Disinnamorarsi
Graffiarsi, col sapore amaro sul palato. L’amore sbagliato, a disfarsi dei lividi. Disinnamorarsi, della pelle che diventa cuoio, indossare un altro viso. Perché ora muoio, mentre un tempo ne avrei riso.
Graffiarsi, col sapore amaro sul palato. L’amore sbagliato, a disfarsi dei lividi. Disinnamorarsi, della pelle che diventa cuoio, indossare un altro viso. Perché ora muoio, mentre un tempo ne avrei riso.
C’era una casa, al limite del bosco. Era abbandonata a se stessa. Le foglie la nascondevano al mondo, ma non agli occhi di una donna, che aveva paura del suo sguardo riflesso sulla superficie dell’acqua. Faceva freddo quando si incontrarono. E c’era la luna. Si parlarono appena, ma si capirono in un attimo. C’era una casa, al limite del bosco. E ora aveva due occhi chiari.
Imparerei dai silenzi, se soltanto non avessi voglia di urlare. Mi prenderei cura degli spazi, se dentro di me ci fosse più ordine. Ci sono fogli per terra, sogni ancora appesi ai muri. Stanze vuote e altre stracolme di roba che non userò mai più. C’è la musica che avvolge ogni cosa. E a lei i silenzi, non sono proprio mai piaciuti.
In punta di fioretto. All’angolo del palcoscenico. Una voce fuori campo. Un nome che non puoi dimenticare. Scendere alla fermata prima per sentirne il sapore, quello della pioggia scostante, in una stanza vuota. La punta della spada, una goccia di orgoglio. Gli occhi aperti, davanti ad altri occhi.
Parliamo d’amore, ogni tanto serve. Quante volte hai chiesto scusa per non aver trovato le parole, camminato in punta di piedi per non svegliare qualcuno. Giocato a un sogno, sapendo che non era un gioco. Mentito, perché la verità avrebbe fatto più male.
Guardato con odio la notte, solo perché avresti desiderato un ultimo raggio di sole. Parliamo d’amore, se serve, quando l’unica risposta é di fronte a te. Ma ben oltre lo specchio.
Piove a metà strada, tra la pagina lasciata in bianco e le sbavature di un volto riflesso nello specchio. Le nubi dissolte, a un passo dal pensiero. Il veleno, e il suo siero. Piove, dove il sentiero giunge. Si tinge di colori, come un arcobaleno inconsapevole. Se ne avessi paura, forse mi riparerei. Ma quest’acqua è vita, sono le mie dita a disegnare una musica sui tasti del pianoforte. Che stringono una stilografica, creando, con l’inchiostro, un mondo. Il nostro.
Siamo noi, nello stomaco, ferite. Dentro agli occhi tante vite. E tra le dita, un sogno solo.
E il volo, quello che ci porta al mare, mi vuoi parlare? Guarda. C’è tutto il tempo. Ascolta. Anche se perdi, il tempo. É un’illusione.
Noi, inchiostro e notte. Noi, parole e note. Poi, é già mattina. No, non fa più male.
Il rossetto sbavato, e gli occhi, quelli, non si perdono mai. Il cassetto é vuoto, di sogni non ce ne sono più. Fa freddo stanotte, i brividi sono diversi colori.
Era impassibile, e impossibile non vederla. I suoi occhi si perdevano nella notte imminente. Abile nel gioco, nel fuoco incrociato. Con le carte giuste poteva ingannare il destino. Ma il velo di malinconia, la tradiva sempre. Implacabile, nella sinuosità delle sue illusioni.
Non potevo fermarti. Il tempo avrebbe coperto le tracce, prima o poi. E anche il bosco più tetro di giorno sembra diverso. Ero fermo in attesa di un treno che non sarebbe mai passato. Guardavo l’alba, senza tuttavia riuscire a vederla. Così il tempo trascorse, i giorni, le notti. Uscii da quella stazione e iniziai a camminare senza meta. D’un tratto notai un ramo scostato, proprio all’ingresso del bosco. Una traccia. Potevo raggiungerti, ma tornai indietro, verso la stazione. E sulla banchina c’era una donna.
“Da quanto tempo aspetti?”
La guardai senza riuscire a dire niente.
Io non avevo mai smesso di aspettare.