Disarmato

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A te, che credi di conoscermi. Per le parole, o i resti di sogni lasciati su un qualche vagone di un treno. Per tutte le volte che mi hai sorpreso a fissare la luna. Avrai pensato che le stessi parlando. Per le note dimenticate, per la voce lasciata un passo dietro le quinte. Per la passione urlata al tavolo di una birreria, ubriaco di disincanto. Per il rimpianto. A te, che credi conoscermi, sappilo. Che io, a quella luna disarmata, parlavo davvero.

Fogli

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Cala il vento, sugli occhi stanchi, sul tempo, sulle poesie. Sulle note nascoste tra i fogli di un libro. Poi scriverlo, quel finale. E le parole, le mie.

Io non dimentico

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Io lí, non c’ero.
Sono stati gli uomini e le donne ad aver vissuto quell’inferno ad avercelo raccontato. I libri.
Ed é proprio per questo che sento di avere un compito, quello di non dimenticare e di tramandare tale memoria. E userò la mia voce e le mie parole ogni volta che potrò per ricordare e perché non accada più. E con la consapevolezza che viviamo in una realtà altrettanto difficile. Ora che la discriminazione non é poi così lontana.
Io lí, non c’ero. Ma non dimentico.

Avevamo

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Avevamo bisogno di raccontare. Lo facevamo in ogni occasione, su un tema, sui muri, sulle panchine, sui vetri appannati. Le parole diventavano stanze. Le stanze, parole. Ogni viaggio poteva avere diverse chiavi di lettura. Vennero poi momenti meno chiari e quella necessità si offuscò. Divenne discreta. Un giorno mi accorsi di sentirmi solo. E di non sapere più come dirlo. “A che serve scrivere?”, dicevano. E mi convincevo avessero ragione loro. Sempre di più. Era infantile, stupido. Inutile.
Lo ricordo ancora come fosse ieri.
Stavo camminando su una spiaggia di inverno. Era fredda e deserta. Ed era rimasto uno spicchio di luna nel cielo che diventava chiaro.
Non uno sfizio, un vezzo, un alibi a metà strada tra il tempo e lo spazio. Una colpa. Era una necessità, un bisogno. Quello di raccontare.

Considerazioni

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Mi é capitato, e mi capita ancora, di seguire il cammino di artisti che a un certo punto iniziano a sentirsi un palmo superiore al resto, snobbano chi in loro ci ha creduto e volano verso qualcosa che poi, alla fine, non arriva quasi mai. Il successo. Li vedi sfiorire, anche quando aggiungono un trucco pesante per nascondere la delusione e l’amarezza che, comunque, si legge negli occhi. Non credo negli “artisti”, ma in chi ha una sola priorità: quella di raccontare se stesso, nel bene e nel male.

La fine dell’anno

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La fine dell’anno è un periodo strano per quelli come me, si fanno bilanci, si valutano le cose fatte e non fatte. Quest’anno è stato strano, sono accadute cose molto belle e altre meno belle, posso dire che si è trattato di un anno di “investimento”. Alcuni progetti sono terminati, altri appena iniziati, altri ancora sono rinati quando sembravano finiti. Sicuramente c’è ancora molto da lavorare. Come sempre ringrazio tutti quelli che mi seguono e che hanno fiducia in me, anche quando ci sono momenti meno luminosi. Non sempre i riflettori possono essere accesi, qualche volta bisogna lasciarli spenti. E riflettere. Capire cosa è importante davvero. Il 2015 per me è stato questo. Non sono mancati i momenti importanti ed emozionanti. Non è mancata la passione, nonostante il tempo che passa e le delusioni che inevitabilmente si presentano. Si riparte proprio dalla passione, dalla voglia di raccontare e di raccontarmi.

Il viaggio

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Alle canzoni affidavo una parte di me. I miei sogni, le emozioni. Le speranze. Poi il tempo fece il suo corso e quel rapporto cambiò. La canzoni smisero di parlarmi. Non é come tutti pensano, come un flusso che va in un’unica direzione. Un fiume in piena. É più un mare, condizionato dalle correnti, dal vento. Dalla luna. Certo non da noi, che siamo barchette di carta. Scrivere é cercare di non affondare, cercare la corrente giusta. E, come spesso accade, si può sbarcare in un porto lontano, sconosciuto, talvolta ostile. O questo é almeno ciò che appare. Spesso sembra che quella parte di me, quei sogni e quelle speranze siano svanite, che si trovino altrove. Magari nella faccia oscura della luna piena. E spesso é proprio così. Si nascondono, si riposano, e chissà, magari cercano se stesse. Così un giorno, semplicemente, quelle canzoni si allontanarono. Restai ad attenderle, un’ora, un mese, un anno. Provai a cercarle nelle altre canzoni, senza trovarle. E mi resi conto che alcune emozioni sono fatte per andar via. E che aspettarle ancora sarebbe stato del tutto inutile. Restarono le ferite, i ricordi e qualche spicciolo di ingenuità. Spesi tutto in vino e caffè. E quando tutto sembrava finito sentii un suono, la cameriera del bar aveva inavvertitamente sbattuto contro un vecchio pianoforte impolverato. Un’unica nota così sola e scordata, ma capace di raccontare un mondo intero di sogni, emozioni e sí, anche quella parte di me, nascosta da qualche parte, riuscì a sentirla. Così uscii dal bar lasciandomi alle spalle il chiasso e tornai a cercarla.

Considerazioni a margine

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Credo che un bravo editore debba dare un valore aggiunto al libro che sceglie di pubblicare, credere nel proprio prodotto e certo non metterlo sullo stesso piano di cose che con la letteratura non c’entrano niente. Credo che debba avere l’umiltà di riconoscere i propri limiti. Studiare. Reinventarsi. Non basarsi sulla logica elementare che un autore emergente debba “vendere” ai suoi amici e quando questi sono finiti, ricominciare con un altro libro. Sicuramente chi supporta un autore emergente é fondamentale, ma solo per iniziare a camminare, non per foraggiare improbabili meccanismi perversi. C’è una bella differenza tra marketing e mercato del pesce. Credo che un editore debba essere serio e capace e che sia perfettamente inutile mettersi in vetrina come una scultura del Bernini se poi si é soltanto un vaso cinese. E, per finire, credo che il lettore sia sacro e che come tale vada trattato, senza violentarlo o costringerlo a comprare prodotti che non vuole. La serietà non ha bisogno di molte parole.

Essenza

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Stanotte non riesco a dormire. Penso, ripenso. Ma guardarmi dentro a volte non serve a niente. Perché le parole escano, bisogna farsi del male. É sempre così. Le parole sono come il sangue. La vita stessa. Si nutrono di emozioni, come ossigeno. Un gioco d’ombre. Luce, essenza. Con gli occhi, e senza.