E se non ho tatuaggi

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Si diventa grandi,gli occhi stanchi.
Ci siamo fatti male,

creduto alle favole.

Ma eravamo soli,

quando iniziava a piovere.

Quando l’ultima stella, cadeva.

E se non ho tatuaggi,

è perché voglio ancora cambiare.

Fuggivo dagli sguardi,

perché nessuno potesse vedermi.

Il silenzio mi capiva,

l’emozione, non tradiva.

Ma resta ferma,

provaci, a cambiarmi.

A rendere viva, la pelle.

Le stelle, sono ancora lì.

Appese a una favola.

E io, ci credo.

Si diventa grandi,

mai abbastanza. 

Per imparare

A guardare, oltre le lacrime,

tatuate dentro di noi.
Photo by Aliyah Jamous on Unsplash

Text by Daniele Mosca 

 

Vicino

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Lontano dagli occhi,
lontano da cuore.
É un colore inatteso,
tra le mani, abbandonate.
Le note donate,
a un mare in tempesta.
Il tempo e il risveglio.
Ciò che si perde. E che resta.
Vibrano gli occhi,
un pensiero che passa.
Silenzioso,
come una stella che cade.
In quel mare, nel buio.
Una luce si nasconde.
Siamo così, lontani.
E diversi, persi.
Immersi nel domani.
Che è qui. Troppo vicino.

Photo by Unsplash
Text by Daniele Mosca

É la musica che apre quelle porte

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É la musica che apre quelle porte.
Dei pensieri incauti,
sporcati di storie.
Rubate, nascoste,
svendute al miglior offerente.
Buttai giù l’ultimo sorso di birra.
Non avevo più voglia di scrivere.
Salendo in auto,
Potevo rivedermi nello specchietto.
Ero invecchiato.
Forse qualcosa, però, l’avevo imparata.
Accesi l’autoradio.
Quella pessima stazione radio
a quell’ora passava sempre la solita canzone.
Ed era ciò di cui avevo bisogno.
Rimaneva sempre una lacrima,
in bilico,
come se non avesse il coraggio di buttarsi.
Ed era vero, in fondo.
Non ce l’aveva.
La vita corre in fretta,
come un treno che taglia in due la notte.
E attorno a noi, cambia tutto.
Un paesaggio che sfugge,
mentre cerchi il tuo riflesso nel finestrino.
La radio stava trasmettendo della pubblicità,
in quel momento.
Accesi l’auto e accelerai.
É sempre la musica che apre quelle porte,
e finché sarò ancora in grado di aprirle,
vorrà dire che sarò ancora vivo.
E che la radio trasmetterà una nuova canzone.

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Text by Daniele Mosca

Io non sono perfetto

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Io non sono perfetto.
Ho sbagliato, sognato.
Infranto.
Cuori, vetri e desideri.
Ho dato calci ai muri,
perché quei muri erano una gabbia.
Ho parlato con rabbia,
cantato con il nodo in gola.
Spingendo l’auto più forte,
su una strada deserta.
Incrociando fari accesi nella notte.
Ed era come respirare.
La vita è anche questo.
Ritrovarsi soli a camminare per strada,
cercando un motivo,
uno soltanto per ritentare.
Per ritrovare la voglia di risalire su un palco.
Per ingannarsi, una volta ancora.
Perché è il pubblico quello che conta.
E vuole sapere chi sei davvero.
Anche quando stai male.
E quando fai male.
Un veleno che scorre sottopelle.
Vittima del tempo,
anima delle stelle.
Mentre attendo la luna piena.
Io non sono perfetto.
E nel chiarore dell’alba,
finalmente,
lo ammetto.

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Text by Daniele Mosca

Ci penserai alla paura

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Ci sono partite e partite.
Tutte sono importanti.
Alcune ti cambiano la vita.
E sei a bordocampo,
i tifosi avversari urlano.
Cerchi di ingoiare la paura.
Sai che darai l’anima.
Chissà se basterà.
Ti sei guardato allo specchio.
Non sarà la stanchezza a fermarti.
Le curve stanno esplodendo.
Pochi minuti all’entrata in campo.
Concentrati.
Hai atteso questo momento da tanto.
Ora è il momento di giocare.
Ci penserai alla paura,
ma domani.

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Text by Daniele Mosca

Chi saresti

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Chi sarei,

se la pioggia non mi avesse bagnato.

Se le onde non mi avessero portato a largo.

Se non avessi provato paura.

Se non avessi imparato a nuotare.

Chi saresti,

se porgendomi la mano,

non ci avessi creduto.

Un gioco di sguardi,

di sogni e traguardi.

Di onde infrante sugli scogli.

Consigli sussurrati,

mentre il sole corre a nascondersi.

Chi saremmo,

se ora non fossimo qui,

a osservare due occhi,

grandi e curiosi,

che fino a poco fa non esistevano.

Photo by Unsplash

Text by Daniele Mosca

#Labirinto #Ep5

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La sala era piena di monitor, ma Simona lo condusse davanti a un oggetto che sembrava una scatolina nera.
“Qui c’è qualcosa che vorrei farti vedere”
“Cos’è?”, pensò di chiederle.
“Un vecchio gioco, che tu conosci. Ma dentro questo gioco c’è nascosto qualcosa.
Qualcosa che noi dobbiamo trovare”.
“Perché?”
“Perché smettano di cercarci. E perché tutto possa tornare come prima”
“Dove sono loro?”
“Li abbiamo seminati, per ora. Proprio come nei giochi. Ma torneranno. Presto ci troveranno, per questo non abbiamo molto tempo.
“Cos’è?”, disse, indicando la scatolina.
“Un vecchio disco esterno. È lì dentro che si trova il gioco”.
“Lo accendiamo?”, chiese. Ma in quel momento la sentì arrivare. Una di quelle informazioni aveva preso il corridoio sbagliato. Capì dall’espressione di Simona che fuori dell’involucro aveva iniziato a gridare e che aveva preso in mano la scatola per lanciarla contro il muro. Simona si sarebbe arrabbiata. E non sarebbe più riuscito a giocare al nuovo gioco.
Sentiva di volerle chiedere scusa, ma non riusciva a fermare il suo corpo che si muoveva, impazzito. L’aria iniziava a mandargli, non era mai andato al mare, ma immaginava proprio così la sensazione di affogare. Questa crisi era una delle peggiori, lo capiva. I diversi dottori che avevano provato a curarlo avevano sempre detto di restare tranquillo, ma non ci era mai riuscito. E ora tutto stava divendo oscuro. Scatenando il lui la paura più ancestrale. Quella del buio.
Guardo Simona, con gli ultimi scampoli di lucidità. Gli sembro di vederla correre verso il muro e tornare con qualcosa in mano, per inserirla in uno dei computer.
Qualche istante più tardi tutto tornò normale. Improvvisamente.
Si guardò intorno, stupito.
“Cosa è successo?”, provò a chiedere.
“Siamo nel gioco.”
Fabio non vedeva nulla di diverso.
“Non capisco”, disse.
Osservò il volto disteso di Simona. Sembrava divertita.
“Che gioco sarebbe? Cosa dovremmo fare?”
Poi si rese conto. Stava parlando e ne era consapevole. Sentì una forma di magone provenire da dentro, poi non riuscì a fermare le lacrime.
#Labirinto
#Ep5

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Text by Daniele Mosca

Le tempeste sanno aspettare

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Lontano dal freddo,
dal glaciale incedere
di note stonate.
Fuochi incrociati,
a lambire ogni luogo
appeso a un soffitto leggero.
Il tocco soffice,
della parola sbagliata.
La lama,
a sorseggiare veleno.
Il brivido,
portato via dal vento.
Faceva freddo quel mattino.
Ero solo davanti a un mare in tempesta.
Ma dentro di me era anche peggio.
Un libro nello zaino,
a cui mancavano poche pagine.
Avrebbe atteso ancora.
Tutto il peso in un pensiero,
sfuggente.
Tutto il sole a riscaldare,
lentamente.
Il vento si è placato.
Non piove più.
Ma le tempeste sanno aspettare.

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Text by Daniele Mosca

Due mesi

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Oggi Beatrice compie due mesi, un frammento di vita che ha spazzato via tutto. Anni e ancora anni di dubbi e incertezze che si infrangono improvvisamente di fronte a quei due occhi che cercano riparo e consolazione. Occhi che ridanno fiato, anche quando sei stanco e pensi di non avere più energie. Come se, a un tratto, ci si rendesse conto di quanto poco sappiamo di noi stessi. Ma stringere le sue manine, così piccole, e dirle che ce la possiamo fare è forse la lezione più importante. Che posso dare a me stesso.Photo by UnsplashText by Daniele Mosca

A volte mi sembra di non conoscerlo per niente, Daniele Mosca.

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A volte mi sembra di non conoscerlo per niente, Daniele Mosca. Di non comprendere le sue parole, le sue idee. Le provocazioni. Mi somiglia, tante volte si veste come me, ma allo stesso tempo mi spaventa per quello che scrive. La ferocia e l’amore. La rabbia e la passione. Quell’incrocio pericoloso di pensieri e ricordi che spingono me a scappare, lui, a scrivere. Quanto siamo diversi. Quanto uguali. Ho sempre sognato di saper scrivere come lui, io che ho sempre avuto paura di farmi notare. Vittima della timidezza, delle insicurezze che la vita ti getta addosso. Mi sembra di non conoscere la sua storia, perché lui se ne fotte. Lui scrive, millanta, deride, spara, si difende, inconsapevole di quello che penseranno dall’altra parte della penna. Io ci penso e resto prigioniero di me stesso, della paura che un giorno possa incautamente specchiarmi nello specchio e scoprire di avere la sua stessa faccia, i suoi occhi, la sua ferocia, l’amore, la rabbia e la passione. Io, che ho passato la vita a guardarlo salire sul palco, nascosto, al fondo della sala.

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Text by Daniele Mosca