi proclami per aumentare la supposta veridicità di quello che dice: un “trucco” tanto semplice quanto efficace!

In che modo i supporti tecnologici possono diventare delle barriere? Sono in grado a lungo termine di modificare la comunicazione non verbale tra le persone?

Telefonini, chat, social network limitano molto il contatto diretto: é inevitabile quindi che anche la comunicazione cambi: ad esempio, si é stimato che é più facile mentire con un sms, tanto che c’é una tendenza piuttosto diffusa a “raccontare” frottole (anche parziali) con questa tecnologia.

Il fatto che l’interazione non sia immediata non significa però che manchino dei messaggi non verbali.; solo che sono di tipo diverso. In uno studio Joseph Walther e Lisa Tidwell hanno rilevato che un email suscita un effetto diverso in rapporto a quando viene mandata. Se riguarda il lavoro e viene spedita la sera o di notte da l’impressione che chi la invia sia una persona sicura di sé; per contro, se é un messaggio amichevole il mittente appare più dominante se la spedisce di giorno.

Anche il tempo di risposta ha il suo peso: una comunicazione di lavoro viene percepita in modo più positivo in orario d’ufficio se é breve; mentre, infastidisce se lo stesso accade di notte. Le cose si ribaltano nei messaggi fra amici: se uno risponde la notte da l’idea di essere cordiale e empatico.

a cura di Amelia Tipaldi e Daniele Mosca