Hotel delle immagini

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L’hotel delle immagini,
con vista sugli occhi d’acqua.
Uno specchio che inganna.
Perché il tempo che passa,
fa paura.
Un televisore acceso nella notte.
Una voce che si spegne,
in lontananza, una sirena della polizia.
Una pozzanghera viaggia al ritmo della pioggia.
Ma è il silenzio, quello che urla.
L’insegna dell’hotel, lampeggia.
Poche lettere ancora accese,
sporche.

E qui, il tempo si ferma

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E qui, il tempo si ferma.

Al margine delle paure, al limite delle stelle che cadono.

L’attesa di quell’attimo così sfuggente, dal non fare in tempo a vederlo.

Un senso e un segreto.

Quella luce al fondo del mare che, a modo suo, indica la terra, la casa.

Il porto sicuro.

Il correre a perdifiato, per mettersi al sicuro.

Dal vento di una tempesta imminente.

E qui, il tempo si ferma.

E lascia quel sapore strano, di una stella che resta lì,

sospesa.

Una magia

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Suonare il piano è sempre stata una magia, dosare il tocco delle dita, fino a sfiorare. I tasti bianchi e neri sono sensibili, proprio come la pelle. E il suono che ogni gesto del corpo provoca è una voce, leggera, intensa, che può diventare un grido, se serve. Nessuno suona mai per caso. C’è sempre una necessità, da qualche parte. Un brivido che chiede di essere liberato. Una magia, che vuole essere compiuta.

Su lastre di ghiaccio

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Chiudevo gli occhi. E questo non è quasi mai sufficiente. Quando cerchi una ragione, non puoi certo trovarla in una stanza buia. Quante volte cerchiamo di arrampicarci su lastre di ghiaccio, consapevoli di non avere le forze per evitare di scivolare giù. Ma siamo esseri umani. E forse non ci importa davvero di cadere. Ogni lastra di giaccio è in fondo uno specchio. E lo specchio, si sa. Attrae. Chiudevo gli occhi. E tante volte è ciò che può salvarti. Perché anche al buio puoi trovare quello che cerchi. Perché fra i tanti sensi che abbiamo, possiamo ascoltare e sentire, il profumo di giorno nuovo.

Poker

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Dei castelli fatti di carta straccia, non restano che fiamme. Come l’inferno di cartone e musica, che riempie le stanze di un silenzio piccante. Ma giro dopo giro una giostra, mostra un mondo alterato, come volti in una stanza degli specchi. Gli occhi, che ne resta di un viaggio, se getti le carte migliori, nel poker delle emozioni che dimenticherai. Una sull’altra le mani di un gioco con cui imbrattare il tempo. E poi, soltanto poi, le fiamme.

Non è un gioco, quando fa male.

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Non è un gioco, quando fa male. Una favola incandescente che scivola tra le nuvole appese a un cielo sporco. E noi siamo l’alibi perfetto, di una notte trascorsa troppo in fretta. E resta quel sonno, che vuol dire: ho voglia di sognare ancora. Di credere che all’odio si possa rispondere con il fuoco delle parole. Alla cattiveria, con il sapore di un buon vino. Con l’odore antico di una storia. Da questo luogo appena accennato, continuo a giocare. Anche quando fa male.

Soltanto il tempo

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Fogli bianchi. Matite colorate. E storie brutte da raccontare. Ché qualcuno deve pur farlo, perché la vita è anche questo. Quel senso che ti fa sentire perso, anche tra le strade che conosci sin da bambino. C’è sempre qualcosa che cambia sui volti di tutti noi. Che disegna cicatrici, come ruscelli che portano via qualcosa. Fogli bianchi, matite. Ma non siamo mai noi a scrivere, ma il tempo. Soltanto il tempo.

L’invisibile agli occhi 

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L’invisibile agli occhi, é quello che resta.Il profumo della primavera imminente.

E non c’è sapore, odore o colore, che tenga.

Il sole, quando arriva, brucia.

Un fuoco, soffiato via dal vento.

Parole, feroci, crude, ottuse.

Scuse tardive.

L’invisibile agli occhi, stelle in avaria.

Che il cielo non aspetta, non dorme.

Tutto continua a girare.

E domani danno sole.

Il profumo della primavera.

Le stanze piene di luce.

E polvere.

Nulla è invisibile agli occhi, quando sai tenerli chiusi.

Sul comodino

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Ci sono tante domande, appoggiate sul comodino. Risposte scritte di corsa, sulle buste del pane. E poi buttate via. Discorsi provati in bagno, per essere dimenticati in fretta. Siamo fragili, immagini che sfilano sulle vetrine del centro. Che riflettono i cartoni di vino e le coperte, che a stento coprono la dignità. Perché a volte quel brivido, si confonde. Tra le strade fredde, di un inverno che vuole restare. Raccolgo il sacchetto del pane, sporco, solitario. E ritrovo le mie parole.