Perché hai paura

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Costruirsi un scudo, dalla voglia che hanno di armarsi. Fare breccia con le storie di oggi, le nubi basse che non portano pioggia, delle ferite che non sfoggi, perché hai paura. Restare in disparte, dietro le quinte, a provare la tua parte. Concentrarsi su ogni singola parola, su ogni mattone, per resistere, anche soltanto un attimo di più.

Guardati negli occhi

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Guardati negli occhi. C’è un respiro che si perde sempre. Allo specchio, quasi nessuno si riconosce davvero. E pensaci, quando stringersi tra le dita il plettro, che la musica non è un punto di vista. Ci siamo persi mille volte, ma tra quelle sette note ci abbiam trovato un mondo, a cui abbiamo dato un nome. Guardati oltre gli occhi, forse ci troverai qualcosa, magari il respiro che manca.

Fratture

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Dove si va, quando le fratture sul terreno sono la strada. La polvere incantata su libri mai letti e ogni negli occhi, che mai leggeremo. C’è un momento, l’istante perfetto, in cui accade. La musica si abbassa, improvvisamente. Le luci si spengono. E tutto diventa silenzio. Tranne quella voce, che inizia a recitare. Parole con la frequenza dei brividi. Istanti feroci che diventano un racconto, che farà male.

Ceralacca

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Sogni di ceralacca, lettere rimaste sepolte oltre la polvere che riposa sui libri antichi. Messaggi che nessuno leggerà, dimenticati da un tempo implacabile. Sogni ammaestrati, dentro le gabbie. Come un po’ di vino rimasto sul fondo del bicchiere. L’alibi perfetto. A prova di bomba, pronta esplodere. Come un pensiero, all’improvviso. Il viso riflesso su vetro sporco. Ma siamo questo, immagini colorate del proprio passato. Ricordi chiusi in una lettera e chiuse di fretta in buste antiche, con sogni di ceralacca.

Ti ho cercata

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Ti ho cercata,
nelle pieghe di un vestito.
Tra una pagina e una pagina.
Nel filo segreto che lega un bottone.
Sotto cumuli di errori.
E racconti lasciati a metà.
Tra gli ingredienti,
che uniscono i desideri, emozioni,
alla parola futuro.
Per poi dare a una ricetta, un nome.
Perché siamo quelle parole.
Non quelle scritte sui muri,
sempre uguali a se stesse.
E che svaniscono con la pioggia.
Ti ho cercata.
Tra milioni di persone.
E trovata.
Tra una pagina e una pagina,
E al filo, che lega un bottone.
Ora posso dare un nome.

Dal finestrino

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Un treno viaggia solitario sul pendio desolato di un desiderio. A bordo, una ragazza. Con gli occhi ancora sporchi di lacrime e fissi sulla copertina di un libro, abbandonato sul sedile della sala d’aspetto di una stazione. Fuori dal finestrino, soltanto neve. E qualche goccia che scivola lungo il vetro. Un giorno le avrebbero chiesto il biglietto, perché la vita, prima o poi, lo fa. La ragazza solleva la mano, la porta sul vetro. Inizia a togliere la condensa. Dentro di lei, qualcosa si muove. Da quanto aveva dimenticato di averlo ancora, un cuore. Oltre la vallata vede comparire qualcosa, ben oltre la neve. Una macchia che si allarga, così come i battiti. Sulla copertina di quel libro c’era un viso, forse il suo. Ma quel libro era volato via per sempre e davanti a lei c’era il mare.

Dimmelo ancora

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Lasciami qui a dormire. Il sogno passerà. Lo stomaco smetterá di bruciare. E lo so che non serve, sognare. Me lo dici sempre. E io guardavo le stesse nuvole dipinte sul cielo, perché era lì che sentivo arrivare le parole. Strette al cuore, come demoni pronti a sbranare. Lasciami sedurre un istante rubato, perché prenda fuoco la voglia di cambiare un finale. Con la malinconia, ci parlavo. E sapeva sempre tutto di me. Chissà se qualcuno può capirlo, che era un’amica. Trattenevo le lacrime, perché piangere non serve. E vorrei me lo dicessi ancora. C’è un tempo per tutto, anche per tornare a sognare. Perché non è vero che non serve a niente. Altrimenti a che servirebbe dormire, se non a perdersi in un buio senza vie d’uscita. Quindi, dimmelo ancora.  

Se non fa male, non serve

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Un racconto è un racconto. Con le sfumature ed emozioni sanguinarie. Se non fa male, non serve. Lo fanno anche le favole, da tempi immemorabili. Nell’era della cultura da aperitivo e Open Bar sfugge sempre qualcosa. Parole come “aggiungimi” o “ti taggo” hanno presto il posto di un “ti aspetto” o di un numero scritto da anime senza nome sulle porte del cesso di un Autogrill. Bruciamo le emozioni a bordo strada, per quell’attimo di consenso. E cosa resta di noi, in tutto questo, se non quel senso di vuoto. Ci portiamo al limite, ci tiriamo a lustro, ci incantiamo, ci incateniamo, per non sentire che tutto scorre troppo in fretta. Che le parole vengono inghiottite da bacheche fameliche. Stamattina fa troppo freddo. E a scrivere mi si gelano le dita. Ma un racconto è un racconto. E deve far male, per me scrivere è questo. Sia davanti a me ci sia gente pronta ad ascoltarmi, o che solo al bordo di una banchina della stazione. Mentre scrivo sulla neve fresca “ti aspetto”. La scritta svanirá presto, ma io sono tutto questo. Sono quelle parole scritte su una panchina, su un muro di periferia, sulle porte del cesso di un Autogrill.

Su una tela di neve

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Le notti disegnano tratti a carboncino su una tela di neve. Piccole luci appese a un cielo troppo grande. E poi c’è lei, quel viso in attesa di una sorpresa. L’incanto segreto, il veto incrociato. Quando le rime non servono, è bello anche solo guardarsi negli occhi. Godersi la notte. E imparare a disegnare a carboncino, su una tela di neve.