Vorrei tornare

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​Vorrei tornare a dire tutto quello che mi pare, proprio come una volta. Con l’incoscienza e la spavalderia di chi sa di non poter sbagliare. Quando c’era l’illusione che cambiare fosse impossibile, che le parole potessero davvero bastare e che i sogni non potessero diventare prigionieri dell’illusione stessa. Quando si credeva anche alla lealtà e alla capacità di fare una rovesciata e mandare il pallone all’incrocio dei pali. Allora tutto sembrava possibile e un vaffanculo era la cosa più naturale del mondo.

Come un pianista

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Come un pianista, disegnerei traiettorie in bilico tra cielo e terra, tra il senso e la guerra. Ma le mie dita non riescono a sfiorare i tasti, su questi tempi imperfetti. Un proiettile, non è una parola. E una parola, non è sempre la storia. Il sangue non può avere colore diverso, quando il sipario si chiude. Restano gli applausi, o un assordante silenzio.

L’iceberg

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​New York mi colpì per la miscela di volti e culture tanto diverse che vivevano gomito a gomito ogni giorno, ma non potevo ignorare che agli angoli delle strade e nelle zone più periferiche ci fosse un mondo in cui le luci della metropoli non arrivavano. Emarginazione, povertà, paura. Queste pagine per molti anni sono rimaste nascoste, mostrando un paese moderno e libero. Forse Trump rappresenta solo la punta dell’iceberg di un malessere di un paese che non è mai cambiato davvero dai tempi delle discriminazioni razziali e dei soprusi. 

Imperfezioni

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Soltanto il gesto di posare la puntina sul disco di vinile aveva qualcosa di magico, quel fruscio unico che accompagnava il tuo brano preferito. E quel suono pulito, che arrivava fin dentro l’anima. Spesso il disco si incantava, perché quelli che ascoltavi di più si rovinavano anche prima. Ci sono dischi che sono diventati parte di noi, con tutte quelle imperfezioni, quelle sbavature, regalando quel senso di onnipotenza. Perché la musica, quella vera, é così. Soltanto poche tracce, ma in quelle c’era tutto il mondo che ti serviva. Esattamente come lo immaginavi.

Dignità

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​In viaggio, con poche certezze tra le mani. Quel che resta della dignità. Una fetta di speranza, da usare con prudenza e solo nei casi di estrema necessità. Il mare sa essere crudele, mai quanto gli uomini. Lungo la strada si perde tutto. E si fa in fretta a cambiare. Vorrei non dimenticare gli occhi che avevo, perché oltre il deserto c’è qualcosa di più grande. Qualcuno prega, qualcuno piega in silenzio un foglio di carta, come per cancellare per un attimo la propria identità. Ma la vita è più forte, a volte più del mare. Sa essere feroce, anche nella sua ingiustizia. Chissà se un giorno questo viaggio finirà e potrò di nuovo incontrare i miei occhi, persi. Se potrò ancora guardarli. E restituire loro quel che resta della dignità.

La distorsione

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C’è una forma di teatralità anche nella reiterazione degli errori, una distorsione degli eventi. Come se in questi tempi di pensieri così veloci da diventare inafferrabili, ci fosse una lente invisibile, incapace di mettere a ferro e fuoco le vere ragioni di una tale fragilità culturale. Questa é un’epoca di eccessi, di paure esorcizzate da paure ancora più grandi, in cui non sembra esserci più nulla da difendere, se non un confine che esiste solo e soltanto nella nostra mente. Ci han cresciuti dicendo che siamo tutti uguali, ma che é meglio avere paura di chi é diverso. E sembrano così labili i castelli creati per rinnegarlo. Sui nostri libri di storia il male é stato colorato con sfumature tenui, così dal renderlo meno spaventoso. Così non riusciamo ad ammetterlo che l’estremizzazione della cultura del diverso sia davvero spaventosa, perché impone nuovi paletti e non consente di capire fino in fondo che la differenza può diventare un valore aggiunto. E questo, una cinquantina di anni fa, lo sapevano i tedeschi e gli italiani, così hanno sfruttato le abilità e le capacità di un popolo, fino a quando hanno deciso che non serviva più, che doveva essere annientato per una ragione più grande. Per una cultura superiore. C’è una forma di teatralità nella reiterazione degli errori. La distorsione degli eventi fa sentire tutti così, culturalmente superiori.

La polvere

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​Il giorno della memoria, una memoria consumata, rovinata dalle strade tortuose, dalle verità create ad arte. Dalle lacrime mai versate, la cenere, la polvere e quel male che non vuole mai svanire davvero. Il filo spinato non ci lascia uscire. Siamo anime dannate, condannate a dimenticare. Un numero, mai più un nome. Storie, le stesse, a ripetersi e ingannarsi. E noi, distratti, a far finta di vivere.

C’era una casa.

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C’era una casa, al limite del bosco. Era abbandonata a se stessa. Le foglie la nascondevano al mondo, ma non agli occhi di una donna, che aveva paura del suo sguardo riflesso sulla superficie dell’acqua. Faceva freddo quando si incontrarono. E c’era la luna. Si parlarono appena, ma si capirono in un attimo. C’era una casa, al limite del bosco. E ora aveva due occhi chiari.