É la musica che apre quelle porte

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri, Poesie

É la musica che apre quelle porte.
Dei pensieri incauti,
sporcati di storie.
Rubate, nascoste,
svendute al miglior offerente.
Buttai giù l’ultimo sorso di birra.
Non avevo più voglia di scrivere.
Salendo in auto,
Potevo rivedermi nello specchietto.
Ero invecchiato.
Forse qualcosa, però, l’avevo imparata.
Accesi l’autoradio.
Quella pessima stazione radio
a quell’ora passava sempre la solita canzone.
Ed era ciò di cui avevo bisogno.
Rimaneva sempre una lacrima,
in bilico,
come se non avesse il coraggio di buttarsi.
Ed era vero, in fondo.
Non ce l’aveva.
La vita corre in fretta,
come un treno che taglia in due la notte.
E attorno a noi, cambia tutto.
Un paesaggio che sfugge,
mentre cerchi il tuo riflesso nel finestrino.
La radio stava trasmettendo della pubblicità,
in quel momento.
Accesi l’auto e accelerai.
É sempre la musica che apre quelle porte,
e finché sarò ancora in grado di aprirle,
vorrà dire che sarò ancora vivo.
E che la radio trasmetterà una nuova canzone.

Photo by Unsplash
Text by Daniele Mosca

Io non sono perfetto

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri, Poesie

Io non sono perfetto.
Ho sbagliato, sognato.
Infranto.
Cuori, vetri e desideri.
Ho dato calci ai muri,
perché quei muri erano una gabbia.
Ho parlato con rabbia,
cantato con il nodo in gola.
Spingendo l’auto più forte,
su una strada deserta.
Incrociando fari accesi nella notte.
Ed era come respirare.
La vita è anche questo.
Ritrovarsi soli a camminare per strada,
cercando un motivo,
uno soltanto per ritentare.
Per ritrovare la voglia di risalire su un palco.
Per ingannarsi, una volta ancora.
Perché è il pubblico quello che conta.
E vuole sapere chi sei davvero.
Anche quando stai male.
E quando fai male.
Un veleno che scorre sottopelle.
Vittima del tempo,
anima delle stelle.
Mentre attendo la luna piena.
Io non sono perfetto.
E nel chiarore dell’alba,
finalmente,
lo ammetto.

Photo by Unsplash
Text by Daniele Mosca

Ci penserai alla paura

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri, Poesie

Ci sono partite e partite.
Tutte sono importanti.
Alcune ti cambiano la vita.
E sei a bordocampo,
i tifosi avversari urlano.
Cerchi di ingoiare la paura.
Sai che darai l’anima.
Chissà se basterà.
Ti sei guardato allo specchio.
Non sarà la stanchezza a fermarti.
Le curve stanno esplodendo.
Pochi minuti all’entrata in campo.
Concentrati.
Hai atteso questo momento da tanto.
Ora è il momento di giocare.
Ci penserai alla paura,
ma domani.

Photo by Unsplash
Text by Daniele Mosca

Chi saresti

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri, Poesie

Chi sarei,

se la pioggia non mi avesse bagnato.

Se le onde non mi avessero portato a largo.

Se non avessi provato paura.

Se non avessi imparato a nuotare.

Chi saresti,

se porgendomi la mano,

non ci avessi creduto.

Un gioco di sguardi,

di sogni e traguardi.

Di onde infrante sugli scogli.

Consigli sussurrati,

mentre il sole corre a nascondersi.

Chi saremmo,

se ora non fossimo qui,

a osservare due occhi,

grandi e curiosi,

che fino a poco fa non esistevano.

Photo by Unsplash

Text by Daniele Mosca

#Labirinto #Ep5

Pubblicato il Pubblicato in #Labirinto, #LMDS, L'equazione - Il thriller, La Macchina del Silenzio, Pensieri, Senza categoria

La sala era piena di monitor, ma Simona lo condusse davanti a un oggetto che sembrava una scatolina nera.
“Qui c’è qualcosa che vorrei farti vedere”
“Cos’è?”, pensò di chiederle.
“Un vecchio gioco, che tu conosci. Ma dentro questo gioco c’è nascosto qualcosa.
Qualcosa che noi dobbiamo trovare”.
“Perché?”
“Perché smettano di cercarci. E perché tutto possa tornare come prima”
“Dove sono loro?”
“Li abbiamo seminati, per ora. Proprio come nei giochi. Ma torneranno. Presto ci troveranno, per questo non abbiamo molto tempo.
“Cos’è?”, disse, indicando la scatolina.
“Un vecchio disco esterno. È lì dentro che si trova il gioco”.
“Lo accendiamo?”, chiese. Ma in quel momento la sentì arrivare. Una di quelle informazioni aveva preso il corridoio sbagliato. Capì dall’espressione di Simona che fuori dell’involucro aveva iniziato a gridare e che aveva preso in mano la scatola per lanciarla contro il muro. Simona si sarebbe arrabbiata. E non sarebbe più riuscito a giocare al nuovo gioco.
Sentiva di volerle chiedere scusa, ma non riusciva a fermare il suo corpo che si muoveva, impazzito. L’aria iniziava a mandargli, non era mai andato al mare, ma immaginava proprio così la sensazione di affogare. Questa crisi era una delle peggiori, lo capiva. I diversi dottori che avevano provato a curarlo avevano sempre detto di restare tranquillo, ma non ci era mai riuscito. E ora tutto stava divendo oscuro. Scatenando il lui la paura più ancestrale. Quella del buio.
Guardo Simona, con gli ultimi scampoli di lucidità. Gli sembro di vederla correre verso il muro e tornare con qualcosa in mano, per inserirla in uno dei computer.
Qualche istante più tardi tutto tornò normale. Improvvisamente.
Si guardò intorno, stupito.
“Cosa è successo?”, provò a chiedere.
“Siamo nel gioco.”
Fabio non vedeva nulla di diverso.
“Non capisco”, disse.
Osservò il volto disteso di Simona. Sembrava divertita.
“Che gioco sarebbe? Cosa dovremmo fare?”
Poi si rese conto. Stava parlando e ne era consapevole. Sentì una forma di magone provenire da dentro, poi non riuscì a fermare le lacrime.
#Labirinto
#Ep5

Photo by Unsplash
Text by Daniele Mosca

Le tempeste sanno aspettare

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri, Poesie

Lontano dal freddo,
dal glaciale incedere
di note stonate.
Fuochi incrociati,
a lambire ogni luogo
appeso a un soffitto leggero.
Il tocco soffice,
della parola sbagliata.
La lama,
a sorseggiare veleno.
Il brivido,
portato via dal vento.
Faceva freddo quel mattino.
Ero solo davanti a un mare in tempesta.
Ma dentro di me era anche peggio.
Un libro nello zaino,
a cui mancavano poche pagine.
Avrebbe atteso ancora.
Tutto il peso in un pensiero,
sfuggente.
Tutto il sole a riscaldare,
lentamente.
Il vento si è placato.
Non piove più.
Ma le tempeste sanno aspettare.

Photo by Unsplash
Text by Daniele Mosca

Due mesi

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri

Oggi Beatrice compie due mesi, un frammento di vita che ha spazzato via tutto. Anni e ancora anni di dubbi e incertezze che si infrangono improvvisamente di fronte a quei due occhi che cercano riparo e consolazione. Occhi che ridanno fiato, anche quando sei stanco e pensi di non avere più energie. Come se, a un tratto, ci si rendesse conto di quanto poco sappiamo di noi stessi. Ma stringere le sue manine, così piccole, e dirle che ce la possiamo fare è forse la lezione più importante. Che posso dare a me stesso.Photo by UnsplashText by Daniele Mosca

A volte mi sembra di non conoscerlo per niente, Daniele Mosca.

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri

A volte mi sembra di non conoscerlo per niente, Daniele Mosca. Di non comprendere le sue parole, le sue idee. Le provocazioni. Mi somiglia, tante volte si veste come me, ma allo stesso tempo mi spaventa per quello che scrive. La ferocia e l’amore. La rabbia e la passione. Quell’incrocio pericoloso di pensieri e ricordi che spingono me a scappare, lui, a scrivere. Quanto siamo diversi. Quanto uguali. Ho sempre sognato di saper scrivere come lui, io che ho sempre avuto paura di farmi notare. Vittima della timidezza, delle insicurezze che la vita ti getta addosso. Mi sembra di non conoscere la sua storia, perché lui se ne fotte. Lui scrive, millanta, deride, spara, si difende, inconsapevole di quello che penseranno dall’altra parte della penna. Io ci penso e resto prigioniero di me stesso, della paura che un giorno possa incautamente specchiarmi nello specchio e scoprire di avere la sua stessa faccia, i suoi occhi, la sua ferocia, l’amore, la rabbia e la passione. Io, che ho passato la vita a guardarlo salire sul palco, nascosto, al fondo della sala.

Photo by Unsplash

Text by Daniele Mosca

Se vuoi la verità

Pubblicato il Pubblicato in Pensieri, Poesie

Io gioco con le parole,
con i silenzi.
Le note.
Ma quando resto solo,
sono una vittima,
come tutti.
Delle paure,
se non dei sogni.
Quando nella notte urlano.
Che li ho traditi.
Io gioco con le parole,
e troppe volte non basta.
Il mondo è ferocia,
sguardi che cambiano.
Se non sei in vetta.
Fermarsi è un reato,
per il quale si è considerati colpevoli.
Ai miei occhi di un tempo,
lo ricordo ogni giorno.
Mai dimenticato rabbia,
delusioni,
sogni che qualcuno ha infranto.
Mai perso la speranza,
per quanto possa averlo creduto.
Ma io gioco con le parole,
se vuoi la verità
guardami negli occhi.
Se quel coraggio non ce l’hai,
pensa a giocare.
Le parole sono una cosa seria.

Photo by Unsplash
Text by Daniele Mosca

#Labirinto #Ep4

Pubblicato il Pubblicato in #Labirinto, #LMDS, L'equazione - Il thriller, La Macchina del Silenzio, Pensieri, Racconti

C’erano monitor dappertutto. E Fabio sentiva il morso della fame. Fuori dal suo involucro, costruito a sua difesa, stava gridando. E non avrebbe voluto farlo, sapeva che quando succedeva sua madre aveva paura.

Paura che suo figlio non riuscisse a superare l’ennesima crisi. Fabio riusciva a sentire la presenza degli elettrodi posizionati in ogni punto del suo corpo. Sentiva flebile il suono della voce della dottoressa che sta mostrando a sua madre un piccolo oggetto. Alcuni flash che sua memoria gli consegnava gli raccontavano che era stato portato in quel luogo trascinato da cinque persone, che lo avevano legato alla barella. Sprazzi di vista mostravano il monitor sul quale si muoveva impazzito il grafico delle sue funzioni vitali. La dottoressa aveva definito quello che stava accadendo: “la soluzione”. Fabio iniziò a percepire dei rumori provenienti da fuori, aldilà della porta della sala operatoria. Anche se nella posizione in cui si trovava riusciva a vedere poco, notò il viso della dottoressa. Era teso. Contratto. Capì che la dottoressa era allarmata. Il monitor che fino a pochi istanti prima aveva mostrato i suoi parametri vitali era saltato ed emetteva fumo nero. Anche quello accanto era ormai fuori uso.

“Cosa sta accadendo?”, pensò.

Fuori dal suo involucro Fabio aveva smesso di gridare. Sentiva il cuore accelerare, mentre vedeva la dottoressa fissare mia madre, la quale rispose con un breve cenno del viso.

Vidi la dottoressa indossare una mascherina e avvicinarsi con il piccolo oggetto in mano.

Proprio quel momento anche il terzo monitor saltò per aria. Fabio perse i sensi nel momento stesso in cui sentí penetrare l’oggetto nella mia nuca. Non vide più niente, soltanto flash che lo abbagliavano. Ovunque lui fosse in quel momento. Non riusciva più a percepire il tempo. Né a muoversi.

Quando riaprí gli occhi era sdraiato su una barella, si guardò intorno e pensó di trovarsi all’interno di un furgone che correva a folle velocità. Il lenzuolo era sporco di sangue e sentiva delle forti fitte poco sopra la nuca.

Fabio cercò di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Doveva mantenere la calma. Evitare che tutte quelle sollecitazioni non si sovrapponessero e che tutte le informazioni fossero condotte nei giusti corridoi. In quelli che conosceva meglio, perché aveva imparato a capire che la sua mente era come un labirinto. Bastava che informazioni finissero nel corridoio sbagliato perché tutto si confondesse e la realtà prendesse forme diverse.

“Stai bene?” sentì pronunciare da un viso che vedeva appena.

Fabio rimase in silenzio, chiedendosi se fuori dal suo involucro stesse già gridando.

“Io so che ti chiami Fabio”, proseguì.

Fabio sentiva il frastuono provenire dall’esterno del furgone. Gli penumatici stridevano, rumori metallici, colpi che spingevano il furgone da dietro, come se qualcuno o qualcosa lo stesse spingendo in avanti. I dati che vedeva sul piccolo monitor a lato indicavano che i suoi parametri vitali stavano tornando alla normalità.

“Come ti chiami?” pensò di chiederle. Chissà se la voce sarebbe uscita questa volta, pensò.

Fabio non seppe mai se la sua voce fosse davvero uscita, ma la ragazza che aveva di fronte rispose.

“Simona. Io mi chiamo Simona. E un po’ ci somigliamo”.

“E chi sei?”, immaginó di chiederle.

“Sono una ricercatrice.”

Fabio iniziava a unire le immagini che la memoria gli inviava. Quella ragazza era piombata nel laboratorio e aveva addormentato la dottoressa e sua mamma, lo aveva slegato e portato via, poco prima che degli uomini armati sfondassero la porta. Lo aveva accompagnato attraverso un’uscita secondaria e poi fatti salire sul furgone sul quale ora si trovava.

“Torneremo a prendere la mamma, sta tranquillo”, aveva detto. Mentre gli uomini armati salivano su un altro furgone e si lanciavano all’inseguimento.
#Labirinto
#Ep4

Photo by Unsplash

Text by Daniele Mosca