Da qui in poi

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​E in un attimo siamo arrivati a fine anno. Ed eccoci a parlare di bilanci. Sicuramente un anno complesso sotto tanti punti di vista. Questo é stato un anno di grandi cambiamenti e di progetti, alcuni naufragati, ed é un bene, a volte, che sia così, altri che hanno messo le radici per diventare qualcosa di più importante. É stato l’anno del ritorno dell’Equazione e della definitiva presa di distanze da una realtà surreale e grottesca. Da qui in poi si fa sul serio, con buona pace dei signori che fanno del provincialismo e della presunzione fine a se stessa una bandiera e un orgoglio. É stato l’anno della mia crisi con i social e forse con la realtà che li circonda, spesso fatta di ipocrisia, figlia dell’avanspettacolo spettacolo da Bagaglino. Questo tema purtroppo ha toccato diversi aspetti, dalla musica, alla letteratura. E non solo. Mondi disposti a sgomitare senza alcuna regola per qualche retweet, recensione o nome su qualche documento bollato. C’è amarezza in queste parole e me ne rendo perfettamente conto, ma non posso negare che da questo punto di vista sia stato un anno particolarmente difficile. Ma credo che la cosa più importante che ho imparato nella vita sia che quando la partita é in una fase di crisi é anche lecito buttare la palla in tribuna. 

Ma chiudo parlando di canzoni. Spesso raccontano dell’incontro con una persona che ti cambia la vita. Ed é ciò che a me é successo. Una persona che ha rimesso luce laddove si era spenta da tanto tempo. Che mi ha ridato speranza laddove si era persa. E seppure io ancora trovi difficoltà nel raccontare ciò che provo, credo che l’anno prossimo sarà importante, perché accadrà ciò che in fondo io ho sempre sognato, a volte di nascosto: creare una famiglia. Qui chiudo davvero, augurando a tutti un buon anno e ringraziando come sempre chi mi segue, supporta e sopporta. Senza tutte queste persone, queste parole svanirebbero. 

La direzione

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​Non é sempre facile. Anzi, a volte non lo é proprio. Però é importante sapere qual é la direzione, come é importante che qualcuno ogni tanto te la ricordi.

Impassibile

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Era impassibile, e impossibile non vederla. I suoi occhi si perdevano nella notte imminente. Abile nel gioco, nel fuoco incrociato. Con le carte giuste poteva ingannare il destino. Ma il velo di malinconia, la tradiva sempre. Implacabile, nella sinuosità delle sue illusioni.

Io non avevo mai smesso di aspettare

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Non potevo fermarti. Il tempo avrebbe coperto le tracce, prima o poi. E anche il bosco più tetro di giorno sembra diverso. Ero fermo in attesa di un treno che non sarebbe mai passato. Guardavo l’alba, senza tuttavia riuscire a vederla. Così il tempo trascorse, i giorni, le notti. Uscii da quella stazione e iniziai a camminare senza meta. D’un tratto notai un ramo scostato, proprio all’ingresso del bosco. Una traccia. Potevo raggiungerti, ma tornai indietro, verso la stazione. E sulla banchina c’era una donna.
“Da quanto tempo aspetti?”
La guardai senza riuscire a dire niente.
Io non avevo mai smesso di aspettare.

La verità

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La verità è altrove, sulle nuvole fradice di intenti, nei bassorilievi dei colori della pelle. Nelle sfumature che compongono un brivido, come le note assiepate tra le righe di un pentagramma, come a darsi coraggio. La verità è uno specchio, disegnato con colori opachi. Un raggio di sole trasversale, di quelli che attraversano il vetro, in un momento inaspettato di un pomeriggio, poco prima del tramonto. Proprio quando sembra più inappropriato. L’istante in cui riesci a vedere da un altro punto di vista, estraneo quasi alle dinamiche degli occhi. La bolla di sapone che esplode e manda in frantumi l’illusione.

Questa stupida pagina bianca

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​Credo di non aver mai avuto la sindrome da foglio bianco, perché, in fondo, le idee non mi sono mai mancate. Ma il tempo cambia le prospettive, le sfuma. Così ho iniziato a chiedermi se quelle idee fossero davvero così giuste. Ed é successo perché vedevo intorno a me una realtà distorta. Mi sono chiesto se fossi io a sbagliare, quando per la prima volta presi un quattro su un tema da otto. E soltanto perché certe cose, diceva la professoressa democristiana, non si potevano dire. Quando la suora diceva agli altri bambini di non parlarmi perché i miei genitori erano separati. Quando il genio di turno mi diceva che non sarei mai arrivato a fare quello in cui credevo e che nella vita é più importante compiacere chi conta che portare avanti le proprie idee. Con il tempo ho iniziato a lasciare sempre più spesso i fogli bianchi, a stare zitto, fino a quando ho iniziato a sentire dentro un profondo senso di vuoto. E mi sentivo sempre più colpevole. Perché quando silenzi un’idea, sei anche tu il carnefice. Perché se non ci credi tu, non ci crederà mai nessun altro al posto tuo. E proprio quando avevo dimenticato di saper scrivere, ritrovai quel vecchio tema delle superiori. C’era quella rabbia di chi non vuole arrendersi, di chi non vuole abbassarsi alla logica del “tanto é così che va” e che se ne fotteva se avesse preso quattro, raccontava le cose per come andavano dette. A quella parte di me devo una spiegazione a tutto questo, a questa stupida pagina bianca.

Volti

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Volti, persi nel pensiero più assorto. A ragione, o a torto. In equilibrio, tra un luogo e un altro. Trasparenti, eppur troppo vulnerabili. Come se quel pensiero fosse nudo. Visi arrossati, e il freddo, intrappolato fuori.

Le mani

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Come cambiano le mani, l’illusione e il domani. Parti imparate a memoria. Le note sbagliate sul pentagramma della storia. Perché sono loro a farla, la storia. Sporche di grasso, terra o inchiostro. Un mondo che smette di restare in sospeso, e che torna nostro.