Promemoria di un sogno

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Promemoria di un sogno,
appunti sparsi.
Su fogli da buttare.
Ricordi sfumati,
come le canzoni di un tempo.
L’odore del gesso,
sulla grafite della lavagna.
Eravamo quelli.
Idealisti, sognatori.
Rivoluzionari.
Ora pronti a tutto,
per sentirci parte del gregge.
Violentare le nostre idee.
Perché ci facciano somigliare agli altri.
Promemoria di un sogno,
coltivarlo lo stesso.
Anche quando consigliano,
che è sbagliato.
Quando ti insultano.
L’odore del gesso,
sulla grafite della lavagna,
il mio nome.

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Text by Daniele Mosca

Mi trema la voce

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Mi trema la voce. É così semplice rompere una melodia. Tra una nota sbagliata e un tempo imperfetto ci passa un solo attimo, o il senso della vita stessa. Un verso, poi un altro. Non può arrivare proprio adesso, proprio prima del ritornello. Ma la voce torna a salire, le note vanno al posto giusto. L’emozione, quando arriva, sa sempre dove andare.

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Text by Daniele Mosca

Il mondo è qui

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Attorno a noi,
il vento soffia più forte.
Stringiti più forte,
lo sai che passerà.
Brividi sospesi,
appesi a un’alba repentina,
dal sapore amaro.
Di fronte a noi,
il mare.
Arrabbiato.
Feroce,
sincero.
A difendere i sogni,
i nostri.
A darci il coraggio,
quando sembra perso.
A credere in noi,
quando tutti smettono di farlo.
Attorno a noi,
tutto sembra lontano.
Stringiti più forte.
Perché il mondo è qui.

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Text by Daniele

Difendere

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Qualche giorno fa ho scritto un testo che raccontava dei pensieri di un papà che cercava le attenzioni della propria figlioletta. Uno scritto chiaramente ironico, ma che svela le dinamiche di chi si sta scoprendo genitore. La verità, però, è un’altra. Io non parlavo di me, ma di un ruolo speculare e fondamentale: quello della mamma. Infatti è lei che costruisce giorno dopo giorno un rapporto unico e simbiotico con la propria figlia. Un gioco fatto di sguardi e carezze. Di fatica. Un mondo in cui una donna scopre di essere essenziale per una personcina, che dipende completamente da lei. Un rapporto unico, appunto. Nessun altra persona, per quanto possa sforzarsi, può entrare in questa sfera intima e protetta, nemmeno il papà. Ed è la natura a scegliere questi meccanismi, a noi non viene concesso di stravolgerli, ma di agevolarli. E soprattutto il papà ha un compito importante: quello di difenderli.

Ciao, sono Daniele.

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Ciao, sono Daniele.
E ogni sera quando torno a casa dopo una giornata di lavoro vedo questa scena. Beatrice che sorride divertita che guarda la mamma, ma proprio con un sorriso che quasi arriva alle orecchie. Con gli occhi che ridono, pure loro. Poi. A un tratto. Mi avvicino alla culletta. Cerco di attirare la sua attenzione, la chiamo. Lei si volta lentamente e il sorriso si tramuta istantaneamente nell’espressione di chi fissa preoccupato il microonde dal quale sta uscendo del fumo nero e che rischia di esplodere da un momento all’altro. Poi con lo sguardo cerca la mamma con l’espressione interrogativa e anche un po’ preoccupata di chi, se potesse parlare, chiederebbe: ma questo chi è?
Così, ogni sera, mi presento.
Ciao, non sono l’operatore Amazon che fa l’autista e porta i pacchi, sono il tuo papà. Da tre mesi, tra l’altro.
Sipario.

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Text by Daniele Mosca

Guarda altrove

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Guarda altrove.
Dove piove sangue,
e i proiettili non fanno più male.
La sabbia nasconde tutto.
Anche gli uomini.
Specchi di se stessi,
animali che non ricordano più.
Pronti a costruirsi una religione.
A costituirsi.
Per non perdere l’identità.
A prendere, la dignità.
Perché ciò che credono sia,
conta molto di più.
Sembra cinico,
spietato. Irreale.
Sta per piovere.
Questo è odore di metallo,
ma non lo riconosciamo più.
Mi mordo le labbra,
ora ne sento il sapore.
Ma tu, non preoccuparti.
Guarda altrove.

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Text by Daniele Mosca

#Labirinto #Ep6

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“Dobbiamo arrivare al nodo di trasmissione del segnale”
“Quale segnale?”
“Quello che inibisce parte del nostro cervello: l’amigdala”
Fabio rimase a fissare la ragazza.
“Esiste un sistema in grado di modificare il ragionamento del nostro cervello. Ma esistono alcune anomalie. E noi facciamo parte di queste.”
“Chi sono gli altri che ne sono influenzati?”.
“Tutti, Fabio. Anche se loro non se ne rendono conto. Noi, in qualche modo, ne subiamo un effetto ridotto”.
“Come hai fatto a rimuoverlo?”
“Con un vecchio modello numerico che riesce a schermare il segnale di contagio, sono riuscita a recuperarla da un vecchio laboratorio utilizzato per le ricerche a cui avevo partecipato quando tutto era ancora normale”.
“Non è permanente?”
“No, quando si accorgeranno che il modello è stato attivato proveranno in tutti i modi a eliminarlo.”
“Come pensi di arrivare al nodo?”
“Attraverso un gioco che conosci bene”.
“Second Life?”
“Esattamente. Te la senti?”
Fabio si sentiva finalmente sicuro di se stesso.
“Non vedo l’ora.

Finalmente Fabio si sentiva a casa.
Le luci, le immagini, le sagome poco definite dei fabbricati. I suoni metallici di un gioco in cui aveva trascorso buona parte della sua vita.
Si voltò e vide la sagoma della donna che ricordava di aver salvato pochi mesi prima. Ricordava di averla portata nell’ospedale di Second Life per fermare la sua emorragia. Ora sapeva che quello era l’avatar di Simona.
“Dobbiamo prendere un’auto” disse lei, mentre si accingeva a rompere il vetro di una vecchia familiare.
La vide chinarsi sotto il volante per poi metterla in moto.
“Come fai a saperlo?”
“Me lo ha insegnato un caro amico. Un giorno lo conoscerai”.
Salirono in auto e percorsero la strada sconnessa fino ai bordi della città.
“Lo vedi quell’impianto là in fondo?”
“Sì. É macchina del fumo.”
“No, è molto peggio.”
“Cosa dobbiamo fare?”
“Entrarci.”
“É impossibile. So che è pattugliata dagli uomini del controllo del gioco.”
“Proprio per questo motivo ho portato queste” replicò mentre tirava fuori dalla borsa due tute.
“Indossiamole” continuò.
Fabio la vide togliersi la maglia e i pantaloni e rimase incantato dal suo seno e dal suo corpo. Se quello non fosse stato un gioco avrebbe provato quella sensazione per la quale sua madre lo sgridava sempre. In rete aveva letto che si trattava di erezione.
Indossarono le tute. Fabio non riusciva a mettere da parte l’immagine di lei in reggiseno e slip. Abbassò lo sguardo, cercando di nascondere la vampata che lo stava per travolgere.
“Non farlo mai.”
“Io…non…”
“Abbassare lo sguardo, Fabio. Non farlo mai. Ricordatelo. Di fronte a nessuno.”
Lui sorrise. Lei gli sorrise di rimando.
Proseguirono in auto fino al limite della recinzione. Simona condusse l’auto fino al cancello principale. Era aperto. La scritta indicava il nome dell’azienda, con rappresentato il logo riprodotto anche sulle tute. Dhk.
Lo stabilimento industriale sembrava abbandonato.
“Vedi anche tu le immagini leggermente distorte?” chiese Fabio a Simona.
“Sì. Dobbiamo fare presto”.
“Perché?”
“Sono interferenze”.
Avanzarono lentamente lungo il corridoio illuminato da poche lampade di emergenza sparse.
“Sento dei rumori”, affermò Fabio.
“Anche io. Provengono dall’esterno. Abbiamo pochi secondi.”
Raggiunsero la sala dei comandi, posta al primi piano del fabbricato. Simona si bloccò davanti all’immagine visualizzata sul monitor.
Qualche istante più tardi la vide anche Fabio. Simona vide la sua testa iniziare a ciondolare violentemente da una parte all’altra.
“Fabio, resta con me. Non è vero. Cercano di destabilizzarti”.
“Mamma.”
Simona cercò invano di farlo ragionare.
Sentiva i rumori esterni e le interferenze aumentare. Ormai li avevano trovati. Entro qualche minuto li avrebbero prelevati. Fabio non sarebbe più riuscito a comunicare se loro avessero distrutto la scatola nera. E lo avrebbero fatto presto. Pensò, mentre osservava sul monitor la mamma di Fabio piangere.
All’improvviso, all’interno del gioco si aprì una porta lampeggiante.
“Andiamo.”
“Cosa, cosa…”
“È una porta secondaria della rete.”
“Non posso. Io. Ho.”, replicò Fabio, continuando a ondeggiare la testa e fissando il vuoto.
Simona spinse con forza Fabio a oltrepassare la porta. In quell’istante la porta svanì nel nulla.
Aprì gli occhi ed era fuori dal gioco. Di fronte a lei gli occhi di ghiaccio di Sergej. Accanto a lei Fabio, privo di conoscenza.

#Labirinto
#Ep6

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Text by Daniele Mosca

L’avversario

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Corri.
Schiva l’avversario.
Sei tu, nel bene.
Nel male.
Scappa.
Quel brivido che senti,
non è il freddo.
È paura.
Non voltarti.
Potresti rivedere la tua immagine.
Nasconditi.
È sempre più vicino.
Ti somiglia.
Parla come te.
Ti consola.
Corri.
Lo specchio è deforme.
L’immagine, inganna.
Lui, l’avversario,
ti ha trovato.
Ora apri gli occhi.
Lentamente.
La luce è accecante.
Come il buio.
Come una lama di ghiaccio,
che ti taglierà.
Prima di sciogliersi.
Scappa, se vuoi.
Ma l’avversario,
sei tu.

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by Daniele Mosca

Una donna, lo sa

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Una donna, lo sa.
Dall’intensitá degli occhi.
Dal calore della pelle.
In equilibrio su un filo,
sulle parole che possono far male.
Sulle note che disarmano.
Dalle rughe sul viso,
i silenzi a naufragare in mare.
Conosce ogni cosa,
i riflessi di un futuro,
a specchiarsi nel passato.
Sente la primavera,
mentre fuori nevica.
Perché lo sa,
che presto arriverà.
Una donna, lo sa
che indossare un vestito nuovo,
é fasciare la pelle.
E nascondere le ferite.
Rinascere nel suo stesso sguardo.

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Text by Daniele Mosca

La poesia non vende

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La poesia non vende,
ma questa non è poesia.
É ruggine,
olio che galleggia sul mare.
La parola sbagliata,
quella che rompe la rima.
La strada ghiacciata,
nel buio acceso della notte.
É carta da parati,
a nascondere l’umido.
Il sorriso forzato,
di chi non si aspettava di vederti.
La parola gentile,
che cela una minaccia.
La menzogna sussurrata,
a chi si nutre di speranza.
La poesia non svende,
per questo non siete poeti.
Io sono un impostore,
uno spacciatore di parole.
Il mio incasso sono lacrime,
di chi ha bisogno di una lama,
per trafiggersi il petto.
E svelare il suo cuore,

per trovare ancora inchiostro.

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Text by Daniele Mosca