Scopri il tuo viso, non sarà il freddo a cambiarti. Né questo vento, che spazza via tutto. Guardala in faccia, questa voglia di urlare. Di rialzarti da terra, di riprenderti i tuoi occhi. Nascosti dietro vetri oscuri. Celati dentro i tuoi addii, Persi nelle favole sporcate, Vivi nei riflessi di una luna stanca, in un mare che, in fondo, non ti conoscerà mai. Come hai imparato a fare, di fronte a quello specchio, che mostra il tuo viso. E svela i tuoi occhi.
Grandine, ogni colpo, un po’ di me che si inganna. Il tempo non curerà le ferite, di un mondo che ride di sé. Piove più forte, senza bagnare alcuna lacrima. Farà freddo dopo, quando il vento non ti raggiungerà. E sarà un mondo diverso, ma riderá lo stesso. Una freccia scoccata, in direzione di un posto lontano. Grandine, ogni colpo fa più male. E dove ripararsi, nelle radure dell’anima. Dove raggiungersi, in quell’attimo sospeso. Tra cui sei, e chi vorresti essere.
L’inchiostro mi lacera, brucia e la pelle ascolta. Le luci della sera, sotto i tacchi di chi si è perso. L’alcool accarezza il mio stomaco, so che domani farà male. Ma stasera la musica è più forte. Tremano le mani, le immagini girano. Ho perso il controllo, ma vedo ogni sfumatura. L’inchiostro mi serve, come il sangue e ossigeno.
Anche se così fosse, che il tempo ci cambia. Che la pioggia non basta, a dimenticarci, di ciò che siamo stati. Che il tempo ci avrà insegnato, che i piedi sono radici, che si cibano di cose vere. Acqua. Terra. Aria. Io non ci crederei. Ma la verità ti fotte. È uno specchio e doppio fondo, Un film in bianco e nero. Una pellicola che brucia. Anche se così fosse, il tempo avrebbe fatto il tuo corso. E resi il cinismo, che ci ubriaca di colori distorti.
Avrebbe avuto il coraggio di guardarlo. Dirgli che aveva ragione, che era cambiata. Ma con noi stessi non siamo mai davvero sinceri, cerchiamo di nascondere la verità, tra le pagine di vecchi libri, che invecchiano sugli scaffali, come potessero farlo loro, al posto nostro.
– Fallito – gli urlava il nuovo compagno di sua madre. Valerio teneva testa a quell’uomo che puzzava di alcool.
– Non sei capace! Cosa ci vai a fare all’Università? Finirai comunque per andare a raccogliere cartoni. Tanto vale andarci subito e contribuire alle spese! – continuava lui.
Valerio tratteneva la rabbia, la tristezza e l’umiliazione. L’unica strada che aveva per costruirsi una vita era studiare. Ma farlo ogni giorni diventava sempre più difficile. Per frequentare l’Università servivano soldi e tempo. Ma stava per perdere anche l’unico dei punti di cui poteva disporre: la determinazione. Valerio studiava di notte, mettendoci l’anima. Continuava a dare esami, senza tregua, perché sapeva che gli avrebbe concesso ancora un po’, vincendo una borsa di studio. Quello era l’unico modo per continuare ad alimentare quella che gli sembrava sempre più una stupida illusione.
– Non hai niente da dire? Pensi a quando potrai finalmente progettare cessi? – concluse, ridendo. Sua madre avrebbe voluto difenderlo, ma non poteva farlo. Perché dipendeva dagli umori di quella bestia. Valerio aveva sentito più volte nella sua vita cedere il terreno sotto i suoi piedi.
Si alzò e si soffermò a osservare l’immagine della copertina di un libro proiettata sul muro. Quante volte nella sua vita aveva trovato difficile guardarsi anche solo guardarsi allo specchio senza sentire il peso delle sue sconfitte.
Poggiò una mano, come per sostenersi, sul tavolo che sarebbe servito da lì a breve per un’altra presentazione.
Valerio aveva iniziato a vomitare per sopportare quel senso di buio che sentiva salire ogni volta dall’esofago. Rimettere quel poco che riusciva a mangiare ed era ogni volta come una liberazione. Una forma arcaica di reazione, che però non faceva altro che mandarlo ancora di più al tappeto.
Il momento peggiore, però, era arrivato quando aveva sbagliato il primo esame. Un momento di buio totale che non gli aveva permesso di rispondere nel modo corretto, nonostante avesse studiato e fosse ben più che preparato. Il suo cervello lo aveva abbandonato nel momento in cui ne aveva più bisogno e in quel momento non aveva avuto nemmeno la forza di ammetterlo. Perché avrebbe avuto bisogno di mangiare, di riabilitarsi, di rialzarsi. Ma l’unica necessità che sentiva salire dal suo stomaco era solo una. Continuare a vomitare.
– Possiamo già iniziare a sedersi? – chiese una signora che era appena entrata nella sala.
Valerio la guardò, riprendendosi un attimo dai suoi pensieri.
– Sì, certo. – rispose, osservando altre persone che stavano entrando.
Si allontanò da quel gruppo di persone che man mano stava diventando sempre più numeroso.
– Buongiorno, sono Alessandra, la giornalista. Ci siamo sentiti telefonicamente, lei è Valerio, immagino –
Valerio gettò ancora uno sguardo allo schermo che proiettava un’immagine della copertina di un libro. Si chiamava “Fallito”.
– È pronto a raccontare a tutta questa gente la sua storia? –
In quel momento si rese conto che quella copertina rappresentava l’immagine nello specchio in cui finalmente riusciva a guardarsi. Rimandò indietro il magone e quella lacrima che avrebbe voluto uscire.
Sono occhi bagnati di lacrime, i tuoi. Vorrei dirti che questo freddo passerà. Ma ti mentirei. Alcune ferite le porterai con te. E domani saranno proprio loro a renderti ancora più bella.
Non sei sola. Quando ti cerchi, oltre il riflesso degli specchi. E in una pagina bianca, scopri che hai paura. Anche se non lo ammetterai. Non sei sola, quando bruci il passato. Che non può scomparire. E giochi, ma la più male. L’amore è un soldato. E sai che non sarai tu, a perdere. Ma ogni nuovo giorno, é un ritmo, una musica. Che riscopre i tuoi occhi. E così, ora lo sai, che non sei sola.