Quella gran voglia

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Avevo bevuto troppo. Guardavo il mondo che correva troppo veloce, da un finestrino anonimo, di un’auto che nemmeno conoscevo. I pensieri volavano da un lato all’altro della mia testa, che mi faceva sempre più male. La notte era giovane, o forse ormai troppo vecchia. Una giostra, una notte, una terra, una luna. Una sola stella, in bella mostra ai bordi della statale. Quanto era lontana la storia che volevo riscrivere. Sentivo la nausea salire, fino ad arrivare all’anima. Volti che si sovrappongono, nella frazione di un solo istante, sui fotogrammi di una pellicola che non ricordi. Avevo bevuto troppo. I miei occhi incollati agli occhi riflessi sul finestrino. Senza perderne le tracce. Tutto era fermo. Le mie mani ancora strette sul volante. E poi, quella gran voglia di vomitare.

#testi

A volte

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A volte posso sembrare burbero, soprattutto quando di parlo di temi seri. Io credo che una partita duri sempre novanta minuti, anche quando si è svantaggio. Ma credo anche che la nostra sia una società spietata. Crudele. Che, come dice Liga, non permette di arrivare nemmeno al primo ritornello. Credo anche che si debba fare tutto il possibile per ottenere quello in cui si crede. Con tutto l’impegno possibile. E anche a costo di perderla, la partita. Con serietà, dedizione, sudore. Tanto sudore. Con queste cose tutto si può fare, o quanto meno ci si può provare. Posso sembrare burbero perché queste cose vanno dette così, come farebbe un allenatore con i suoi giocatori.

La camera oscura

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Ogni gesto, parola, sorriso è un linguaggio. Ma le ferite restano, anche di fronte a una frase scritta nel modo migliore. Restano tra le righe di una canzone, le pagine di un romanzo. Le scritte sui muri. La camera oscura, in cui sviluppare i ricordi. Un mondo, le sue sfumature. Ogni gesto, parola, silenzio, raccontano qualcosa. Ma dimenticare le proprie ferite sarebbe come perdersi. E cancellare la propria, di storia.

Oltre lo specchio 

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E tu, raccontamelo. Quando le labbra si mordono, a un passo da una stazione. Le luci, calano. E non hai voglia di mangiare. Quando tremano gli occhi. E senti i giorni correre. Veloci. Troppo, veloci. Tremano le pareti, il soffitto, un lampadario. Appesi alle speranze tradite dal tempo. E tu, scrivilo. Che la disillusione è una malattia. Che la cura, é guardare oltre lo specchio. Le vetrate, a celare un treno che parte. E le labbra, che si mordono.

Tratto da quello che la gente non vuole ascoltare.

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Cosa cerchi, in questa valle sperduta? I brandelli di sogni nascosti tra le foglie e le gocce di rugiada. Le notti stellate, che alle stelle hanno tolto la parola. Le disillusioni di chi corre, per non andare da nessuna parte. Le paure di chi scrive il proprio nome sulla porta del cesso di un Autogrill. Le note incantate di un pianista che torna a casa ripetendosi che domani andrà meglio. Lo sguardo di chi si è perso. Chiudo la finestra, sento freddo. Anche se fuori é l’inferno. Alzo il volume della musica, per non sentire quello che ho dentro.
Tratto da quello che la gente non vuole ascoltare.

Il barattolo di vernice

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Io, la mia immagine riflessa sul bordo del pianoforte. Tu, la luce che taglia l’aria della stanza.

La polvere, colta in fragrante.

C’è un nome scritto su un foglio, abbandonato sul tavolo. E un barattolo di vernice.

Le parole sussurrate, fino ai confini della stanza.

E una porta, a racchiudere un mondo.

C’è il tempo, scandito da un orologio invisibile.

Lo spazio, nella disordinata simmetria.

Io, che cerco di capire il senso di una parola.

Tu, che lo conosci. E puoi darle un nome.

Da un romanzo che non esiste

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Lei chiuse gli occhi. Lui, non aveva più paura. Le scritte sul muro raccontavano un’altra storia. Il cielo restava in silenzio. Le parole, sospese a un filo invisibile. Lei sfiorò la sua mano. La musica era troppo forte e non riusciva a sentirlo. E così, svanirono. Il filo si spezzò. E lei riaprí gli occhi. E lui non c’era più. Guardò il muro e di sfuggita riuscì a leggere quell’unica parola, scrostata dal tempo. Si alzò , incamminandosi verso il mare. Mentre iniziava a piovere. Una parola, una soltanto. Domani.
Da un romanzo che non esiste.