Parliamo de #IlMorandazzo, un libro di Massimo Pica

Pubblicato il Pubblicato in Recensioni

“Il Morandazzo” é un libro esilarante e lo é nella sua semplicità, acutezza e qualità dei contenuti. Brevi freddure che raccontano interi film in tre righe, con ironia, sarcasmo e un po’ di cinismo. Il risultato é un libro che fa ridere, ma che allo stesso tempo evoca le trame di film più o meno conosciuti. Battute secche, dirette, che non si allontanano troppo da ciò che potrebbe essere una breve recensione. Idea brillante e dinamica, ideale per chi cerca una lettura leggera e spensierata, ma anche agli amanti del cinema che, per una volta, vogliono prendersi un po’ gioco della loro passione. Si passa da “Rambo” a “Fight Club”, da “Il Sesto Senso” a “Eyes Wide Shut”, in un viaggio che sa di risate e buon umore e che vi lascerà la voglia di guardare tanti film.

La comicità dissacrante di Massimo Pica non potrà lasciarvi indifferenti.
“Bambino vede la gente morta
Lo dice a uno psicologo morto.
Così però non ne uscirà mai.”
Massimo Pica
da “Il Morandazzo”

Recensione dell’album “Roba lieve” dei La Rosta

Pubblicato il Pubblicato in Recensioni

Entriamo nel mondo dell’album “Roba lieve” di La Rosta. Il primo brano è “Per un momento ancora”, una ballata che racconta un viaggio, una vita. L’istinto. “Una canzone sui binari” è un pezzo che accompagna l’ascoltatore con la sua melodia e il suo testo che è poi un racconto di una fuga senza guardarsi alle spalle. “Roba lieve” viaggia con le note sulle metafore della vita, dell’amicizia e della ricerca di se stessi attraverso, appunto, il viaggio. “La solitudine” è una canzone introspettiva, anche in questo caso raccontata con la metafora del viaggio. Anime in viaggio, che cercano una strada. “Troppo tempo qui da solo” è un brano che racconta una forma moderna di solitudine, una sorta di auto-isolamento imposto dalla tecnologia dei giorni nostri. La vita che diventa asettica. Lontana. “Via Adua” è un pezzo strumentale orecchiabile e intenso. Un intervallo in musica.”Tra i tuoi sogni” un brano onirico, l’attesa, il ricorso. Al Sogno. “L’estate dell’80” parte con un il suono di una fisarmonica. Il riferimento a una serie di ricordi e icone degli anni 80. Una metafora per raccontare che il tempo trascorre, silenzioso. E che si cresce. “Le lucciole” è la poesia di un ricordo, tra le parole perse. L’attimo. “Emma” è la storia di una vita schiacciata dalle necessità, dalle scadenze del tempo che scorre. La vita e le sue rinunce e sacrifici. Sperare, tra i silenzi, di cambiare tutto. E respirare. E scappare. “Lizzy luz” è la ballata che chiude l’album con una storia sospesa, che sembra l’ultima stazione di quello che è stato un viaggio nel presente, nel passato e che attende il futuro. “Roba lieve” è un album complesso e ricco di ottime melodie. Un’anima cantautoriale e radici nel folk e nella musica popolare, quel mix che rese possibile la genesi dei brani di De Andrè. Canzoni ben costruite, intense e accattivanti.

Recensione del romanzo “I custodi delle stelle” di Luigi Bonomi – Spunto Edizioni

Pubblicato il Pubblicato in Recensioni

Il romanzo “i custodi delle stelle” é scorrevole e possiede il giusto grado di ironia e mistero che rende la lettura decisamente gradevole. Si percepisce un grande lavoro di ricerca alla base delle creazione delle scene che riguardano la storia dell’ex manicomio di Collegno. Tra leggende e misteri l’autore Luigi Bonomi racconta la genesi del manicomio e delle storie che da sempre lo hanno accompagnato. Non mancano i riferimenti a cavalieri e reliquie, a perditempo e soprusi, il tutto in una chiave di lettura leggera solo all’apparenza. ma che lascia molti spunti di riflessione. Per esempio fa venire voglia di andare a scoprire i luoghi dell’ex manicomio, immaginare ciò che accade nel romanzo e non é cosa da poco. I personaggi sembrano strampalati eppure possiedono le caratteristiche di quelli che tanto tempo fa frequentavano quei luoghi. La ricostruzione storica anche da questo punto di vista é accurata e intensa. Don Luigi é un personaggio pungente e determinante, mentre il suo compare di sventura Balista riesce a essere esilarante e misterioso allo stesso tempo. A fare da cornice alla storia una serie di personaggi apparentemente minori ma che svolgono un ruolo fondamentale nell’architettura della storia. Nell’immagine di questa abbazia persa nella nebbia si puó sentire la presenza dei monaci certosini. Il brivido dei riti e delle ipocrisie di paese. Un viaggio nel passato che non lascia delusi. Una tecnica narrativa essenziale, priva di superflue descrizioni. Non mancano citazioni tratte dalla tradizione piemontese. I “custodi delle stelle” é un romanzo particolare, piacevole e interessante.

Due parole sul film “Steve Jobs” di Danny Boyle, con Michael Fassbender e Kate Winslet

Pubblicato il Pubblicato in Recensioni

Parliamo del film Steve Jobs, una pellicola sicuramente particolare e molto attesa dal pubblico che maggiormente ha seguito le imprese di un personaggio importante del mondo della tecnologia moderna. Il film racconta tre momenti, gli attimi precedenti a tre delle presentazioni che con il senno di poi hanno fatto storia. Tanti dialoghi, tante discussioni concitate, pochi minuti che durano un’eternità. Un vortice di questioni che devono necessariamente concludersi in poco tempo ma che in realtà si trascinano in tutto il film. Un teatrino semi straziante tra il protagonista, la madre di sua figlia e, appunto, sua figlia. Rapporti conflittuali che non riescono a nascondere grandi forzature con la finalità di descrivere Jobs come un uomo che “tutto sommato” aveva un gran cuore. Molti sono i temi spietatamente informatici trattati un po’ maldestramente, comprensibili per chi li conosce, molto meno per chi non li tratta. Parlare di velocità di un processore si può fare, ma non in quel modo. Detto questo il film riesce a essere scorrevole, forse grazie al continuo ricorso al flashback. La trama però risulta troppo forzata e si da troppo per scontanto della vita di Jobs. Si parte dal presupposto che tutti già conoscano la sua storia, quella vera. Si tratta di un punto di vista, di una rotta che parte bene ma che poi si perde. Sicuramente il rapporto con la figlia rende la storia più gradevole, ma ci si continua a chiedere per tutto il film “ma sarà stato poi davvero così?”. E’ un film, d’accordo, ma che sembra troppo lontano dalla realtà. Il risultato è che il film non convince, pur guardandolo con l’occhi di chi l’informatica la conosce e che ha letto diverse biografie in merito. E ascoltando i pareri dei non addetti ai lavori, convince ancora meno la platea più ampia. Quindi il film sembra essere più un bell’esercizio di stile del regista Danny Boyle e dei due attori principali Michael Fassbender e Kate Winslet. Un film molto atteso, ma che si rivela deludente.

Recensione de “Il romanzo di Matilda” e intervista all’autrice Elisa Guidelli

Pubblicato il Pubblicato in Recensioni

Il romanzo di Matilda è intenso, accurato nelle sue ricostruzioni storiche ed emozionante.Un personaggio storico come quello molto discusso di Matilda di Canossa diventa grazie alla narrazione di Elisa Guidelli una protagonista di una storia avvincente che potrebbe sembrare frutto di fantasia se non si trattasse di una storia vera. Elisa romanza la storia di Matilda ricostruendola fase dopo fase con attente ricerche storiche. Quella di Matilda é una storia controversa che vede al centro della scena lo scontro tra papato e impero, la guerra tra due personaggi carismatici: Papa Gregorio VII ed Enrico IV. Sicuramente molto noto è l’episodio dell’umiliazione dell’imperatore Enrico a Canossa di fronte a Papa Gregorio, ma il romanzo offre la possibilità di andare ben oltre e di capire la genesi di questa lunga battaglia. Elisa svela pagina dopo pagina la vita di Matilda, i suoi amori, le vicende politiche che la spingono a difendere i possedimenti della sua famiglia e la Chiesa di Roma. Matilde é una donna forte, una donna di fede, che mette la difesa della cristianità al centro della sua vita. La difesa della chiesa di Roma diventa una missione. Strano è il rapporto che nasce tra Matilde e Ildebrando di Soana e ancor più strano diventa quando quest’ultimo diventa Gregorio VII, uno dei papi più noti per essere stato uno dei più grandi riformatori della chiesa. Tra loro c’è una forte amicizia che ben presto svela qualcos’altro. Il romanzo di Matilde é avvincente e decisamente coinvolgente, una narrazione serrata e intensa, che scava nell’animo dei personaggi scena dopo scena. Un po’ come ne “i Pilastri della Terra” o “La cattedrale del mare”, in questo romanzo si sente la forza della storia che è essa stessa protagonista e che rende giustizia a una figura storica discussa. Matilda è stata molto per il papato e molto per l’Italia, la sua visione politica ha gettato le basi per le fasi storiche successive e per l’Italia di oggi. Un personaggio a cui andrebbe riconosciuto molto di più di quello che le é stato riconosciuto nei libri di storia. Elisa le rende sicuramente onore, consapevole che alcuni aspetti di questa storia possano urtare alcuni palati fini della storia matildica. Tanti sono infatti gli studiosi e gli storici che si sono cimentati nel raccontare le gesta di questa donna, a partire da Donizone, il monaco amanuense che ha raccontato la storia della Grancontessa che é arrivata fino a noi. Tante sono le storie e che spesso e volentieri si sono concentrate sugli aspetti privati e sentimentali di questa guerriera dal cuore nobile. Matilde per esigenze politiche sposa un uomo che non ama, Goffredo il Gobbo. Quest’ultimo muore in circostanze tragiche, ma già da questo episodio ne consegue una rivisitazione particolare raccontata in di questo romanzo. La storia di Matilda è una storia che fa riflettere e con la regia di Elisa Guidelli raggiunge livelli epici di narrazione, frutto di una raffinata elaborazione delle informazioni storiche, un’opera che consiglio di leggere. Non si può non amare questo romanzo, così come non si può non amare Matilda. Un romanzo avvolgente, passionale e carico di sfumature. Un viaggio nel passato e uno a sguardo nel presente. Una penna raffinata e coinvolgente. Una storia da leggere.

Ho posto alcune domande a Elisa, ecco cosa ha risposto.

Matilda è un personaggio discusso e non poteva non essere così anche per il tuo romanzo. La mia prima domanda è: quanto lavoro ci è voluto per creare questa storia?

La ricerca è durata una decina di anni, la stesura del romanzo un anno e mezzo. Sono arrivata alla scrittura con le idee abbastanza chiare, ho creato uno schema che mi aiutasse a non perdermi tra date, personaggi e intreccio e ho concentrato la narrazione in un unico blocco perché evitare che risultasse frammentaria, discontinua o confusa.

Analisi storica, elaborazione e fantasia. In che percentuali?

L’analisi storica costituisce la base, e tutto lo scheletro del romanzo è costituito da date verificate e fatti reali. Gli intrecci tra i personaggi, i rapporti tra di loro sono alle volte suggeriti dalle esigenze di narrazione e dalla mia anima di romanziera, ma rimangono comunque plausibili: la bellezza dei romanzi storici sta nell’andare a cercare dove l’autore ha “barato” lasciandosi trasportare dall’immaginazione.

Uno dei punti più complessi del tuo romanzo è sicuramente il rapporto tra Matilda e Gregorio VII, la tua versione si discosta molto da quella delle altre biografie pubblicate. Ci racconti la genesi di questa scelta?

Il rapporto tra Matilde e Gregorio è sempre stato motivo di contrasto. Chi vi vede una coppia sacra, chi due amici intimi che condividono grandi ideali, chi una figlia orfana alla ricerca di una figura paterna che la proteggesse, chi due amanti, o ancora chi un’aspirante monaca plagiata da un papa senza scrupoli. Ho resettato tutto e cercato di dare una mia personale chiave di lettura, secondo la mia sensibilità e quello che mi hanno suggerito le letture su questi due grandi personaggi, che hanno vissuto e affrontato insieme un periodo così travagliato come l’XI secolo.

Hai scritto diversi romanzi, cosa rappresenta per te “il romanzo di Matilda”?

Un punto e a capo. È stato un lavoro con cui ho misurato tutto quello che avevo letto, studiato, imparato, e con cui ho messo a frutto la scrittura e gli errori e il lavoro di dieci anni di pubblicazioni molto diverse tra loro. Ho sempre desiderato scrivere questo romanzo, l’avevo in testa dal 1999, riuscire a portare a termine il progetto è stato il coronamento di un sogno.

Nel raccontare la storia di Matilde descrivi le caratteristiche del territorio in cui la protagonista ha vissuto, un’Emilia Romagna diversa da quella di oggi. È stato importante vivere in quei luoghi per comprendere l’importanza di Matilda?

Molto importante, perché viaggiando attraverso le sue terre e i suoi castelli hai comunque la dimensione della grandezza di Matilde e vivi l’emozione di ripercorrere i suoi passi. Credo che sia fondamentale per capire un personaggio, anche se molto lontano dal tuo tempo, avere la possibilità di calarsi totalmente nel suo vissuto anche attraverso i luoghi che l’hanno vista transitare o accolta per lunghi periodi: era una viaggiatrice, non si fermava mai, ma aveva dei castelli a cui era legata e tornava sempre con affetto.

Credi che questo personaggio sia sufficientemente conosciuto e studiato in Italia a livello storico?

In Italia è conosciuto dagli “addetti ai lavori” e da chi si occupa di storia e arte e di recupero del patrimonio (turistico e non) del territorio, ma in genere non molto (o quasi nulla) dalle persone che non fanno parte di questi canali. Come potrebbero? Gli stessi libri di storia liquidano Matilde con un trafiletto. Per questo a mio avviso un romanzo può aiutare ad avvicinarsi al personaggio e poi, da lì, passare ai saggi per approfondirlo.

La tua penna ha reso ancora più epica la storia di Matilda, si sente che ami il personaggio di cui hai scritto: qual é stato il momento in cui ti sei detta “voglio raccontare la sua storia”?

Ero bambina, il mio amore per lei nasce quando ero molto piccola e per la prima volta vidi Canossa. Era un tarlo che avevo da trent’anni.

Molti momenti storici noti, altri meno noti, tanti altri appena accennati, altri ancora sconosciuti. Può aver influito il punto di vista del Vaticano? Si può parlare di censura in molti testi editi che parlano di Matilda?

Matilde di Canossa è un’idea, un’icona. Ha mille volti e mille specchi, a seconda di come è stata utilizzata e strumentalizzata da tanti per far passare un modello, un progetto, una causa. Purtroppo le fonti sono scarse, e comunque sono tutte filtrate: da lei, che teneva a far passare una certa immagine di se stessa, dagli avversari, che la demolivano, dai sostenitori, che la glorificavano. Sono comunque tutte lenti falsate, e per me è stato difficile cercare la donna sotto gli strati dei numerosi ruoli che la storia non solo sua contemporanea le ha cucito addosso.

Lo scontro tra impero e papato è uno dei temi fondamentali della storia di Matilda, poco si sa dell’importanza che ha avuto nella nascita dell’Italia per come la conosciamo oggi. È un concetto corretto?

La lotta delle investiture è un momento drammatico e cruciale che precede il momento storico in cui nascono i comuni e di fatto, l’Italia per come la conosciamo ora. Penso che abbia ragione Cantarella quando parla di “lungo Medioevo” in cui siamo immersi ancora oggi. Siamo ancora impregnati di alcune ideologie che nascono proprio nell’Alto Medioevo o, ancora, alla fine del mondo antico. È che ci sentiamo troppo originali (o studiamo troppo poco la Storia) per accorgercene.

Matilda. Una donna e i suoi amori, i suoi sacrifici per un bene superiore, secondo te sono concetti ancora attuali?

Attualissimi. È ancora difficile per una donna, oggi, dopo mille anni, conciliare carriera e vita privata. Spesso si è costrette ancora a rinunciare all’una per avere l’altra, e comunque senza risultati certi e sempre passando sotto il giudizio implacabile della società, proprio perché donne. Potrei direi, sull’onda della risposta alla domande precedente, che per certi versi non mi pare sia cambiato tantissimo dal Medioevo ad oggi.

Se non ci fosse stato Ildebrando, Matilda avrebbe difeso così tanto la Chiesa di Roma?

Questa è un’ottima domanda, la storia “fatta con i se” è un gioco che mi ha sempre affascinato. Credo, per la mia sensibilità, che no, Matilda senza Ildebrando non si sarebbe spinta così oltre. E comunque, allo stesso modo, credo che Ildebrando senza Matilda non avrebbe mai potuto fare quello che ha fatto. Sono due anime affini e ambiziose che si sono trovate per portare avanti un progetto, e così hanno fatto finché è stato loro concesso il tempo per sostenersi a vicenda.

Nel tuo romanzo affronti il tema del rapporto uomo-donna in modo raffinato e spesso evidenzi il ruolo che alla donna era stato assegnato. Come sarebbe cambiata la storia se ci fossero state più donne come Matilda al potere?

Sarebbe cambiata in meglio, per le donne di oggi. Che forse farebbero meno fatica. Una donna deve mostrare e dimostrare di essere capace il doppio per ottenere la metà dei riconoscimenti rispetto a un uomo, è un dato di fatto, lo si vede in ogni ambiente e in ogni categoria lavorativa. Mi auguro che qualcosa, in futuro, possa cambiare in meglio, ma è la mentalità a essere ancora ferma, l’evoluzione è molto lenta quando si tratta di questo argomento.

Stai lavorando a un nuovo libro? Scriverai ancora romanzi storici?

Ho iniziato le ricerche per un nuovo storico, ma sono ancora agli inizi: le fasi di lettura, ricerca bibliografica, scoperta e riscoperta sono quelle in cui mi diverto di più. Dopo arrivano le fatiche, ma ci penserò quando mi sentirò pronta per cominciare a scrivere. Nel frattempo me la godo.

Ringrazio Elisa per la gentile collaborazione.

#Parliamodi “Sospetti sul lago”. L’autrice Anna Serra ci racconta il suo romanzo

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

“Sospetti sul lago” è un romanzo che racconta il viaggio di una donna tra le sfumature di un amore sfumato, tra le parole non dette, le emozioni mancate. La protagonista è Rossella, una psicologa che vive in una solitudine che tale non è, cerca l’amore in un marito assente. Cerca il suo aiuto, la presenza e si ritrova sempre sola. Irrimediabilmente sola. Ed è a margine di questo labirinto di cristallo che Rossella incontra Stefano, un uomo che risveglia le sue emozioni, la sua passione. Qualcosa dentro di lei rinasce, anche i sogni sembrano risvegliarsi come fiori di campo, ma una notte accade qualcosa. Un episodio che cambia la sua vita. Che la annienta. Lo stupro. La paura ha due occhi azzurri, occhi che Rossella inizia a vedere ovunque. Occhi che mettono in discussione anche Stefano. Tutto cambia. Un bacio che diventa inferno, un sogno che si tramuta in incubo. L’incedere di passi che rievocano l’abisso, petali di fiori taglienti come lame. L’amore diventa qualcos’altro, una indecifrabile sensazione, l’incomprensione, il mistero, la certezza che frana come un castello di carte. “Sospetti sul lago” è un romanzo che pone il lettore di fronte al proprio timore più ancestrale, quello che non concede scampo. La volontà di scoprire l’inganno, la volontà di capire ciò che nel profondo è inspiegabile. La verità e le sue diverse dimesioni. La storia è ambientata in luoghi che mostrano una innegabile bellezza e che allo stesso tempo sono misteriosi, celano inquietudine proprio nella traquillità della loro essenza. Un contrasto che sembra rivivere nell’animo di Rossella, il veleno e il suo antidoto. L’amore che nella solitudine trova la sua dimensione, un equilibrio labile, pronto a cadere quando le labbra di Rossella sfiorano quelle di Stefano. Quando l’amore diventa il suo contrario.

“Sospetti sul lago” tiene il lettore in equilibrio sul filo di una storia tormentata, esplora e divora il senso delle cose, le stravolge e le mostra nella più piena nudità delle emozioni.

Ho posto alcune domande ad Anna Serra:

Rossella è una psicologa, cerca di curare l’infelicità altrui, ignorando la propria. Da dove nasce la gabbia di cristallo che le hai creato intorno?

Effettivamente Rossella, essendo psicologa, ascolta giornalmente i tormenti dei suoi pazienti, cercando di porvi rimedio come meglio sa fare. Ma è lei per prima a vivere nell’infelicità. Apparentemente la sua è una vita perfetta, da sogno: ha un lavoro che la gratifica, un marito benestante che le garantisce una quotidianità agiata e una casa stupenda. Cosa desiderare di più? Ma di fatto si tratta, come dici tu, di una gabbia di cristallo: il matrimonio in sé diventa una gabbia nel momento in cui il marito si allontana sempre più da lei, lasciandola sola a gestire una vita costruita per due.

Il personaggio di Alberto è protagonista e allo stesso tempo non protagonista, in che momento della storia assume questa sua caratteristica?Alberto, il marito della protagonista, diventa sempre meno centrale nella storia per colpa delle sue assenze e della sua distrazione. Rossella si allontana progressivamente da lui e arriva ad un punto in cui l’amore coniugale pare spezzarsi definitivamente. Alberto c’è, è presente in tutta la storia, dall’inizio alla fine, eppure fin da subito assomiglia più a un “fantasma”: si lascia assorbire dal suo lavoro, dalle responsabilità di una mansione professionale d’alto livello e non si impegna seriamente nel rapporto con la moglie. Anche quando lei ha un disperato bisogno di lui, Alberto è sfuggente; nella classifica dei suoi pensieri più importanti Rossella pare non esserci.

Stefano è un personaggio particolare, entra nella storia come un sogno, poi le ombre lo avvolgono, quasi fino a farlo scomparire. Anche in questo caso sembra essere un protagonista che non assume un ruolo principale, qual è la genesi di questo personaggio?

Stefano effettivamente entra nella storia con le sembianze del principe azzurro: fisicamente attraente, simpatico, sensibile. Non perde occasione di regalare fiori a Rossella e a volte le parla come un poeta, come un uomo d’altri tempi. Il vuoto sentimentale scavato dal marito, viene poco a poco colmato dalle attenzioni e dalla galanteria di Stefano. Rossella resta affascinata dai suoi modi di fare, il sentimento di amicizia diventa qualcosa di più forte ed intimo, poi drasticamente tutto cambia e il personaggio di Stefano, prima cristallino, viene inghiottito dalle ombre del sospetto e si carica di mistero. Sembra nascondere una doppia personalità, una doppia vita. L’angelo potrebbe essere, in realtà, un demone. L’uomo buono sembra nascondere una faccia inquietante e pericolosa.

Volevo appunto dar vita ad un personaggio misterioso, ambiguo, che appare in un modo, ma che potrebbe anche essere l’esatto contrario di ciò che sembra.

Sospetti sul lago possiede le sfumature del thriller e le caratteristiche del romanzo di narrativa, come definiresti il tuo genere?

Non lo ingabbierei in un unico genere. E’ un romanzo introspettivo in cui prevalgono i sentimenti, pezzi di vita reale, le riflessioni di una donna alle prese con una situazione difficile; in altri momenti ci avviciniamo al thriller con passaggi in cui la tensione, la suspense e la drammaticità crescono.

Nella storia sembra esserci un filo conduttore nascosto che sembra ruotare attorno a un personaggio apparentemente secondario, come è nata la figura di Gino?

Gino è l’anziano giardiniere tuttofare, uomo instancabile che trova sempre un rimedio ai problemi casalinghi di Rossella. Nei lavori manuali è praticamente il sostituto di Alberto: interviene là dove il padrone di casa è assente e lavativo. E’ descritto come una figura paterna, quel padre che lei ha perso troppo presto. E’ uno dei punti di riferimento della protagonista. Lo vediamo fischiettare allegramente mentre è all’opera tra fiori e piante, rendendo meno cupe le giornate di Rossella.

Diciamo che per costruire la figura di Gino mi sono ispirata a mio padre: quando ho un disguido in casa, qualcosa da mettere a posto, chiamo lui! Non che sia un esperto di bricolage, ma mi ha aiutato molto quando ho messo su casa.

I luoghi hanno un ruolo importante in questa storia, sembrano raccontare l’inquietudine di Rossella, sei molto legata a questi paesaggi?

Il romanzo presenta numerose descrizioni del paesaggio e delle sue metamorfosi secondo le stagioni. I luoghi spesso riflettono lo stato d’animo della protagonista oppure le danno conforto nei momenti più bui. La storia è ambientata nella zona di Avigliana, non distante da Torino, all’imbocco della Val di Susa, con uno sguardo rivolto all’imponente e antichissima Sacra di San Michele. E’ un luogo che personalmente apprezzo molto: a due passi dalla città, nel parco naturale dei laghi di Avigliana ci si immerge nella natura e nella quiete. L’odore dell’acqua, l’ombra degli alberi, lo starnazzare degli anatroccoli, l’ondeggiare delle passerelle galleggianti, le barche ormeggiate a riva, i chioschi dove sorseggiare una bibita o gustare un gelato …. Vi consiglio una rilassante passeggiata! Non rimarrete delusi!

Nel tuo romanzo scrivi di un amore conflittuale, che nella sua essenza appare come una condanna. Quanto è importante l’amore per Rossella?

Rossella è una donna dallo spirito romantico, che in parte crede nella favola del principe azzurro. Per lei l’amore è importantissimo, oltre al suo lavoro è un valore in cui crede molto e quando ha affrontato la scelta del matrimonio, lo ha fatto credendoci fino in fondo e pensando che fosse per sempre. Ma il suo consorte non l’aiuta in tal senso, rendendo le cose più complicate. La condivisione, lo stare insieme, il dialogo, la complicità vengono meno, logorando un rapporto che avrebbe potuto essere speciale. Rossella ce la mette tutta per salvarlo, per renderlo eterno, come aveva immaginato il giorno del “sì”.

La protagonista subisce una delle peggiori violenze che una donna possa subire: lo stupro. Cosa potrebbe mai curare una tale ferita?

Purtroppo Rossella vive un momento molto drammatico: è vittima di uno stupro che le lascerà ferite nel corpo e nell’anima. Diventa diffidente, avverte minacce ovunque, le sue notti sono invase da inquietanti incubi. Proprio lei che è psicologa, abituata a gestire crisi interiori, si trova a dover risolvere e superare un grande disagio.

Come si potrebbe curare una simile ferita? Di ricette non se esistono, ovviamente. Credo che solo il tempo possa aiutare a dimenticare almeno parzialmente il trauma subito. E avere accanto persone che ti vogliono bene, amici, famigliari che con il loro calore e il loro amore ti guidino verso un senso di normalità. Anche il lavoro può aiutare: concentrarsi in ambito professionale e ricevere gratificazioni può essere molto utile per non pensare troppo a quanto accaduto.

La maternità è un tema che viene trattato nel romanzo quasi con cautela, legato al personaggio di Rossella, e che in qualche modo sembra sfuggirle. Perchè questa scelta narrativa?

Sì, è vero, si parla di maternità ma sottovoce. E viene descritto il suo lato più oscuro, meno gioioso: l’altra faccia della medaglia. Rossella scopre di essere incinta in un momento in cui la sua vita matrimoniale si incrina e inizia a domandarsi se suo marito sarà un buon padre, se troverà il tempo da dedicare alla piccola creatura che sta prendendo forma dentro di lei. Comincia a fantasticare sul figlio in arrivo, immaginando di udire la sua vocina risuonare fra le stanze, ma la dolce attesa subirà un duro colpo, lasciando profonde cicatrici nell’anima che faranno male soprattutto nei suoi incubi notturni.

Stai lavorando a un nuovo romanzo? Ci sveli il titolo?

Ebbene sì, c’è un nuovo romanzo in lavorazione, anzi, direi che è terminato. Ci lavoro da molto tempo, ancor prima della stesura di “Sospetti sul lago”, ma l’ho rimaneggiato e stravolto mille volte, finché sono arrivata alla forma definitiva!

La scelta del titolo è ancora in cantiere. Posso solo fare alcune anticipazioni sul contenuto. Innanzitutto non è una continuazione di “Sospetti sul lago” ed è narrato in prima persona. La protagonista è una signora settantenne che ricorda con nitidezza le tappe più significative della sua esistenza, passando attraverso i suoi numerosi e tormentati amori. La donna che fu e quella che è vengono messe a confronto, con le loro debolezze, rimpianti, errori, ma anche con il loro coraggio e forza. E quando si entra nella cosiddetta “terza età”, la vita è ancora capace di regalare stimoli inaspettati per il futuro.

Ringrazio Anna per la gentile collaborazione e per aver raccontato la storia di Rossella.

#Parliamodi “Isolde non c’è più”, il nuovo romanzo di Bianca Rita Cataldi

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

Il romanzo “Isolde non c’è più” racconta la storia di un ragazzo, Golvan, e dei suoi pensieri più segreti. I sentimenti che si trasformano e che diventano da semplici a complessi. Golvan è innamorato di Gwenn, una ragazza irraggiungibile, perennemente innamorata di qualcun altro. Golvan vive delle sue amicizie che tali non sono davvero, per cercare di trovare se stesso attraverso un equilibrio che non c’è. Nella vita di questo giovane ragazzo c’è però una donna, un’amica fidata. Importante. Lei è più grande e, spesso, più matura, Isolde, appunto. Il rapporto che nasce tra Isolde e Golvan e intenso e completo. Si conoscono l’un l’altro come nessun altro. Sono complici, confidenti. Loro due sono dei veri amici. Ma qualcosa con il trascorrere del tempo cambia. Qualcosa dentro Golvan, cambia. Così la storia prende una strada inaspettata. Tutto si complica. Il mistero di un sentimento strano, che lega due mondi apparentemente lontani. E Isolde, all’improvviso, scompare. Per Golvan si apre la sfida più difficile della vita. Ritrovare quella donna per trovare se stesso. “Isolde non c’è più” è un viaggio nella mente di un ragazzo che sta diventando uomo e di una donna che sa di essere tale. E’ la storia degli addii e degli amori che non nascono, ma che si trasformano. E’ un intrecciarsi di emozioni e ricordi, di storie. Bianca Cataldi riesce anche questa volta a dare luce al mistero più profondo del rapporto tra le persone, a intrigare con una storia dalle radici semplici. La narrazione è fuida, veloce e mai banale. Una storia che è poi quella di tutti noi. Racconta le debolezze e le paure e allo stesso tempo anche la voglia di ricominciare, e di cominciare. L’amore. Perché è di questo che stiamo parlando. I sogni, il vortice e l’ossessione di cercarsi negli occhi di qualcun altro. Svelare la trama che si nasconde nei pensieri più astratti. E l’incanto delle parole che raccontano la storia di un protagonista, di quel ragazzo che si affaccia alla vita e alle sue contraddizioni, alle aspettative tradite. Quei sentimenti che però non muoiono, ma si alimentano e si mostrano come fumo che continua a uscire dalla cenere. Tutte le sensazioni di una vita, che Bianca narra con la consueta e ormai affermata maestria.

#Parliamodi #CapoScirocco di Emanuela Ersilia Abbadessa

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

Il romanzo “Capo Scirocco” di Emanuela Ersilia Abbadessa è affascinante, intenso, passionale, intrigante. E’ una macchina del tempo che trascina il lettore in una Sicilia carica di sapori, pensieri e di una inconsapevole bellezza. L’autrice racconta con maestria i controsensi dell’amore e della vita stessa. La follia di un sentimento, del desiderio e il fascino perfido del successo. L’apice e il vortice. Il paradiso e l’inferno, nello stesso istante. “Capo Scirocco” è un romanzo con una forte componente teatrale, una tragedia moderna, uno specchio che costringe a guardarsi dentro. I personaggi sono l’essenza profonda dell’animo umano, nelle contraddizioni e nei particolari che diventano i veri protagonisti della storia. Della protagonista, Rita, non ci si può non innamorare. Trasuda fascino e personalità, il suo amore è carnale e spirituale, incantato e disincantato. La sua è un’anima a cui manca qualcosa, e la cerca nel teatro, poi negli occhi di Luigi, senza trovarlo mai. Luigi è un ragazzo, che cerca di essere uomo, senza diventarlo mai. Anna è una ragazza, che vuole sentirsi donna. E accetta di esserlo, proprio quando vorrebbe fermare il tempo. Mimì è il cinismo, che cela la lealtà. I profumi di una terra che sembrano raccontare le vite stesse dei protagonisti. Il mare che racconta. Il vento che narra. “Capo Scirocco” è una storia che racchiude la storia di ognuno di noi. Delle sue paure, delle ambizioni che spazzano via ogni cosa. Della resa e del ritorno. Del giorno che svela la notte. Il bacio rubato. Il bacio necessario. Ogni parola di questo romanzo è un racconto a sé. Uno stile moderno e classico, allo stesso tempo L’ossimoro che è l’anima stessa del romanzo. La luce e l’ombra. L’essenza. Un romanzo da non perdere.

Ma andiamo a conoscere l’autrice di “Capo Scirocco”:

Donna Rita è un personaggio controverso, una donna passionale e allo stesso tempo devota. Come è nata l’idea di questo personaggio?

Non credo che Rita sia molto diversa dalle donne che conosco. La devozione, nel caso del personaggio è un pretesto legato all’ambiente in cui vive: il vero dissidio è tra l’essere e il dover essere e in questo credo sia simile a molti, non solo alle donne. L’approccio passionale alla vita è tutto femminile ma le pressioni sociali sulle sue scelte penso possano riguardare un po’ tutti. Solo con la maturità si riesce a prendere le distanze da ciò che gli altri pensano di noi e Rita ha una maturazione complessa e incompleta che associo al fatto di non essere stata madre e di sentirsi sempre un po’ figlia di qualcuno. L’ho modellata sul tipo delle eroine dell’opera italiana, la fonte di ispirazione e il gioco che ho voluto inscenare è proprio il melodramma ottocentesco con amori a tinte forti.

Luigi nasconde molti dei lati negativi degli uomini, quasi un cieco egoismo che non gli consente di vedere la sofferenza che può provocare una sottile indifferenza, cosa ti ha spinta a disegnare quell’ombra di cinismo in questo personaggio?

Io amo i personaggi cinici in letteratura e in qualche modo anche nella vita perché spesso, non sviati dal filtro delle convenzioni sociali, arrivano al fondo delle cose. Ma Luigi più che cinico è semplicemente tronfio e ambizioso, il vero cinico è l’amico Mimì che io amo follemente, il solo cioè a vedere la realtà per ciò che è, e anche il solo a comprendere infatti il dramma che si sta consumando. Il problema di Luigi è simile a quello di Rita: anche lui è un immaturo, cresce fisicamente e nella scala sociale ma così in fretta da non avere il tempo di maturare all’interno una vera consapevolezza dei sentimenti.

Terzo e non meno importante protagonista della tua storia: Anna. Il suo candore si scontra con gli interessi e con un amore puro. Anche in questo caso c’è quella contraddizione, che spesso è la chiave dell’anima di tutti gli esseri umani. Scrivendo il libro hai mai davvero “tifato” perché rubasse lei il cuore di Luigi?

Anna è il più moderno dei personaggi, sa quello che vuole e quando si innamora lo fa con consapevolezza e con altrettanta consapevolezza comprende quando è il momento di lasciare la scena. Non ho mai tifato per lei perché sapevo già dall’inizio come sarebbe andata, i miei personaggi non fanno nulla che io non mi aspetti, a volte possono prendere strade più lunghe ma alla fine arrivano esattamente dove avevo previsto.

Si sente il sapore di una Sicilia caliente, pura e inconsapevole della sua bellezza. Come è cambiata dal periodo storico in cui hai ambientato il romanzo a oggi?

Credo che la Sicilia sia cambiata moltissimo sul piano sociale e quindi il giogo della chiesa e della famiglia adesso abbia lo stesso peso che ha in altre parti d’Italia o d’Europa. Non penso invece sia mutato l’approccio alla vita, la passionalità. L’idea di bellezza inconsapevole mi piace molto, grazie per avermici fatto pensare, e, sì, credo che la sola vera bellezza sia inconsapevole e in questo la Sicilia non credo sia cambiata così come è la stessa la fierezza antica che possiede e che rappresenta uno degli altri contrasti di cui abbiamo detto.

Emanuela Ersilia Abbadessa. Un’artista eclettica e comunicativa, una tecnica fine e affasciante, ma chi è davvero Emanuela? Cosa nasconde?

Nel mio cinquantesimo anno di vita ho deciso di cominciare a tatuarmi per una serie di lunghe e complesse ragioni che affondano nella mia infanzia e che ho raccontato in una pagina del mio blog. Quando pensai al primo tatuaggio non ebbi alcun dubbio: da adolescente, leggendo l’Antologia di Spoon River mi colpì molto l’epigrafe di Serepta Mason, soprattutto il verso che dice: “Voi non vedeste mai il mio lato in fiore”. Allora avevo risolto di volerlo sulla mia tomba e al momento di pensare al primo tatuaggio mi resi conto che quella frase mi corrispondeva ancora perfettamente e così ho deciso di farmela scrivere sulla pelle: “My flowering side you newer saw”. Perché io sono una donna trasparente, mi racconto senza filtri e senza pudori, chi mi conosce sa quanto riesca a consegnarmi a chi ho davanti ma in realtà esiste un lato di me nascosto che credo non potrà mai essere visto da nessuno. Quindi non è che io nasconda ma forse semplicemente ho l’esigenza di tenere qualcosa per me proprio per arginare questa smania di rivelarmi.

Leggendo il tuo libro ho pensato a una “tragedia moderna”, cosa c’è dello stile classico nel tuo romanzo?

Credo soprattutto la lingua. Il mio romanzo è scritto interamente in italiano senza alcuna concessione al dialetto siciliano (vezzo molto di moda ultimamente che non amo). Credo contenga due sole parole tratte dal mio idioma locale. Una è una “parola del cuore” per me, picciridda (il modo in cui mi chiamava mia nonna paterna e poi mio marito) e vastasi usata per indicare i trasportatori del pianoforte e dunque usata secondo l’etimologia greca, da bastazo, appunto. Per i popolani, ma non solo per loro perché anche donna Rita vi indulge, ho pensato a costruire alcune frasi secondo la sintassi siciliana e quindi col verbo alla fine della frase, oppure ho usato alcuni avverbi italiani nell’accezione squisitamente catanese. Ma davvero poca cosa. Io sono italiana perché parlo l’italiano e scrivo in italiano; le coloriture locali sono il massimo che credo possa avere cittadinanza nella mia scrittura e non discendono da un desiderio di realismo (l’iperealismo, che è altra cosa, l’ho riservato alle descrizioni) quanto piuttosto dalla possibilità di modellare la lingua pur restando aderente all’italiano.

Una forte componente religiosa è parte integrante della storia, che rapporto hai con la religione?

Ho avuto una formazione cattolica e sono stata cattolica, anche praticante, per molti anni ma non solo. Amo la teologia e ho approfondito la lettura delle Scritture e lo studio di alcune religioni, soprattutto quelle monoteiste. Sono passata poi dall’agnosticismo all’ateismo e tale mi ritengo adesso pur avendo rispetto per le fedi altrui.

L’amore. Angelo e demone in tutte le sfumature del tuo racconto. Come non chiederti qual è il tuo rapporto con l’amore.

Ottimo! Ho amato, amo e sono riamata, cosa potrei chiedere di meglio? Anche se a volte penso che l’amore si sopravvalutato. Mio marito diceva sempre che nulla è eterno e persino la Quinta Sinfoniadi Beethoven un giorno sparirà. E se è così per un capolavoro del genere figuriamoci se può essere eterno l’amore!

Teatro e musica. Il tuo romanzo trasuda passione per queste due cose. Dove nasce questa simbiosi che hai saputo creare nella tua storia con i tuoi personaggi?

Nasce dal mio lavoro. Io ho sempre lavorato con la musica e amo il melodramma quindi al momento di scrivere, volendo divertirmi con un genere che amo mi è sembrato naturale scegliere questa forma.La musica è parte integrante del romanzo ed è presente a tutti i livelli sia strutturalmente perché Capo Scirocco è costruito appunto come un melodramma ottocentesco, sia perché possiede una “colonna sonora” grazie alle Arie e ai brani che vengono eseguiti. Poi sono presenti Verdi e Wagner: ciascuno è associato a una delle due protagoniste. Verdi a Rita Agnello, vera eroina da melodramma; Wagner ad Anna Cucè, razionale e amante della musica d’Oltralpe. Il contrasto tra i due musicisti e tra le due donne ricalca la querelle che proprio alla fine dell’Ottocento si agitò in Italia sull’eccellenza di Verdi o di Wagner, una diatriba solo apparentemente musicale ma nei fatti legata alla questione dell’identità nazionale.

Sembra esserci un alone oscuro nella storia, tra le parole, nelle ambientazioni. Ben nascosto, ma sembra vivere come un’ombra fino al finale. Una leggera malinconia, come se il vero protagonista fosse un qualcosa o un qualcuno che non c’è. Una sensazione latente, eppure presente. È solo una sensazione?

Non è solo una sensazione e, anzi, tra le tante definizioni che ho letto quella che mi piace di più è di Mario Baudino e mette in rilievo il lato oscuro del mio romanzo: “Capo Scirocco è un romanzo di ombre”. In effetti si apre con una grande ombra e con la stessa ombra si chiude, forse un retaggio di un’altra delle mie grandi passioni che è il romanzo gotico.

Stai lavorando a un nuovo romanzo? Ci anticiperesti qualcosa, magari il titolo?

Ho già finito e consegnato all’editore il nuovo romanzo che uscirà nel 2016 ma proprio il titolo non posso dirlo perché… ancora non l’abbiamo deciso!

Ringrazio Emanuela per la gentile collaborazione e per il viaggio appassionato.

#Parliamo di Tentazioni di Argeta Brozi

Pubblicato il Pubblicato in Interviste, Recensioni

Oggi parliamo di uno dei romanzi del momento, si chiama “Tentazioni” ed é intenso, attraente e ben scritto. La protagonista é Ilenya, una ragazza scottata dai suoi precedenti amori e che non riesce a lasciarli alle spalle. É giovane, ciò nonostante non riesce più a credere di potersi ancora innamorare. Un po’ goffa e buffa, ma allo stesso tempo cinica e seducente, spesso inconsapevolmente. La sua amica é Lolly le chiede di aiutarla a mettere alla prova la fedeltà del suo fidanzato. Ilenya riesce a portare a termine la sua missione e seduce il ragazzo, smascherandolo di fronte agli occhi dell’amica. Nel frattempo Ilenya si scontra, letteralmente, con un ragazzo durante un vago tentativo di iniziare a correre. Lui é Brian e tra i due nasce da subito una simpatia, che presto diventa qualcosa di più. Così Ilenya, senza mai ammetterlo, torna a prendere in considerazione l’idea di potersi fidare. Proprio quando questo sta per accadere Brian svanisce nel nulla. Lei non aveva osato chiedergli il numero di telefono, lui nemmeno. Senza alcuna possibilità di contattarlo, Ilenya lo attende, preoccupata che qualcosa di grave possa avergli impedito di tornare da lei. Ma con il tempo la preoccupazione diventa ferocia, una forma di rancore verso gli uomini. Qualcosa dentro di lei é cambiato e si isola pian piano dalle sue amiche. Questo evento rende Ilenya ancora più inferocita nei confronti di tutti gli uomini e si ritrova sola. I genitori vedendola spenta e sofferente decidono di regalarle un viaggio verso la meta tanto sognata: New York. Lí ritrova la sua vecchia amica Tess e incontra suo fratello Davis. Con quest’ultimo nasce un’amicizia travagliata. Con Tess e altre ragazze riesce a sfruttare la sua capacità di smascherare gli uomini con la seduzione. Nasce così un vero e proprio servizio per fidanzate sospettose. Per mostrare alle altre collaboratrici come muoversi, Ilenya porta termine il primo caso e induce il ragazzo a baciarla proprio durante il suo addio al celibato e il matrimonio fallisce. Quel bacio però rompe l’equilibrio faticosamente ritrovato di Ilenya, così come il ritorno di Brian. “Tentazioni” é un romanzo che si legge d’un fiato, ricco di colpi di scena e di riflessioni, una lettura leggera che emoziona e che costringe il lettore a pensare al valore dell’amicizia, dell’amore e soprattutto a tutto ciò che lega entrambe le cose: la fiducia. Un libro sicuramente consigliato per intraprendere un viaggio nei sentimenti, oltre i dubbi e i pensieri che si nascono dietro ogni rapporto. L’autrice è Argeta Brozi, una giovane e talentuosa scrittrice con già molta esperienza alle spalle nel campo della letteratura. Il modo di scrivere é giovane, dinamico, espressivo e riesce a essere aggressivo, seducente e sensibile, proprio come la protagonista del romanzo. Ilenya, é infatti deliziosa, intraprendente e affascinante. Determinata e sensibile allo stesso tempo un mix letale che non può non sedurre il lettore. Ci innamora facilmente della storia raccontata da Argeta. Un romanzo assolutamente consigliato.

Ecco una breve intervista ad Argeta.

Come è nato il sentimento di sfiducia verso gli uomini che caratterizza il personaggio di Ylenia?

Ylenia è sempre stata una da storia seria, perché nella sua famiglia ha avuto come modelli due genitori che si amano moltissimo, nonostante gli anni, ma la sua vita sentimentale e il suo credo nell’amore viene spezzato da una relazione difficile e a tratti violenta, e successivamente da un’altra delusione con un ragazzo conosciuto in treno. Inoltre, la sua amica Lolly è l’emblema di come le coppie non siano fatte per restare insieme: infatti lei va di storia in storia, alla ricerca del “principe azzurro” che, però, non arriva mai. Ylenia, già delusa dal passato, cova dentro di sé maggiore rabbia quando vede andare male le relazioni dell’amica, che vorrebbe vedere felice… La rabbia si tramuta in sete di vendetta contro gli uomini.

Quanto c’è di te nella tua protagonista?

In ogni storia e in ogni personaggio sicuramente qualche caratteristica personale c’è, ma il romanzo è frutto di fantasia, così come gli intrighi e le relazioni tra i vari protagonisti.
Alcune caratteristiche in comune con Ylenia sono la sincerità che a volte rischia di farci perdere chi ci sta vicino (si sa, la verità fa male e sono davvero in pochi a volerla realmente sapere…) e l’ironia, così come anche la gaffes… Ad esempio, la figuraccia che lei fa con la borsa è successa a me personalmente 😉

Amicizia e amore sono i due temi del tuo romanzo, quanto contano per te?

Per me, e credo per tutti, tantissimo. La vita gira tutta attorno all’amore e all’amicizia, attorno alle relazioni con altre persone, ai sentimenti. Penso che in ogni romanzo, persino in quelli di genere horror e thriller, ci debba essere una parte “romantica”, perché tutto inizia e finisce con l’amore, amore che a volte si tramuta in odio… In ogni caso sono sentimenti e senza di quelli non si possono emozionare i lettori.

La fiducia, questa sconosciuta. Quanto conta secondo te in un rapporto?

Sei riuscito a strapparmi un sorriso con la frase “la fiducia, questa sconosciuta” 🙂 La fiducia è TUTTO. Il maiuscolo è fortemente voluto. Il problema sai qual è? Che a volte non ci si può fidare neppure di se stessi…

New York e Roma, due luoghi così diversi. Qual è il luogo che tu chiami casa?

Quando ho scritto questo romanzo non ero stata né a New York né a Roma, la prima versione del testo infatti presentava poche descrizioni dell’ambiente, successivamente sono andata a Roma ma non nei luoghi che ho descritto all’interno del libro. Roma mi ha sempre portato fortuna a livello lavorativo, per cui ho voluto inserirlo all’interno del romanzo, anche in vista del fatto che mi è più facile immedesimarmi in una storia ambientata in una città non mia, ma non sono ancora andata a New York… mi piacerebbe molto 🙂 New York l’ho scelto invece perché ho sempre voluto andare in America, inoltre è la città dove abita la mia amica Downing, presente nel libro sotto false vesti, perché la sua reale vita non ha nulla a che fare con ciò che ho descritto in Tentazioni. Qual è il luogo che chiamo casa? È il luogo dove ci sono le persone che amo. Non importa dove.

Nel tuo romanzo si parla molto del rapporto genitori figli, è importante per te la famiglia?

Ho una famiglia molto unita e credo nella famiglia, quindi sì, è un argomento a cui tengo. Nell’ultimo periodo si può notare come siano venuti a mancare certi valori che fino a qualche anno fa erano fondamentali… Si è diventati più superficiali, vediamo i genitori come dei nemici da combattere, delle persone da cui stare lontani dalla maggiore età in poi… Io sono una di quelle che si stupisce quando sente gli adolescenti criticare altri perché “escono ancora insieme ai genitori”! Non sia mai, che vergogna! E perché mai poi? Quando sono stati i genitori a darci alla vita, quando ci hanno accudito, protetto e voluto? Quando saranno quelli che non ci abbandoneranno mai (ovvio, parlo di Genitori e non di genitori… sappiamo bene che c’è chi non sa essere genitore e fa dei disastri… ma sono situazioni particolari) a dispetto di tutti? Gli amici se ne vanno, la famiglia resta.
La famiglia è il pilastro della nostra vita, rinnegare la sua importanza è come rinnegare se stessi.

Ci saranno nuove avventure di Ylenia? Quali sono i tuoi progetti a cui stai lavorando?

Tentazioni è nato come un romanzo autoconclusivo, ciò che di fatto è. Ma negli anni, i lettori sono state pietre preziose: così entusiasti della storia, emozionati e affezionati ai personaggi e grazie a loro Ylenia avrà una nuova vita, in un secondo volume. Sono stati così tanti i lettori che mi hanno chiesto un seguito, che… come si fa a non accontentarvi? 🙂 Il secondo romanzo vedrà come protagonisti sempre Ylenia e Brian, ma avranno più spazio alcuni personaggi che nel primo erano “secondari”… La storia l’ho già iniziata e ho in mente tutta la storia, sarà sempre autoconclusiva e si potrà leggere anche separatamente rispetto al primo libro, ma ad esempio chi ha letto il primo potrà capire meglio le varie relazioni tra i personaggi, visto che li ha già “incontrati” e magari saprà anche per chi tifare 😉 mentre per i nuovi lettori potrà sembrare un romanzo a parte.
Ti faccio una soffiata, uno scoop per chi lo ha già letto…

La vita di Ylenia procede a meraviglia, se non fosse che all’improvviso scopre che Eva in realtà… 😉

Eh eh eh… Vi lascio il link del libro, acqua in bocca, non posso svelare di più 😉 http://www.amazon.it/dp/B00ZVQ70T2/

Ringrazio molto Argeta per la gentilezza e la professionalità, oltre che per le emozioni regalate con il suo romanzo.

Entriamo nel mondo di Cristina Mosca, parliamo del suo nuovo lavoro “Loro non mi vedono”

Pubblicato il Pubblicato in Recensioni

“Loro non mi vedono” di Cristina Mosca é una raccolta di racconti particolari, intensi e originali, uniti gli uni agli altri da un filo immaginario che costruisce una logica, una trama sospesa, in bilico tra la vita e le sue diverse sfumature. Il primo racconto si chiama “Dare un perché a ogni cosa” ed è un quadro toccante, carico di immagini e suggestioni. Il protagonista é un ragazzo che vede tutto, mentre nessuno può vedere lui. Nè i suoi genitori, né la sua ragazza. Ovvero, coloro che devono imparare a vivere senza di lui. Il protagonista può soltanto guardarli, nel suo silenzio, nascondendo quel sapore delle cose che non potrà più fare, mentre nei suoi familiari si materializza la necessità di cercarlo ancora, di non accettare che sia svanito per sempre e di dover iniziare a dimenticarlo. Il racconto successivo è “Liberi di stare”, una storia struggente, un amore tra una donna e un’altra donna. Una storia che nasce e che muore tra le pieghe di un sipario, tra gli scricchiolii del palco. É una storia che non deve esistere per gli altri, e che non esiste. Ma c’é. Due donne che vorrebbe amarsi alla luce del sole, oltre a quella dei riflettori. Poi d’improvviso, la guerra porta via una delle due, Barbara. E la protagonista resta sola con un fantasma che non c’é. Forse, per la paura di lasciarla andare. Forse, perché l’amore non muore mai davvero. Forse, perché amando troppo si rimane intrappolati per sempre, dietro le quinte di quell’amore. Nell’attesa di recitare, per l’ultima volta. La propria battuta. Il profumo” è invece il racconto di un uomo che veglia il sonno di sua moglie, che riposa nel letto. Racconta di come si sono conosciuti e di quanto ritenga impossibile vivere senza di lei. Veglia su di lei, le parla. Ma il loro amore è un fantasma di un amore svanito perché lei, é svanita. Anche se é lí accanto a lui. Un viaggio nel senso della vita e del suo contrario. Un sonno che é morte, e una morte che é sonno. É relatività. “Il segreto di Dio” racconta una storia agghiacciante, che nasconde diversi caratteri divenuti noti alle cronache. La protagonista é un’infermiera che si scopre morta in un incidente in ospedale, proprio mentre svolgeva il suo turno di notte. Sul suo reparto aleggiavano però dei dubbi su alcune morti sospette tra i pazienti. E lei, la protagonista, ne conosceva il motivo. Lei faceva bene il suo lavoro, e lei sapeva quando arrivava il loro momento e nessun medicinale sarebbe riuscito a salvarli. “La misura dei sogni” é la storia di un uomo, morto durante un incidente stradale. Quella sera il protagonista aveva rinunciato all’ultima birra, ma l’uomo che lo aveva travolto, no. Non aveva rinunciato. Era ubriaco. Svaniscono così i suoi sogni, la parola che avrebbe voluto dire a sua moglie, al bambino che non aveva conosciuto. Il mistero del perchè si trovi sul ciglio di quella strada. Da lontano vede arrivare una moto e ne diventa subito chiaro il motivo. É un racconto difficile da capire, eppure chiaro. Lampante. Fa riflettere su quanto la vita scorra via tra le dita, su quante cose vorremo ancora fare. Su quanto sia semplice, a volte, morire. É l’amore di un padre per un figlio, per una moglie. É la certezza che un figlio non potrai difenderlo da tutto, o forse, dal niente. “La cosa giusta da fare” é una storia complessa, pur nella sua semplicità. É una storia d’amore, con capolinea all’inferno. É la consapevolezza che spesso la cosa giusta é anche quella sbagliata. Che l’attimo di bellezza può trasformarsi nel male peggiore. Quello che uccide. Oggi, lo chiamano femminicidio, tempo fa lo chiamavano omicidio passionale. D’amore non c’è però niente, di passione, nemmeno. Ne resta il ricordo, la favola svanita di una donna, prigioniera del suo errore, che era la cosa giusta fare. “La promessa” é una storia struggente, come struggente é spesso la storia stessa. Una guerra. La guerra. Un uomo costretto a combattere per la patria, e a lasciare l’amore della propria vita con una promessa. Quella di tornare. Ma in guerra nulla é certo. E se alla fine ti chiedono se vuoi stare “con noi o con loro”, puoi non capire, ma puoi essere fedele a una parola, sia essa un si, o un no. E quando muori dopo aver sentito il freddo, l’odore putrido della morte. I lavori forzati. Tutto diventa silenzioso, come se non fossi più in grado di parlare, e quando ritrovano il tuo corpo in un luogo lontano e ti considerano un traditore, riesci a capire solo una cosa: che hai mantenuto la tua promessa. Che ti hanno finalmente trovato, e stai tornando a casa. Un punto di vista originale, nel racconto della storia dei soldati italiani alla fine del seconda guerra mondiale, un monito. Qual é la parte giusta? La verità” é un racconto commovente, racconta i pensieri di una bambina che non aprirà mai gli occhi. E si chiede se la mamma, con la sua scelta, se ne sia resa conto. Se avesse visto quante mamme piangono, perché quella bimba la vorrebbero. Straziante, come immaginare una voce che non ci sarà, una scelta dura di una donna, abbandonata dal suo uomo. Lui che non tornerà. E’ il racconto di una scelta di vita, che passa attraverso la morte. La bellezza” é la storia di un’anima bloccata. Di un uomo che ha cercato nelle donne, qualcosa che lo completasse. Ma la bellezza é futile. É un’arma a doppio taglio. Ora il protagonista é vittima del suo egoismo, mira, spara, ma non può più colpire. Costretto a veder fuggire le sue prede, che non lo temono. E non lo vedono. Il racconto che chiude la raccolta di chiama, appunto, “Loro non mi vedono”, e lo fa con spietatezza, quasi con rabbioso dolore. Con l’indifferenza ruggente di una società che esclude. É il racconto di un immigrato, visto con gli occhi di un immigrato. Le speranze che muoiono lentamente, giorno per giorno. Le scarpe consumate. La pelle, consumata. Le mani sporche. Il degrado di un uomo senza più dignità, che nessuno aiuta e che nessuno vede. Perso tra le vetrine stracolme di chiacchiere. Di indifferenza. “Loro non mi vedono” racconta la morte negli occhi di é ancora vivo, inconsapevolmente. La raccolta di racconti di Cristina Mosca é un viaggio in vite differenti, nella sofferenza, nell’indifferenza. É l’amore che svanisce, e nonostante tutto, resta. É il sogno che si infrange, pur rimanendo eterno. É la morte, dal punto di vista della vita. Ed é la vita, raccontata dopo la morte. É il male contro se stesso, e il male oltre, se stesso. Cristina racconta ciò che gli altri non vedono è lo fa con maestria e sensibilità, con una poesia delle parole che rendono affascinante anche il mondo che non si riesce a vedere. Da luce a occhi spenti. Fa sognare con la cruda realtà. E, alla fine del viaggio, fa riflettere sull’importanza della vita. Su quanto un attimo sia essere importante. É un libro che racchiude il senso della vita, dell’amore e di un domani da custodire con rispetto.

Abbiamo posto alcune domande a Cristina:

Loro non mi vedono” è il filo conduttore dei racconti di questo libro, cosa ti ha spinta a fare questa scelta?

A lungo questo titolo è stato indicato come provvisorio, ma alla fine è rimasto, evidentemente perché era proprio il suo 🙂

La frase “loro non mi vedono” è il filo conduttore perché è l’epifania con cui i personaggi realizzano che è avvenuto un grande cambiamento e, nonostante questo, continuano a condurre le loro esistenze come sono abituati a fare. Perché è così che reagiamo, davanti a qualcosa di nuovo che non sappiamo come gestire: continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto.

I racconti di questa tua raccolta spaziano su diversi temi, ce n’è uno in particolare al quale sei più legata?

Uno dei temi che mi sono più vari è quello dell’incontro, che, se andiamo a vedere, permea un po’ tutti i racconti. Certi incontri hanno del miracoloso: noi non abbiamo fatto nulla per meritarli, possiamo solo imparare a proteggerli.

Sei riuscita a far sembrare la morte qualcosa di vero, che quasi di riesce a vedere. A toccare. Qual è la genesi di questo punto di vista?

È un punto di vista mio, molto personale, maturato insieme a me, ma di cui non parlo mai perché non può rischiare di sembrare un gioco. Con questo libro, in un certo senso, faccio “coming out” su un modo molto personale di vedere la vita. (sì, la vita, più che la morte) 🙂

Dalla guerra, all’aborto, fino all’amore negato. Temi diversi e spesso lontani anni luce. Un’unica chiave di lettura. L’architettura perfetta per far riflettere sull’importanza della vita stessa. Cos’è per te la vita?

La vita dev’essere amore: non so immaginarne una diversa. L’amore è il massimo comune denominatore nei dieci racconti: i temi trattati possono, è vero, sembrare lontani anni luce, ma diventano in realtà archetipi dell’amore di un genitore, di un figlio, l’amore pieno di promesse, quello pieno di buone intenzioni e di futuro. L’amore per la bellezza, l’amore non corrisposto, l’amore per quello che si fa. Il più bello è l’amore diffuso, quello quotidiano, verso le piccole cose e le piccole abitudini, nascosto “nella convalescenza, nella barba lunga, nel letto disfatto” (autocit. 😉 ). Se il mio libro fosse un fiume e se usassimo un setaccio per leggerlo, sarebbero queste le pepite a rimanere in superficie.

Scrivere i racconti di “Loro non mi vedono” non deve essere stato facile, cosa ti ha dato la forza e la determinazione per portare a termine questo lavoro?

L’ascolto.

Stai lavorando a un nuovo libro? Ci sveli qualcosa?

Ho sposato uno sportivo e confesso che sono diventata molto scaramantica… 😉 Continuo a lavorare su storie e materiali con la stessa fiducia speranzosa con cui, da adolescente, inviavo i miei manoscritti ai concorsi letterari (che a volte vincevo anche) 🙂

Cristina Mosca è una blogger, una giornalista. Una scrittrice. Chi è davvero Cristina?
Preferisco definirmi un essere scrivente 🙂 Ogni espressione in cui sia prevista la parola mi fa sentire a mio agio. Il mio cervello è come fatto di muscoli, mi piace esercitarli tutti 🙂

Ringrazio Cristina per la disponibilità e la gentilezza, nonché per la grande professionalità.