Crescere é un danno collaterale

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Crescere é un danno collaterale.
È capire che nulla è semplice.
E che non lo è mai stato.
Non lo è convivere con se stessi.
Con l’immagine riflessa nello specchio.
Con tutto quello che volevi cambiare.
Costruire, disfare, cercarne la ragione.
Ho finito l’inchiostro.
Senza scavare dentro,
nessuna storia può aver vita.
Le nubi arrivano sempre,
ferite che proprio non riescono,
a smettere di sanguinare.
Crescere é un danno collaterale.
Perché sempre più spesso, te lo ricorderanno.
Perché ti diranno che star fermi è più semplice.
Che guardare oltre il muro è pericoloso.
Che se tieni ferme le mani, non ti bruci.
Non ti sporchi.
Crescere é un danno collaterale,
ma non farai nessun passo,
se non proverai a guardare, a studiare, a guardare oltre quel muro.
A sporcarti, degli stessi sogni,
di cui ti nutrirai.
L’immagine nello specchio, invecchierá.
La luce nei tuoi occhi, quella,
non deve farlo mai.

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Text by Daniele Mosca

Guardare più in alto

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Guardare più in alto,
riscoprirsi silenziosi.
Impauriti, forse.
Con il coraggio di chi sogna.
Il tempo, corre.
E noi pensiamo troppo.
Ho visto una stella,
ma non voglio che cada.
Vorrei prenderla in tempo.
Darle un nome.
Guardare più in alto,
perché anche quando cadi,
devi rialzarti.

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Text by Daniele Mosca

Stanchezza

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Gridano,
nelle strade dimenticate.
Sibili, e il vento,
stringe le parole.
E non sento le ragioni.
Le motivazioni,
non mi bastano.
Ho sonno.
Mi distacco.
Ho bisogno di tempo.
Gridano,
io non ci riesco.
Sarà la stanchezza.

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Text by Daniele Mosca

Fotografie

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Fotografie,
pigiate contro il vetro.
Come pendolari in un treno.
Che raccontano,
mondi sconosciuti.
Emozioni.
Che contano per noi.
Che non esistono per gli altri.
Colori sfumati,
primi piani di sconosciuti.
Perché gli occhi parlano.
Fotografie ingiallite,
con odore di un passato.
Che non vuole passare.
Il suono di uno scatto,
nel silenzio di una stanza oscura.
Il negativo delle cose,
l’immagine allo specchio.
Fotografie come parole,
sanno mentire e sorridere.
Così come essere felici,
senza avere il coraggio di dirlo.

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by Daniele Mosca

Quando

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Quando straparlo,per stanchezza,sogni infranti.Rabbia.Quando cerco dentro,il motivo,lo spirito di un tempo.Il senso.Quando sto perdendo la partita,e non ho la forza di giocare.Quando penso ai miei errori,e potrei ancora ripartire.Quando cambia il vento.E inizia a far freddo.Quando vorresti urlare,ma sai che non lo farai.Perché nessuno ti saprebbe ascoltare.Cerco me stesso, dove sono partito.Perché quando si perde la trama,bisogna tornare al primo capitolo.Photo by UnsplashText by Daniele Mosca

Il vuoto dentro era incolmabile – #Luna #Ep5

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Il vuoto dentro era incolmabile, andava ben oltre quella sensazione di sporco che sentiva addosso. La paura ha un colore impalpabile e lei a questo non era abituata. Le avevano insegnato a combattere, a graffiare, se era il caso. Ma qualche passo fuori dall’ospedale, si era da subito sentita sola. E aveva giurato a se stessa che non lo avrebbe raccontato a nessuno. Avrebbe superato quel momento da sola. Aveva una cosa importante da fare e un volo già prenotato. Non sarebbe mancata per nessun motivo al mondo.
Non si supera un dramma in quel modo, penserà il lettore. E ha ragione. Perché questo non sarebbe stato che l’inizio. Le lacrime iniziarono a scendere qualche ora, in cosa al gate per l’imbarco. L’ennesino tentativo del suo ex ragazzo. Quel figlio di puttana che l’aveva abbandonata. Quel figlio di puttana che conosceva la barista che le aveva servito quel drink che l’aveva stordita. Ma questo lei non può saperlo. Si sedette al suo posto, vista finestrino. Chiuse gli occhi quando l’aereo prese quota. Dopo poche ore avrebbe rivisto suo nonno. Stava male da tempo e dentro di se sapeva che sarebbe stata l’ultima. Lui le avrebbe saputo sicuramente dare il consiglio. Se ancora si fosse ricordato di lei. Siamo petali di una rosa, che avrà troppo poco tempo per splendere. Al suo cospetto si sentiva sempre quella piccola ragazzina che lo guardava in attesa che le desse qualche spicciolo per comprarsi un ghiacciolo. In modo quasi meccanico prese il cellulare che continuava a vibrare nella borsa. Un numero sconosciuto. Pochi squilli, non fece in tempo a rispondere.
“Vieni, devo mostrarti una cosa” le disse il nonno. Lei lo seguì, colpita dalla lucidità che sembrava avergli ridato il carattere di un tempo.
L’uomo la guidò nella stanza in cui lei aveva trascorso intere estati quando era piccola.
“Tieni”, le disse.
Luna prese la lettera che il nonno le aveva daro.
“Aprila. Voglio che tu lo faccia prima che il mio cervello torni nella nebbia.”
Luna la aprì e iniziò a leggerla. Una lacrima scese sul suo viso.
Nel frattempo il cellulare ricominciò a vibrare.

#Luna #Ep5
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Text by Daniele Mosca

Un cliché – #Luna #Ep1

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L’amarezza, talvolta, fa vedere le cose con più chiarezza. Luna se lo ripeteva tra sé e sé, distratta dalla vibrazione del telefono che teneva nella borsa. Lo aveva pensato la prima volta quando il suo ormai ex ragazzo l’aveva tradita con la sua migliore amica. Un cliché. Ma da quel momento in poi si era sentita lei stessa un cliché. Una figura ordinaria che in qualsiasi spettacolo avrebbe ricoperto solo il ruolo della comparsa. Prima o poi avrebbe prenotato una visita da un terapeuta che le svelasse ciò che lei sapeva benissimo. Che era frustrata, nervosa, vittima delle angherie dei suoi genitori che avevano riposto in lei tonnellate di speranze. Ma lei non era diventata un famoso medico come suo padre, nemmeno una grande attrice come sua madre. Era rimasta lì in mezzo, con un lavoro ordinario, una pettinatura ordinaria, un modo di pensare ordinario. Luna, però, aveva imparato a vivere. A lasciarsi alle spalle quei dispiaceri pur senza volerli davvero rimuovere, analizzare, comprendere, superare. E questo semplicemente perché i nostri errori, le nostre paure, le nostre frustrazioni, in fondo fanno parte di noi. Ci siamo abituati che tutto può essere corretto. Uno zigomo, una voce, una pancia troppo gonfia, persino un carattere. Ma lei si sentiva comunque completa, nonostante gli sguardi di commiserazione di chi non la reputava all’altezza degli standard. E poi l’amarezza è un concetto astratto, che sí, a volte fa male, ma permette di maturare, di guardare le cose con una diversa prospettiva. Se lei non avesse sbagliato e quindi imparato, non l’avrebbe mai provata sulla sua pelle. E non avrebbe avuto il coraggio di vedere le cose con la chiarezza necessaria. Proprio ora che sul cellulare lampeggiava il nome del suo ex. Proprio ora che stava decidendo di interrompere la chiamata, bloccare il numero e di trascorrere un bel weekend al mare. Da sola. Un cliché.

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Text by Daniele

Nutrimento

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Avevo chiuso la porta alle mie spalle, non sarei mai più tornato a farmi trattare in quel modo. Sentivo ancora addosso i graffi delle sue parole, degli sguardi che tradivano quel sentimento che non c’era più. Tradivano la mia fiducia in un mondo che pensavo di conoscere. Può una porta difenderci davvero da noi stessi? Ci illudiamo sia possibile, quando sappiamo che non è così. C’è ancora della lasagna congelata in frigo, stasera mi nutrirò di quella, il mio contorno sarà quel sapore di amaro. Quello che resta quando una storia finisce, quanto il ticchettio dell’orologio fa così rumore da assorbire il suono del silenzio.

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Text by Daniele Mosca

È già ora di cena

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Guardava le sue mani aggrenzite. I pensieri lasciati sul comò. Fuori pioveva ancora, ma aveva bisogno di prendere aria, di respirare. Diventava sempre più difficile in una città che diventava sempre più piccola, dove tutti facevano finta di conoscersi. Il tempo scivolava via e nessuno glielo avrebbe reso. Se ne rendeva conto tutte le volte che passava davanti allo specchio. Impietoso e sincero, quasi come un vero amico. Avrebbe avuto il coraggio di guardarlo e dirgli che aveva ragione, che era cambiata. Ma con noi stessi non siamo mai davvero sinceri, cerchiamo di nascondere sempre la verità tra le pagine di vecchi libri che invecchiano sugli scaffali, come potessero farlo loro al posto nostro. Prese la crema idratante e l’aprí. Stese un po’ di prodotto sulle mani e iniziò spalmarla sulla pelle. Era già ora di cena.

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Text by Daniele Mosca

Tra le dita, un sogno

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Ai margini,
lo spettacolo è altrove.
Recito, attorno è confusione.
File interminabili per gli attori importanti.
A muovere me era la passione,
per qualche moneta.
Ma dentro qualcosa brucia,
e non posso ignorarlo.
Mi assale nella notte.
E non riesco a spiegarlo.
L’umiltà costa cara,
l’ambizione logora.
In un prato aperto,
pieno di papaveri rossi.
Svettano, nella loro presunzione.
Inconsapevoli,
di essere infestanti.
Resto ai margini,
stringendo tra le dita un sogno.
Inconsapevole,
Che sia già svanito.
Così come la mia voce.

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Text by Daniele Mosca