C’era una volta il partito del fascio

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C’era una volta il partito del fascio, prometteva benessere e sviluppo a tutto il popolo italiano e che sarebbe stato finalmente risolto il terribile problema degli stranieri che rubavano loro la ricchezza e la prosperità. Raccontavano di quello che sarebbe stato il cambiamento imminente di tutto quello che non funzionava e che finalmente gli italiani si sarebbero ribellati e liberati del giogo degli Stati Uniti, Francia e Inghilterra. Narravano di un’alleanza con paesi amici che li avrebbero aiutato in questa avventura.
Un giorno il partito del fascio portò gli italiani in guerra, ma prima aveva distribuito loro la tessera del pane, provveduto a bruciare i loro stupidi libri e allontanato i vicini di casa stranieri. Gli italiani ripetevano gli slogan che venivano urlati da un balcone.
Poi iniziarono a cadere le bombe e gli italiani iniziarono a capire che la guerra stava volgendo al termine. E che a vincerla sarebbero stato proprio i nemici americani, francesi e inglesi e decisero di cambiare schieramento. Nel frattempo gli ex amici tedeschi avevano iniziato a stuprare donne e a mettere a ferro e fuoco i territori italiani. Alla fine di questa brutta storia gli italiani si ritrovarono indebitati con chi li aveva salvati da un nemico a cui loro stessi si erano affidati. Per anni e anni qualche italiano aveva raccontato di cose belle fatte dal partito del fascio: le bonifiche, le leggi per la previdenza sociale. Pian piano la ferocia venne dimenticata. Fino a quando, un bel giorno, il partito del fascio tornò, ma nessuno se accorse. Forse perché non aveva più gli stessi colori e si chiamava in un modo diverso. Qualcuno iniziò ad accorgersene perché prometteva benessere e sviluppo a tutto il popolo italiano e che sarebbe stato finalmente risolto il terribile problema degli stranieri che rubavano loro la ricchezza e la prosperità.

Taglia il filo rosso

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Taglia il filo rosso.
Attendi che il conto alla rovescia si fermi.
Oppure lascia che esploda.
Tutto l’impegno non basterà,
se resti ad attenderla.
Corri più forte,
lascia che ti raggiunga.
Taglia il filo blu.
Il conto alla rovescia andrà più veloce.
E non potrai scappare.
Intrappolato nel tuo fuoco.
Nei respiri incandescenti.
Nei pensieri più trasparenti.
La scelta, però.
Quella non potrai evitarla.
La vita è anche questo.

Chissà se

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Chissà se potevo immaginarlo,
quando ti guardai la prima volta.
Parlavi del tuo romanzo,
come fosse un tuo bambino.
Come me, avevi scelto di scrivere.
E per scrivere bisogna imparare a conoscersi.
Venivamo da mondi diversi.
Timide meteore che si incontravano,
come dadi lanciati su un tappeto blu,
con numeri diversi.
Binari che si incrociano.
E la vita spesso fa tutto da sé.
Così, ci siamo parlati.
Ancora, poi ancora.
Chissà se potevi immaginarlo,
che saremmo diventati una famiglia.
Perché anche chi scrive può stupirsi,
anche della propria fantasia,
che all’improvviso diventa realtà.
Chissà se potevo immaginarlo,
quando ti guardai la prima volta,
che mi sarei innamorato di te.

Scrivevo per difendermi

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Scrivevo per difendermi.
Come una spada, da difendere dalla ruggine.
Il tempo scandiva le sue frecce. E sentivo il freddo aprirsi un varco, tra la nebbia leggera di una stazione deserta. E tra le locandine sbiadite sui muri, cercavo il tuo nome.
Quante volte ho scelto di smettere di difendermi, ma le parole non volevano. E lo facevano al mio posto.
Quante volte ho sognato un mondo migliore, mentre mi sporcava. Lacerava i pensieri. Mi diceva che tutti prima o poi si arrendono.
Ho scritto sui muri, pagine sporche d’olio, il mondo che desideravo. E forse una piccola parte di me è rimasta. Nascosta proprio nei mondi che raccontavo.
Perché parlando del buio, si racconta quello che non riesci a vedere. E spesso sono proprio i sogni che difendiamo.
Quante volte sono rimasto in silenzio, con la paura che non sarei riuscito più a costruire parole.
Che mi fossi arreso.
Ed era in quel momento che sentivo dissolversi la ruggine.

Attenderti

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Attenderti,
dove il suono diventa un nome.
Oltre il viso che cambia nello specchio.
Rughe che esprimono il passato.
Questo è il mondo in cui nascerai,
con le sue luci e le sue ombre.
E un giorno, anche tu lo capirai.
Ma ora è presto,
mentre immagino il tuo viso.
La tua pelle morbida,
come quella della mamma.
Quando sembrava impossibile.
E il rumore sbraccava le paure.
Quando per non sentirle,
Io cantavo più forte.
Quando, parlando al vento,
incontrai la mamma.
E mi riconsegnó il coraggio,
di credere,
al suono delle parole.
Perché una di esse,
un giorno,
diventasse un nome.
Il tuo.

La leggenda del ragazzo che credeva nel mare di Salvatore Basile

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“La leggenda del ragazzo che credeva nel mare” è un romanzo che appassiona e che si fa leggere piacevolmente. Il protagonista è Marco, un ragazzo che è stato abbandonato dai genitori e che scopre, complice un sentimento verso una bella nuotatrice, la passione per i tuffi. Inizia a sperimentare di nascosto quest’arte e scopre di essere decisamente portato. A pensarlo è proprio Virginia, la nuotatrice. Un giorno lei lo invita a una gita al mare con i suoi amici. Marco per fare colpo su Virginia e per gelosia nei confronti del compagno della ragazza, deciderà di tuffarsi da una altissima scogliera facendosi male e perdendo l’uso delle gambe e del braccio sinistro. In soccorso arriverà Lara, una brava e paziente fisioterapista, che durante le cure noterà una voglia a forma di stella sulla spalla di Marco, che scateneranno in lei un vortice di ricordi e sensi di colpa. Perché lei ha già conosciuto Marco. Un romanzo che attrae, che, pur proponendo una storia non del tutto originale, riesce a emozionare. Salvatore Basile mostra anche in questo caso, dopo il successo del precedente romanzo “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” la sua abilità narrativa.

Circondami

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Circondami,
Il vento soffia forte.
Il suono delle pareti,
sottovoce.
Parlami.
Che con i silenzi,
son bravo anch’io.
Ruba le note,
prova a scrivere.
Nessuno ha bisogno di rime,
quando manca il ritmo.
Bruciami,
magari la pelle ricrescerá.
Ma il cuore sentirà il caldo.
Inventami,
come fossi una canzone.

Ti aspetto

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Ti aspetto,
nelle notti silenziose.
Porgo l’orecchio per ascoltarti.
E sembra di sentirti parlare.
Il suono dei gorgoglii,
sembra il suono del mare.
Attraverso una conchiglia.
Come saranno i tuoi occhi,
Come saranno i miei?
Ti aspetto.
Sulla banchina della mia vita.
Stringo la mano della mamma.
Che riesce già a sentirti.
Tutto sembra lento.
Invece corre veloce.
Come i battiti,
del tuo cuore in arrivo.

L’era dei commenti

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Viviamo nell’era dei commenti. Tonnellate di pensieri non richiesti gettati con odio su tutte le piattaforme socia. Partiamo tutti dallo stesso presupposto: che a qualcuno interessino. Ma la verità è che il complesso sistema che noi chiamiamo rete fagocita anche le nostre identità, trasformandole in semplici target per promotori pubblicitari. Il meccanismo è semplice: individua le caratteristiche del potenziale acquirente e vendigli tutto quello che può servirgli. Anche qui si apre un mondo. Quello che ci serve è quello che ci viene proposto come necessità, anche quando non lo è affatto. Nascono così mode ad hoc, fenomeno da imitare, il sistema va ben oltre gli influencer. Loro non sono che pedine in un gioco troppo più grande di loro. Sembra il Grande Fratello, direte. Ma questo lo sapevamo già. E non ci preoccupa nemmeno poi molto di essere diventati solo dei clienti a cui vendere qualsiasi cosa, a patto che ci lascino la libertà di esprimere una “libera opinione”. Anche quando questa non ha alcun valore e nessuno sarà interessato ad ascoltarla. Così la conoscenza viene soppiantata da Google, i ricordi da troppe fotografie. E si finisce per perdere la cosa più importante: la nostra identità. Quella vera, non quella dei social.

Proprio come le maree

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La luna influenza il mare. Basterebbe questo per guardarla con un certo rispetto, ma in fondo non credo che sia questo che desidera. Lei è poesia, sogno, ma anche malinconia. É quel velo di mistero, perché sappiamo che nasconde qualcosa. Ma non possiamo non continuare a credere in lei, che possa ascoltarci quando abbiamo paura e tutto sembra più difficile. Che sappia capirci, come un’amica paziente, pronta a sbronzarsi con noi fino all’alba, quando tutto sembra più chiaro. Anche dentro di noi. Ma non è sempre positiva, la sua influenza. Spesso sa rivelare il nostro lato più oscuro, che, come lei, tutti abbiamo. Ma per chi ama il mare è normale, subirne il fascino. Lasciarci andare e seguirla, per poi tornare indietro. Proprio come le maree.