Nessuna risposta

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Dov’eri? chiese a quella donna che non riusciva a riconoscere.
Sono sempre stata qui. Rispose lei, cercando di sistemarsi i capelli, bagnati dal temporale improvviso.
Non è vero. Hai lasciato qui solo la tua ombra.
Io non sono ancora progettata per rispondere a questo tipo di quesiti, rispose lei.
Chiuse il pc e si affacció alla finestra. Di fronte a lui l’ennesimo grattacielo a coprire quello che era stato il mare.
In strada le solite automobili impazzite, le impronte degli pneumatici nelle pozzanghere, le serrande chiuse, gli spacciatori agli angoli delle speranze di quei pochi fantasmi in giro.
Sul divano una chitarra, velata di polvere.
Nella sua testa, una vecchia canzone.
Ma era ora di andare a lavoro, in una fabbrica visori tridimensionali.
Il sole nascosto ben oltre le nuvole.
Dov’eri? chiese all’ultimo sogno, appeso a un muro ormai ingiallito.
Nessuna risposta.

Foglie svanite

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Le foglie cadute,
il rumore assordante.
L’eco di un tempo,
il racconto innocente.
L’autunno inoltrato,
una lettera al vento.
Il momento sbagliato,
il mare e il cemento
Le foglia cadute,
aspettando che piova.
Le foglie svanite,
in una musica nuova.

Il profumo di un’altra scusa

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Senza alcuna scusa,
la notte non ha portato consigli.
Chiusa in una stanza,
origli discorsi che non comprendi.
E lo capirai col tempo,
che spesso non accade.
Che non c’è vento che tenga,
quando cade una nuvola.
È l’alba, lucida e nuda.
Cruda come crederci ancora;
Ora che la nuvola è fumo.
Il profumo di un’altra scusa.

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Il sibilo di un mondo distante.
Case vuote.
Sventrate.
Una bambola abbandonata.
E poi, polvere e ancora polvere.
Un giorno tornerà la vita.
Un giorno.
Fragori lontani.

Quelle scale sconosciute

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Si era risvegliata nuda in un letto di un tizio conosciuto solo il giorno prima. Il rumore delle ferite sotto pelle non accennava a diminuire. Aveva solo voglia di dimenticare. Di bere e dimenticare. Tra qualche minuto avrebbe dovuto trovare l’ennesima scusa per sgattaiolare fuori da un letto, rivestirsi in fretta senza farsi guardare e tornare alla sua vita di sempre. Continuando poi a chiedersi quale fosse “la vita di sempre”. Quella in cui non puoi fidarti di nessuno? Quella in cui è così facile tradire o essere traditi? Quella in cui il sesso è un giocattolo divertente dal non saperne più fare a meno? E lei all’amore ci aveva sempre creduto, lo aveva difeso così tanto dal negare, negare, negare e ancora negare che ci fossero dei problemi nella sua relazione. Ma poi tutto era diventato sin troppo evidente. Fino a sentirai stupida. Così tutto il castello che aveva nel tempo costruito era crollato. E ora, restava solo lei. Voglio restare sola, si disse, mentre silenziosamente scendeva quelle scale sconosciute. Ma forse sola lo era sempre stata, o meglio, era come si era sempre sentita negli ultimi anni, quando lui usciva per tornare alle ore più strane, tornando sempre con scuse via, via sempre più fantasiose. Chiamò un taxi, una volta realizzato che si trovava dall’altra parte della città e che non sarebbe mai riuscita ad arrivare in tempo a lavoro. Mentre il mondo scorreva via dal finestrino dell’auto, giurò a se stessa che sarebbe stata l’ultima volta. Ma sul gruppo WhatsApp delle amiche era appena comparso un messaggio: “aperto nuovo locale, bella gente da conoscere. Chi viene?”
“Io ci sono”, rispose, senza alcun indugio.

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Non c’era alcuna poesia nei suoi occhi

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Non c’erano più foglie sugli alberi, da guardare cadere.
Come comete silenziose, si erano posate per terra.
Ma non c’era alcuna poesia nei suoi occhi, solo un semplice cinismo. Lo stesso che lo metteva di fronte a una certezza: il tempo passa in fretta.
E che, come lui, passano tante altre cose, come i treni, i momenti, le occasioni. I ricordi.
Si rese conto che restare a osservare quelle foglie non sarebbe servito per riportarle sui rami.
E che non voleva attendere la primavera per vederle rinascere.
Raccolse i pensieri. Indossò il pesante cappotto e uscì in strada.
Aveva scelto cosa fare. Avrebbe comprato un nuovo quaderno. E lì, il tempo lo avrebbe fermato.
Perché quelle foglie, le avrebbe disegnate.

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Ed è stupido soffrirne

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Il muro scrostato raccontava di un mondo che non c’era più. Così anche vederla andar via non era stato doloroso come aveva immaginato. L’aveva amata, sì, per tanto tempo. Lei, però, non lo aveva mai scelto, lasciandolo sempre lì sulla porta, ad attendere un giorno che non sarebbe arrivato mai. Così, un giorno, aveva iniziato a togliere la muffa dai muri, a raschiare tanto forte le pareti, da rivedere, strato dopo strato, cosa c’era stato prima. Vernici, carte da parati e poi, alla fine, i mattoni. Aveva capito che una casa non sta in piedi grazie ai colori che indossa. E che quello che gli era sembrato amore, altro non era se non semplice carta da parati. In fondo, si disse, non puoi perdere qualcosa che non hai mai avuto. Ed è tanto più stupido soffrirne. A volte perdere qualcosa è l’unico modo per ritrovarsi, con quei mattoni stanchi, inumiditi, ammiffiti, forse, ma ancora capaci di tenere in piedi ogni cosa. Il treno che l’aveva portata via era partito già da tempo, la sala d’aspetto era ormai deserta. Dalla vetrata vide un bar. Sicuramente dopo un buon caffè avrebbe visto tutto per ciò che era davvero. Un nuovo giorno e un nuovo inizio.

Perché è l’amore che è così.

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Ersilia aveva amato quell’uomo in silenzio.
Aveva atteso per anni che si accorgesse di lei.
E forse aveva sperato che abbandonasse la sua vita per stare con lei.
Ora Ersilia ascoltava il suono delle onde che si infrangevano sulla battigia.
Lo sapeva, ormai, che a ogni centimetro conquistato con lui, sarebbe corrisposto un vortice di solitudine in cui si sarebbe sentita rinchiusa, come su un’isola lontana e deserta.
Lui diceva che é l’amore che è così.
Che vince chi è più forte.
Ersilia, però, ora si sentiva stanca.
Quella forza, lei, probabilmente non ce l’aveva.
Fece un passo in direzione delle onde.
Si fece forza, poi ne fece ancora.
Si fermò soltanto quando l’acqua le raggiunse la gola.
Poi, si lasciò andare.
E tornò a nuotare.
Sentì che il suo corpo era tornato libero.
Non importava quanto ci avrebbe messo per dimenticare.
Ora sapeva che ci sarebbe riuscita.
Perché l’amore è così, pensò.
Vince chi è più forte, di chi pensa di esserlo.

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Un caffè troppo amaro

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Cadono le foglie.
Così come le banalità.
Le follie abbandonate un attimo prima.
Cadono le stelle.
Le note che scivolano,
In un silenzio macchiato.
Ed è già autunno.
I colori accesi migrano,
ben oltre il mare
E noi restiamo qui,
a cercare le parole giuste.
Per darci un senso,
in uno specchio.
Che mi dipinge,
senza che io lo voglia.
E vorrei sentirmi più saggio,
non solo più vecchio.
Cadono le foglie,
come il sapore forte.
di un caffè troppo amaro.
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