Dimenticarsi dei rischi

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Continuo a pensare che una pandemia mondiale non potesse che essere affrontata con le misure che sono state applicate in questi anni. E che per mitigare i rischi del contagio, ma soprattutto degli effetti del virus, siano necessari dei vaccini.
Lo dico adesso, perché é troppo comodo smontare, piuttosto che costruire un sistema.
Perché é troppo semplice perculare chi oggi si mette la mascherina anche se non è più obbligatoria.
Perché é quasi comprensibile che qualcuno dica “vivo qui da quindici anni e il fiume non è mai esondato”, a fronte di studi idraulici che invece dimostrano che potrebbe succedere, eccome.
Perché già ci stiamo dimenticando tutto.
Non penso che il problema sia dire o meno che tutto sia stato fatto nel modo perfetto.
Sicuramente si poteva far meglio.
Sicuramente si poteva fare qualcosa di diverso.
Ma ciò che non si dovrebbe fare è negare che fosse necessario.
Così come non si dovrebbe smettere di pianificare e progettare ogni tipo di emergenza, al fine di non farsi trovare impreparati.
Cosa che è accaduta con la pandemia, quando invece la ricerca diceva che poteva verificarsi quel tipo di fenomeno
Quello che non si dovrebbe pensare è che uno slogan possa difenderci dai rischi e dalle paure.
Gli slogan sono parole, ma i fatti sono un’altra cosa

Bianco è il colore del danno, di Francesca Mannocchi

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“Bianco è il colore del danno” di Francesca Mannocchi è un viaggio in una vita, nei suoi contrasti, nell’anima oscura di un conflitto che cambia ogni equilibrio e certezza. È una ricerca di consapevolezza, una sfida impari alla paura. Ma è anche una confessione potente, delle debolezze e delle fragilità di una donna. La scoperta di un mondo interiore. È il tentativo di perdonare e perdonersi, cercando qualcosa di sé, che inevitabilmente si è perso. Ma anche la volontà di trovare un nuovo punto di vista.

Il mutilatore di Marco Paracchini, edito da Golem Editore

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Il protagonista è Kenzo Tanaka, un detective privato, che, a seguito del ritrovamento di una serie di valigie contenenti parti del corpo appartenenti a delle giovani donne, affianca l’ispettore Gamanote in una corsa contro il tempo per fermare un feroce serial killer.
Una delle particolarità di questo noir è l’ambientazione, l’indagine si svolge, infatti, a Tokio.
Il Mutilatore è un noir dalla trama fitta ed efficace, che ricorda il primo Faletti e Murakami, in alcuni passaggi legati agli aspetti caratteristici del Giappone.
Il risultato è un romanzo con ottima leggibilità con spunti interessanti sulla vita, la cultura giapponese e su relazioni e rapporti tra personaggi.
Ottimo per chi ama i noir e per chi predilige una scrittura veloce, chiara e una trama diretta.

Il diritto alla vita, degli altri.

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Il diritto alla vita. Degli altri.
È il paradosso di chi vorrebbe vietare l’aborto, impedire il fine vita e tutta un’altra serie di limitazioni alla vita. Degli altri, appunto.
Gli Stati Uniti corrono più in fretta, alcuni degli Stati, almeno, e intercettano i dati delle applicazioni per la gestione del ciclo, messaggi privati sui social in cui si parla di aborto. Un mondo inquietante e oppressivo. Che impone di regolamentare la vita sessuale e le scelte personali, in nome di un estremo attaccato alla vita. Anche quella che nemmeno esiste ancora. Una platea di estremisti vorrebbe importare questo tipo di controllo anche nel nostro paese. Alcuni già lo fanno, imponendo con la propria obiezione di coscienza la non effettuazione delle interruzioni di gravidanza.
Quando la politica vuole mettere le mani sulla vita. Degli altri.

Fonto: fonte web

Il suono di un nome

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Il camioncino aveva portato via le ultime cose.
Lo stabilimento balneare, per come lo ricordava, ormai non esisteva più.
Percorse il tragitto che dall’ingresso conduceva verso la spiaggia.
Dove per decenni c’erano stati i suoi ombrelloni, c’era solo sabbia e l’odore del vento di autunno.
Il vento sembrava quasi riportare il ricordo del vociare dei bambini, degli amori nati e finiti velocemente.
Si voltò verso i vecchi locali prefabbricati, per anni adibiti a cabine e spogliatoi. Le porte in legno, ormai logoro, che avevano visto passare le storie di migliaia di bagnanti.
A ricordarle ciò che stava per diventare passato, una barchetta che riposava a poca distanza dalla battigia.
Suo marito, quella barca, l’aveva amata tanto. A tal punto da assumersi la gestione dello stabilimento, attivitá che lei aveva ereditato da suo padre.
Ben presto quello che sembrava un salto nel buio si era tramutato in un vortice fallimentare. Lui aveva presto litigato con il personale storico dello stabilimento. Si era convinto che sarebbe riuscito a immettere personale giovane e più moderno. Ma i nuovi arrivati non c’entravano niente con quella realtà.
A nulla erano valsi i rimproveri, le minacce di licenziamento.
Dopo due anni, nessuno voleva più lavorare nello stabilimento.
Pian piano i vecchi clienti si erano trasferiti altrove.
Ora si rendeva conto che il silenzio che stava ascoltando, era iniziato molto tempo prima.
La barchetta era immersa nella sabbia, alzata dal vento che proveniva dal mare.
Si chiuse meglio il giubbotto per difendersi dal vento, o forse da quei ricordi, ormai troppo pungenti.
Ripensó a suo padre. A quando da bambina l’aveva lasciata scorrazzare per lo stabilimento. Alle prime esperienze lavorative, quando alla cassa assegnava gli ombrelloni disponibili, sotto l’occhio vigile del nonno, che a sua volta aveva gestito quello stabilimento.
Chissà cosa avrebbe pensato di lei, che aveva lasciato naufragare tutto, così, nel silenzio.
Si chiese se davvero fosse colpa sua. Forse l’errore era stato non vendere prima ai diretti concorrenti.
Forse l’errore era stato amare Carlo, il suo ex marito che un giorno aveva candidamente ammesso di essersi innamorato della signora che dava una mano a pulire lo stabilimento. E che con la stessa serenità aveva comunicato che sarebbe andato a vivere con lei.
Lanciò un ultimo sguardo a quella barchetta, sapendo che sarebbe stata l’ultima volta. Sperando, poi, di ricominciare a vivere.
Il nome della barca era stato quasi del tutto cancellato dalla fiancata. Il nome che suo padre le aveva dato: Romanza.

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Cosa intendete per famiglia?

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Famiglia. Famiglia.
Ok, ma cosa intendete per famiglia?
Come sempre siamo in campagna elettorale e come sempre vengono somministrate tonnellate di luoghi comuni, di cui la maggior parte di noi non ricorda nemmeno la genesi.
E allora partiamo da qui.
Storicamente il concetto di famiglia ci viene propinato come mamma, papà e tanti figli. E fin qui spiegata la sintesi generale e populista utilizzata dalla maggior parte dei candidati.
Solo che in questi secoli la dinamica della “famiglia” è cambiata. O meglio si è integrata con tutti i dogmi vietati per secoli dalla Chiesa. Ebbene sì, da una filosofia religiosa millenaria, che a sua volta ha subito mutazioni per stare dietro alla fuga dei fedeli, i quali non credono più alle cieche minacce demoniache.
Quindi oggi il concetto di famiglia è ampliabile a diverse realtà. Uomo single con figli. Donna single con figli. Uomo, uomo. Donna, donna. E via discorrendo.
Per cui è facile generalizzare che il concetto storico di famiglia prevedeva un uomo che va a cacciare (lavorare  nei tempi relativamente più recenti) e la donna annullava se stessa per acudire anche decine di figli. E parliamo di figli, allora.
Si parla spesso di denatalitá. Mai delle cause.
Una è derivata da un fattore determinante. Le donne lavorano, per cui non è più riproponibile il modello storico di cui sopra. È impossibile prendersi cura di decine di bambini, lavorando. I servizi di sostegno sono scarsi o, peggio, fruibili solo per fasce di reddito alte. Ma c’è un altro fattore importante. Nella nostra società nessuno vuole rinunciare ai propri interessi per annullarsi per crescere più figli.
Un altro fattore ancora.
Storicamente i figli venivano messi al mondo per un motivo. Creare forza lavoro. Oggi lo stesso fattore non è cambiato, perché in prospettiva mancheranno lavoratori per pagare le prossime pensioni. Risulta evidente che coniugare le due cose sia a oggi impensabile.
A colmare la lacuna può esserci l’immigrazione.
E torniamo alla campagna elettorale di cui sopra, la stessa morale che porta a idolatrare la famiglia storica, vorrebbe bloccare con tutti i mezzi l’immigrazione.
Al netto che esiste immigrazione regolare e clandestina e su cui occorrerebbe fare un discorso a parte, questo tema genera contrapposizioni che vanno a fondersi, anche in questo caso, con una storia recente che ha fatto del razzismo, una bandiera. La stessa morale che non riconoscerebbe nemmeno una famiglia formata da soggetti con etnia diversa.
Torniamo quindi al questito iniziale: cosa intendete per famiglia?

Perché è l’amore che è così.

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Ersilia aveva amato quell’uomo in silenzio.
Aveva atteso per anni che si accorgesse di lei.
E forse aveva sperato che abbandonasse la sua vita per stare con lei.
Ora Ersilia ascoltava il suono delle onde che si infrangevano sulla battigia.
Lo sapeva, ormai, che a ogni centimetro conquistato con lui, sarebbe corrisposto un vortice di solitudine in cui si sarebbe sentita rinchiusa, come su un’isola lontana e deserta.
Lui diceva che é l’amore che è così.
Che vince chi è più forte.
Ersilia, però, ora si sentiva stanca.
Quella forza, lei, probabilmente non ce l’aveva.
Fece un passo in direzione delle onde.
Si fece forza, poi ne fece ancora.
Si fermò soltanto quando l’acqua le raggiunse la gola.
Poi, si lasciò andare.
E tornò a nuotare.
Sentì che il suo corpo era tornato libero.
Non importava quanto ci avrebbe messo per dimenticare.
Ora sapeva che ci sarebbe riuscita.
Perché l’amore è così, pensò.
Vince chi è più forte, di chi pensa di esserlo.

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Devi scavare più a fondo

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Devi scavare più a fondo, se vuoi tornare a scrivere.
Le parole le hai.
Lo sai che sono nascoste da qualche parte.
Ma se non ci credi tu, non ci crederà nessun altro.
Prova con la musica, c’è sempre quella nota, amara, a volte, che fa scattare qualcosa. Che apre quella porta, che conduce alle parole.
Ma puoi anche scegliere di lasciarle dove sono, di difenderle da tutto e da tutti. Non ci sarà nulla di male, perché sarà come difendere te stesso.
Ma se vuoi tornare a scrivere, dovrai rischiare.
Dovrai sfidare gli sguardi di chi ti dirà di lasciar perdere.
E, talvolta, potresti trovarti a essere d’accordo con loro.
Intanto, tu scava.
Cercale.
Guardale.
Se anche se solo una di quelle parole entrerà in assonanza con quella nota, tu non potrai più farci niente.
Avrai le mani sporche di terra, gli occhi lucidi.
E avrai una sola certezza.
Saprai che tutto sarà ricominciato da capo.

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Le nostre storie

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Dal punto di vista letterario con questo Salone si é conclusa un’era.
Credo sia arrivato il momento di sperimentare altre strade e di ritrovare quell’entusiasmo che si è via via logorato.
Ho visitato questi ultimi due Saloni come “esterno”.
E a volte serve osservare le cose da un’altro punto di vista.
Il problema è che dopo si rischia di vedere meglio il quadro generale delle cose.
Ed è quello che è accaduto.
Proprio per questo motivo già da tempo ho iniziato a rimettere in discussione un po’ di cose, a partire da me stesso, lavorando sulle tecniche narrative e stilistiche.
Questo perché è essenziale migliorarsi.
Questo è un mondo che non fa sconti.
Un mondo in cui oggi sei sotto i riflettori, domani nessuno si ricorderà nemmeno il tuo nome.
E questa è, in fondo, una triste verità, ma è così poi in tutti i settori.
Siamo nomi, numeri, realtà intercambiabili.
Ma sapete? Io non credo che sia così.
Siamo storie uniche.
Storie che vanno raccontate.
Perché quei personaggi siamo proprio noi.
Noi che sogniamo ancora.
Noi che abbiamo paura di sbagliare.
Noi che ci vergogniamo di noi stessi.
Noi che nascondiamo lacrime e disillusioni.
Ma siamo anche noi che non ci arrendiamo.
Noi che sappiamo guardarci negli occhi, nonostante tutto.
Noi che sappiamo rialzarci sempre.
Noi che conosciamo bene il peso delle nostre parole.
E delle nostre storie.
Noi che se diciamo che si é chiusa un’era è perché sappiamo che se ne è appena aperta un’altra.

Due parole sul romanzo “La ragazza del collegio” di Alessia Gazzola.

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Due parole sul romanzo “La ragazza del collegio” di Alessia Gazzola.
Ok. L’Allieva è una serie che ha riscosso e riscuote un grande successo.
Vien sa sé che è un peccato non portare avanti una saga come quella.
Però, arriva un momento in cui le storie iniziano ad apparire spente e senza più quel brio che le caratterizzava.
E questo momento credo sia arrivato.
Ben inteso, il romanzo è scritto bene e si legge piacevolmente, ma a questi livelli non può e non deve essere sufficiente.
I nuovi personaggi non emergono, il finale è sbrigativo, sia per quanto riguarda l’indagine, sia sulla trama principale che riguarda i protagonisti principali, Alice e Claudio. Molta confusione.
Spiace, ma questo romanzo non rimarrá tra i miei preferiti.