La distorsione

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C’è una forma di teatralità anche nella reiterazione degli errori, una distorsione degli eventi. Come se in questi tempi di pensieri così veloci da diventare inafferrabili, ci fosse una lente invisibile, incapace di mettere a ferro e fuoco le vere ragioni di una tale fragilità culturale. Questa é un’epoca di eccessi, di paure esorcizzate da paure ancora più grandi, in cui non sembra esserci più nulla da difendere, se non un confine che esiste solo e soltanto nella nostra mente. Ci han cresciuti dicendo che siamo tutti uguali, ma che é meglio avere paura di chi é diverso. E sembrano così labili i castelli creati per rinnegarlo. Sui nostri libri di storia il male é stato colorato con sfumature tenui, così dal renderlo meno spaventoso. Così non riusciamo ad ammetterlo che l’estremizzazione della cultura del diverso sia davvero spaventosa, perché impone nuovi paletti e non consente di capire fino in fondo che la differenza può diventare un valore aggiunto. E questo, una cinquantina di anni fa, lo sapevano i tedeschi e gli italiani, così hanno sfruttato le abilità e le capacità di un popolo, fino a quando hanno deciso che non serviva più, che doveva essere annientato per una ragione più grande. Per una cultura superiore. C’è una forma di teatralità nella reiterazione degli errori. La distorsione degli eventi fa sentire tutti così, culturalmente superiori.

La polvere

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​Il giorno della memoria, una memoria consumata, rovinata dalle strade tortuose, dalle verità create ad arte. Dalle lacrime mai versate, la cenere, la polvere e quel male che non vuole mai svanire davvero. Il filo spinato non ci lascia uscire. Siamo anime dannate, condannate a dimenticare. Un numero, mai più un nome. Storie, le stesse, a ripetersi e ingannarsi. E noi, distratti, a far finta di vivere.

C’era una casa.

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C’era una casa, al limite del bosco. Era abbandonata a se stessa. Le foglie la nascondevano al mondo, ma non agli occhi di una donna, che aveva paura del suo sguardo riflesso sulla superficie dell’acqua. Faceva freddo quando si incontrarono. E c’era la luna. Si parlarono appena, ma si capirono in un attimo. C’era una casa, al limite del bosco. E ora aveva due occhi chiari.

Mi chiedo.

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​Mi chiedo come sia possibile un tale livello di contrapposizione su ogni tipo di argomentazione, dai temi più seri fino ad arrivare alla presenza o meno del pecorino nella carbonara, per sfociare nel fanatismo. Ecco, di fronte a questo spettacolo si perde un pó la voglia di credere che il confronto serva poi a qualcosa. Senza rispetto é e resta solo contrapposizione. E questa non credo sia politica seria. La politica dovrebbe essere anche, e soprattutto, buon senso.

Imparerei

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Imparerei dai silenzi, se soltanto non avessi voglia di urlare. Mi prenderei cura degli spazi, se dentro di me ci fosse più ordine. Ci sono fogli per terra, sogni ancora appesi ai muri. Stanze vuote e altre stracolme di roba che non userò mai più. C’è la musica che avvolge ogni cosa. E a lei i silenzi, non sono proprio mai piaciuti.

Parlano tutti

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​Parlano tutti. La fobia dilaga. Il caso Rigopiano rappresenta molto probabilmente una sovrapposizione degli effetti di più cause: sisma, neve e negligenza amministrativa. Vorrei sentir parlare più spesso pianificazione e la difesa idrogeologica non solo in queste fasi concitate in cui, diciamolo, é praticamente inutile farlo. Questa é una fase di emergenza, in cui si agisce su un evento ormai già accaduto. É compito della Protezione Civile, quindi di tutte le sue componenti, quello di gestire questa fase, mettendo in campo tutte le risorse competento necessarie. Non servono allarmismi e le notizie inventate e nemmeno teorie senza alcuna base. La speranza per il futuro é che l’esperienza aiuti tutte le componenti della macchina a non commettere più gli stessi errori.

Il posto

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​Cercavo un posto oltre il tempo, un rifugio per quando la notte si fa più fredda, dove la luce é il riflesso incondizionato degli occhi, il contatto, un brivido improvviso. Il viso come un libro. Le sue pagine, momenti, sensazioni, lacrime e risate. Le sfumature. Le orme dei passi che si uniscono. Cercavo un posto oltre il tempo. E quel posto sei tu.

Parlo poco.

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​Parlo poco. E a volte sogno troppo. Ad avere un pó più i piedi per terra ho imparato con il tempo, anche quando voleva dire perdere qualcosa di me. Rifletti, battiti per ciò in cui credi, pensa, impara. Tutti concetti che insegnano fin da bambino, poi, a un tratto, ti dicono di smettere di farlo. Proprio quando ci avevi preso gusto. C’è un album da completare. E tu sei una figurina. Te le ricordi le figurine? Hanno un nome. E una faccia. A me è sempre piaciuto scoprire la storia di quelle facce, perché avessero scelto di indossare proprio quella maglia e magari non un’altra. Ma una volta c’era la passione. E un prezzo da pagare. Oggi, nell’era dei risvoltini e delle facce da like, da saldo di fine stagione, io ho ancora voglia di riflettere, pensare, imparare, battermi per ciò in cui credo. Ho un nome, una faccia. E continuo a parlare poco.

Io non ci riuscirei

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​Come mi sentirei, se avessi oltrepassato il mare, con occhi che hanno visto troppo. Se avessi assaporato il sangue e il gusto amaro della morte, camminato a piedi nudi sulle braci di un deserto, le pietre dei sentieri di montagna, i rovi taglienti. Calpestato la neve e mangiato la paura, perché i miei figli non morissero della mia stessa fame. 

Come mi sentirei se a sbranarmi fossero occhi famelici, ignari, lontani, dietro le sbarre di una vita che non mi spetta. Occhi che mi cacciano via, come un insetto inopportuno. Saprei spiegare ai miei figli il perdono? No, non saprei farlo, io non ci riuscirei.