Oltre, gli occhi

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Parole, marchi a caldo di una sonorità segreta. Parlava, mentre quella strana brezza sporca le infreddoliva le guance. Tutto intorno esplodevano colori, suoni, intrecci di racconti sparsi per terra. Ma lei, parlava. E tra il rumore metallico dell’ultimo treno, delle frenate delle automobili, dei discorsi inutili, nessuno di accorse.
Che le si erano spenti gli occhi.

Scemo chi legge

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Mi hanno colpito le parole di Umberto Eco, il quale ha dichiarato: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”. Poi ho letto i vari commenti sprezzanti sul ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti e ho capito che tutti i torti non li ha. Premesso che ho letto tardivamente “Il nome della Rosa” e l’ho trovato lento, pedante, e sovraccarico di informazioni inutili, con una scrittura lontana anni luce dai canoni della letteratura moderna, mi viene da pensare che ogni epoca abbia il suo codice di comunicazione. Detto questo, i social traboccano di parole a vanvera scritte da persone che si auto-definiscono poeti, scrittori, commentatori e che per tale diritto acquisito possano scrivere qualsiasi cosa. Qualcuno potrebbe obiettare, “hai appena scritto delle critiche su uno dei romanzi più importanti del mondo. Chi sei per farlo?”. La risposta é semplice. Sono uno che legge. E che facendo questo ha maturato la sensibilità di poter esprimere un pensiero. Analizzerei però quanto detto, dire che lo stile di Eco é spesso anacronistico, non vuol dire negare che sia un gran romanzo. “Il nome della rosa” rappresenta un’epoca, ed é stato lo scrittore stesso a scegliere di utilizzare una scrittura che richiamasse il modo di raccontare di quel momento storico. Da questo punto di vista il romanzo in questione é magnifico. Il tema é chi dice cosa. E soprattutto sulla base di che. Per esprimere un pensiero bisogna pensare. Ognuno lo fa a modo proprio e in base alla propria cultura ed esperienza. I social hanno aperto la strada a tante persone che non hanno di fatto le basi per commentare. Come se una persona che ha mai letto un solo libro si mettesse a scrivere recensioni. Semplicemente assurdo, almeno da un punto di vista tecnico. Ma facciamo un passo indietro. Chi critica la Cristoforetti sui social? Perché? Una donna italiana che sceglie di diventare astronauta e che coltiva il suo sogno impegnandosi, studiando e, alla fine, corona una parte del suo sogno (perché credo che per lei sia solo l’inizio) dovrebbe essere un esempio. É scomoda. Scatta foto dallo spazio e le propone sorridente. Spiega come si mangia nello spazio. É felice di ciò che sta facendo. Alla gente questo non piace. É un’eccellenza italiana. No, non va. Bisogna deriderla. Dire che c’è sotto qualcosa. Qualcuno. Che anche lei é come noi. E bisogna dirlo. Che palle questa, che avrà fatto mai per essere celebrata così tanto? Quanti pendolari tornano a casa e nessuno li acclama. Ma quello che però va chiarito é cosa sono i social. Non sono organi di stampa. Sono pagine. Poco più di un blog, in cui un individuo può esprimere e condividere un pensiero o un sentimento. Frustrazione? Anche. Perché no. Forse, chi pensa che la propria pagina, o meglio, il proprio account, sia tanto autorevole da potersi autolegittimare come poeta, scrittore o giornalista, non ha capito di cosa stiamo parlando. Così come credo non lo abbia capito nemmeno Eco. I social sono un mezzo di comunicazione, così come tanti. Non credo che Adn-Kronos tenga conto di un mio pensiero nella sua comunicazione, questo non mi vieta di esprimerlo. É democrazia. Ma sta a noi imparare a filtrare le notizie, le informazioni, a capire chi dice cosa. É difficile. Ma questa nuova epoca lo impone. Altrimenti nessuno di noi potrà distinguere un romanzo da un altro, un poeta dall’altro. Altrimenti rischiamo di mischiare il poetucolo di periferia che scrive senza metrica né rima da un Dante o un Leopardi. La cultura e la sensibilità ci servono a questo. Chi parla al bar prima lo faceva nella locanda, ora sui social. Quindi Eco, contestualizziamo, altrimenti stai dando dello scemo anche a chi legge.

Note, a margine

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Note a margine.
Come l’argine di un fiume, quando l’acqua inizia a salire. Quando dormire, infondo non serve a niente. Scandire bene un nome, il proprio. E poi lasciare che quell’ultima lacrima inondi anche l’ultimo pensiero. É notte, e ho ancora voglia di camminare. E di sentire questo freddo che non capisco mai se viene da fuori, o da dentro. Note a margine, perché di pagine, ne ho già scritte tante. E ho paura, sí. Ho paura anche io. Di guardarmi dentro e di non trovarci più nulla. Come dopo un furto. Di scoprire che mi va bene tutto così. Che non voglio più lottare. Sí, ho paura. Del buio, ma non di quello in cui non si vede niente. Del buio dell’apparenza. Del buio che poi é un vuoto, dentro. Paura di rendermi conto di essermi perso. Di avere sbagliato strada. Noi, siamo la nostra stessa poesia. Senza la nostra anima, ma cosa scriviamo a fare? Siamo soli, certo. Ma chi non lo é, infondo? Note a margine, perché la voragine, é inconcludente. Quando l’argine si rompe, si dovrebbe saper piangere. Avere il coraggio di farlo. Quando anche l’ultima lacrima é cristallo, non resta che aspettare. Che ci sia ancora musica. Ancora note, a margine.

Blackipocrity

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Devo fare i miei complimenti ad alcuni organi di stampa che sono riusciti non solo a cavalcare, ma anche a manovrare l’indignazione pubblica per gli eventi di ieri usando il video di un ragazzetto idiota e ignorante e di qualche ebete che riesce anche a farsi dei selfie per immortalare il dayafter. Ottima strumentalizzazione. Complimenti davvero tgcom, il giornale, e chissà quanti altri. Ci chiediamo come sia così facile arruolare poveri mentecatti in organizzazioni ben più violente? Ecco la risposta. La violenza vive dove c’è il vuoto. Di chi protesta ma ormai nemmeno sa più perché lo sta facendo. Seguono altri. Come fossimo sempre su un social. La protesta é sempre quella del g8 di Genova, non dimentichiamolo. La costruzione di filiere che portano a slowfood ed Expo taglia fuori molta gente. La globalizzazione é un concetto importante, ma va monitorato. Capito. Chi protesta seriamente lo fa per questo. Per ricordarci che distruggere terreni e delocalizzare coltivazioni, selezionarle, renderle più “vip”, non fa altro che distruggere il pianeta. Annientare popolazioni lontane, come quelle che a chilometri e chilometri da noi coltivano i magnifici gamberetti. Expo é sicuramente una grande occasione per l’Italia è tutto il settore agroalimentare, ma mai come ora a noi spetta capire di cosa si sta parlando e soprattutto non farci sempre deviare mentalmente da chi lo sa fare di mestiere. Chiudo, dicendo che i blackblock sono un cancro non solo italiano, ma mondiale. Si annidano però tra di noi e spesso chiedono asilo a realtà ben presenti sul nostro territorio. Parlo dei centri sociali, dei covi di ultras, e di chissà quanti altri luoghi concentrino questa strana forma di malessere che poi diventa violenza. Il non pensiero, l’isolamento dalla realtà auto giustificata dal “tanto é tutta una merda”. Senza rendersi conto di essere piccole pedine di un gioco più grande, così come lo siamo tutti a quanto pare. Anche sui social.

Questa é la liberazione

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Ragazzi, che si festeggi o meno, consiglierei di riflettere sulla parola liberazione, é triste e fortemente da ignoranti postare e ripostare sui social propaganda di estrema destra o comunque razzista contro i profughi. Molti di loro combattono una resistenza.
Molti di loro sono partigiani, ovvero contrari alla jihad.
Molti di loro cercano una vita normale. Come tutti.
Non é alzando il muro che risolverete il vostro problema.
Il muro é già stata una delle soluzioni proprio al conflitto a cui fa riferimento la festa di oggi.
A che é servito?
Prima di mettere condividi a qualsiasi cagata, ci si informi. Si studi la storia, anche non quella promossa dai libri di scuola. Studiare anche altri storici, altre versioni, se vogliamo. Ma studiamo.
In ogni caso sarebbe utile, per una volta, che le divisioni politiche venissero superate. La liberazione non ha coinvolto solo la sinistra o solo la destra, ma tutti gli italiani. Vittime di un regime totalitario, vittime di un carnefice. La resistenza rappresenta la fine di un momento buio della storia, quale sia la genesi del movimento dei partigiani é poco importante. É servito a creare un movimento contrario, a scegliere di combattere una guerra diversa. E non é mai tardi, quando si sceglie di combattere per la libertà. Proviamo a fare uno sforzo, a metterci nei panni di chi vive sotto un regime, di chi non può reagire. Di chi soffre in silenzio e che i silenzio cerca una via d’uscita. E pensiamo a cosa possa provare una mamma con un bimbo che cerca di attraversare il mare con una barca fatiscente, magari stuprata da gente senza scrupoli, il tutto per donare a suo figlio la libertà. Ecco, questa é la liberazione.

#8marzo

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Credo che le donne siano il motore principale della nostra società e del mondo per come lo conosciamo. Tutto il resto sono solo chiacchiere.
Quella di oggi é una ricorrenza importante, perché pose le basi per un riequilibrio dei diritti sul lavoro. É quindi testimonianza di come il mondo sia cambiato anche grazie alle battaglie di chi all’uguaglianza ci ha creduto fino in fondo.
Oggi diamo tutto per scontato. Diritti, doveri, libertà. Eppure qualcuno ha lottato per avere tutto questo. Sarebbe ridicolo, semmai, ridurre un giorni come questo all’unica occasione dell’anno in cui un uomo regala un fiore o a una “libera uscita”.
In gioco c’é molto di più.
L’augurio che faccio alle donne é di non arrendersi mai a chi vuole mettere loro dei vincoli. Limitarne i pensieri. Di continuare a lottare perché la donna non debba più essere vittima di una legge che non ma difende dalla violenza, dalla persecuzione, dall’impossibilita di esprimersi al massimo. Sembra assurdo, ma accade ancora.