È davvero difficile scrivere in questo momento della mia vita. Mi sembra tutto ovattato. Come in attesa. Ma questo aspettare non penso faccia così bene alla mente. Siamo nati per muoverci, parlarci, respirare. Certo, anche scrivere. Ma dopo tutto questo tempo si sta affacciando il logorio di questo periodo, la stanchezza. Ed è difficile inventare qualcosa quando ti senti prigioniero. Quante volte ho parlato di gabbie con le sbarre invisibili, ma ch adesso sembra di poter toccare. Mi fa paura il futuro prossimo, la superficialità con la quale viene disegnato. All’improvviso il nostro mondo è diventato troppo stretto. Lo vediamo dalle nostre facce tese quando ci guardiamo allo specchio. Mi sento invecchiato di colpo. Non riesco a credere di aver regalato a mia figlia un mondo in cui si deve vivere con una mascherina, in cui non si può uscire di casa. In cui un virus può irrompere con la violenza di atto di guerra. Un virus che sembra nato dalla fantasia perversa di uno scrittore, ma che sta disegnando una forma di vita strana. Io resto in attesa, non so di cosa, forse di una storia nuova da raccontare.
Non credo che tutta questa storia ci renderà migliori. Tanto meno più riflessivi. C’è del surreale che nemmeno un intero romanzo potrebbe chiarire. E figuriamoci se potrebbe mai farlo un post. Quello che invece penso è che ci stia portando via un po’ di noi, oltre al tempo che non possiamo spendere come vogliamo. Gli sguardi sospettosi, i gesti che non conoscevamo, questo concetto di “convivenza con il virus”. Concetto assurdo, perché nessuno vorrebbe convivere con chi ti vuole uccidere. Quello che sento è che non ho voglia di scrivere, di leggere. Vorrei poter far vedere il mondo non solo da una finestra o dal monitor di un telefonino. Non é questo che voglio. Punto. I filosofi la vadano a raccontarre ad altri “la vita del futuro”, io amo quella vera, che non mi lede la libertà di vedere il mare. Raccontino ad altri la favola del “tempo per noi”. Questo virus non convince nessuno, siamo sinceri. Questo scenario da guerra strafredda dura da troppo tempo per iniziare ora a credere alle coincidenze. E non voglio fare il complottista, chi mi conosce sa che se voglio posso scrivere pure di peggio, ma anche le peggiori storie hanno sempre un fondo di verità, quindi lasciatemi dire che non ci credo alle fiabe, ogni storia raccontata è stata costruita da qualcuno che voleva rubare la nostra attenzione. Ma torniano a noi, dovremmo essere stanchi di schierarci dalla parte di pupazzoni con il drink in mano e la soluzione in tasca. La gestione di questa emergenza è stata un disastro. Senza nulla togliere alla grande capacità, professionalità e dedizione di medici, infermieri, volontari, sindaci che hanno dato tutto quello che potevano dare, ma che si sono ritrovati a essere uno scoglio che non può arginare il mare, ma la propaganda e contropropaganda tra i vari enti è stata imbarazzante. Regioni contro Governo. E viceversa. Capi di fantomatiche taskforce, coordinatori, capi, capetti, politici pronti a offrire una soluzione pronta e certa. Milioni di commentatori sul social che avrebbero saputo fare sicuramente di meglio. No, ragazzi. Abbiamo dimostrato di essere divisi e divisivi. Per fronteggiare una emergenza simile si devono dimenticare i colori politici. Invece non è accaduto. Non sta accadendo. E non accadrà. Questo fa anche più paura del virus, perché il racconto di una fase due, ancora più disorganizzata della prima. Chiariamoci, in Italia c’è chi sa governare le emergenze, ma devono poter lavorare seriamente, non per finta. Altrimenti tutto diventa un’orrenda barzelletta. Che non fa ridere un cazzo di nessuno. E ti uccide, non ti rende certo migliore.
Diciassette mesi fa stavamo correndo all’ospedale. Stavi per nascere. Dopo l’attesa, le paure, le incognite, stavi davvero arrivando. E noi sospesi, tra la vita che conoscevamo e quella che ci avresti regalato. Lo so, non è stato facile, farti venire al mondo non è stata una passeggiata per la mamma. E quell’attesa fuori dalla sala parto con te in braccio non potrò mai dimenticarla, cosí come il momento in cui ti ho portata nel carrellino dalla mamma, che era ancora in rianimazione. Si é illuminata. Ecco, forse la nostra storia inizia da lì, da quando la notte prima di andare a casa ti ho canticchiato una canzone che vorrei riuscire a ricordare. Era bella, come te. E ora il nostro mondo sei semplicemente tu. #diciassettemesi
Un luogo segreto è un luogo che non conosci mai davvero. É il tempo in cui hai lasciato i tuoi pensieri, in un giorno di pioggia. Perché i silenzi a volte fanno bene. E le belle frasi dipinte sui muri troppe volte non vogliono dire proprio niente. Abbiamo bisogno di dire, condividere. Esistere. E così ci perdiamo tutto. Il colore vero del mare, il suo odore. Distratti dai filtri dei nostri giorni, che lasciano di noi immagini distorte, distratte. Sembriamo in fuga, anche da noi stessi. Da quel luogo segreto, che si trova proprio dietro agli occhi.
Un luogo segreto è un luogo che non conosci mai davvero. É il tempo in cui hai lasciato i tuoi pensieri, in un giorno di pioggia. Perché i silenzi a volte fanno bene. E le belle frasi dipinte sui muri troppe volte non vogliono dire proprio niente. Abbiamo bisogno di dire, condividere. Esistere. E così ci perdiamo tutto. Il colore vero del mare, il suo odore. Distratti dai filtri dei nostri giorni, che lasciano di noi immagini distorte, distratte. Sembriamo in fuga, anche da noi stessi. Da quel luogo segreto, che si trova proprio dietro agli occhi.
In un contesto storico decisamente nauseante e che ci riporta a un nuovo medioevo tossico, parlare di una strage di bambini sembra la normalità. Parliamo di diritti, ma siamo pronti a lederli. Siamo democratici, ma solo fino a quando fa comodo. Lasciano un senso di amarezza profonda, questi tempi. La sensazione di essere inermi. Così un dittatore è libero di distruggere vite e il senso più puro della libertà. Come quando si è costretti a convivere in una casa con una persona violenta e pericolosa, bisogna saperla prendere per evitare che si arrabbi. Le vittime con il tempo imparano a convivere con il male, alcune anche a pensare che quella sia la normalità. Questo accade però perché tutti si girano dall’altra parte, isolano le vittime, si voltano verso le apparenze colorate. Il male esiste. E va fronteggiato. Altrimenti non si è dalla parte giusta, si è solo e semplicemente ipocriti.
Anche questo scritto è di tre anni da. Attuale, fin troppo attuale.
Ho immaginato una stanza vuota con le pareti bianche, sulle quali attaccavo dei poster che in qualche modo mi rappresentassero. Poi mi affacciavo dall’unica finestra e osservavo. Dall’altra parte c’era una tizia che attaccava dei poster sulle pareti spoglie di una stanza vuota. Per poi capire che si trattava di un intero alveare colmo di stanze simili, ognuna vuota e con una finestra aperta su altre finestre su altre stanze. Ognuna con qualche poster sulle pareti e abitata da un individuo che voleva sentirsi diverso dagli altri. Ho immaginato un mondo in cui nessuno poteva essere davvero se stesso, ma in cui tutti condividevano ciò che credevamo di essere. E poi ho capito a cosa servivano i social.
Parlare di attentati non va di più di moda, ci si abitua a tutto in un mondo che vuole vestirsi da reality. Lo show deve far ridere, rilassare, al massimo far acquistare qualche prodotto. Ci guardiamo negli occhi, ma stiamo pensando ad altro, anche quando parliamo di cultura. Il nulla è punto nevralgico in mezzo a una valanga di informazioni. Eppure sono tutte lì, a ricordarci che non serve aver paura, quando inizi ad averne anche di te stesso. Parlare non va più di moda, tanto meno ascoltarsi.
Lo scrivevo tre anni, alla luce dei fatti odierni assume un significato ancora più oscuro.
Un silenzio spettrale. È ciò che riesco a sentire. Non uscivo da un po’ di giorni e quello che percepisco é inquietudine. Gente che si guarda di traverso, quasi con sospetto. Ce l’avrai tu, o forse io? Probabilmente tu. La fila davanti al supermercato è lunga. Ho le mie cuffie e la mia musica, a cui seguono le parole. Ma scrivere in questi giorni è difficile. Mi manca l’aria ed è come se mi stessero rubando il tempo. Ci bombardano di immagini di bare e terapie intensive. Di numeri. Trasmettono paura. Ed è quello che sento intorno a me. Ma siamo esseri umani, é normale provarla. Penso a quanti da un momento all’altro in uno stato di guerra. A dover scappare con poche cose, a dover spiegare a tuo figlio perché l’uomo sia capace di fare le cose peggiori. Apro i social, si stanno insultando per un video che per alcuni é il vangelo e per altri un falso. C’è chi inneggia agli scienziati, chi li insulta. Chi grida al complotto, chi scrive frasi di speranza. La verità è che sono tutti impauriti, insicuri, come è normale che sia. Ma il silenzio spettrale deve essere abbattutto, così come la paura. Alzo il volume nelle cuffie. Questa é la mia risposta. Musica e parole. Ho sempre fatto così. Così non ho mai creduto per partito preso a niente. Mi sono costruito le mie idee. E ho lottato per difenderle. Per questo sento puzza di bruciato da lontano non appena qualcuno prova a giocare sporco. Questa situazione è irreale, ma allo stesso tempo vera e tangibile. Puoi quasi toccarla. E può contagiarti. È il virus del sospetto.