Fotografie

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Fotografie,
pigiate contro il vetro.
Come pendolari in un treno.
Che raccontano,
mondi sconosciuti.
Emozioni.
Che contano per noi.
Che non esistono per gli altri.
Colori sfumati,
primi piani di sconosciuti.
Perché gli occhi parlano.
Fotografie ingiallite,
con odore di un passato.
Che non vuole passare.
Il suono di uno scatto,
nel silenzio di una stanza oscura.
Il negativo delle cose,
l’immagine allo specchio.
Fotografie come parole,
sanno mentire e sorridere.
Così come essere felici,
senza avere il coraggio di dirlo.

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by Daniele Mosca

Quando

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Quando straparlo,per stanchezza,sogni infranti.Rabbia.Quando cerco dentro,il motivo,lo spirito di un tempo.Il senso.Quando sto perdendo la partita,e non ho la forza di giocare.Quando penso ai miei errori,e potrei ancora ripartire.Quando cambia il vento.E inizia a far freddo.Quando vorresti urlare,ma sai che non lo farai.Perché nessuno ti saprebbe ascoltare.Cerco me stesso, dove sono partito.Perché quando si perde la trama,bisogna tornare al primo capitolo.Photo by UnsplashText by Daniele Mosca

Sfidare le leggi?

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Se credessi davvero in qualcosa sfiderei delle leggi? Io credo di sì. Gli attivisti, li capisco. Ma fino a un certo punto. Non li capisco quando iniziano a giocare con le provocazioni, le strumentalizzazioni. Le regole vanno rispettate. Così come le forze dell’ordine che le rappresentano. Il tema immigrazione è serio, non può essere gestito né con la modalità Salvini, ma nemmeno con quella delle Ong. Serve un modo serio di affrontarlo. Il circo mediatico che ho visto passare sui social mi ha disgustato, così come gli insulti al capitano della SeaWatch3. Siamo un paese civile. Ricordiamolo ogni tanto. Detto questo, per la Rackete non è stato convalidato l’arresto, quindi è libera. Io ci credo che lei voglia salvare vite, ma quello che ha fatto, parlo dello speronamento e della forzatura del blocco imposto dalle forze dell’ordine, resta comunque una brutta azione. Spero lo capisca, ma gli attivisti tendono ad esasperare la loro posizione, quindi presumo tornerà a farlo. Ma mi chiedo, se la Libia non è un porto sicuro, e non credo lo sia, di chi è la competenza di risolvere il problema? Io credo dei paesi occidentali, dell’Onu. Non è tollerabile sapere che esistono campi di tortura e non fare nulla. In questo disinteresse generale, gli attivisti perlomeno provano a fare qualcosa. Discutibile il risultato? Certamente. Ma ora tocca alla politica fare qualcosa di serio. Non solo tweet, dirette sui social e comparsate nei talk. La politica è una seria, così come le leggi. Ma se ritenessi queste ultime sbagliate, ingiuste, discriminatorie, io le sfiderei. Alla politica tocca il compito di ascoltare, non di insultare.

#Labirinto #Ep9

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Nelle puntate precedenti

Fabio è fuggito nel bosco, inseguito dalle guardie che avevano rapito anche Simona. Lo avevano sottovalutato perché soffriva di una patologia dello spettro autistico, ma lui ricordava perfettamente la mappa di quel bosco. Gli inseguitori non hanno tempo e decidono si dare fuoco al bosco.
Il nuovo capo del regime è pronto a decretare concluso il progetto di controllo totale.
In una clinica, il primario sta per dare il via allo spegnimento dei macchinari che tengono in vita un paziente. Quel paziente è Davide Porta. Un uomo che possiede l’unica soluzione per fermare il virus.

#Ep9

“Nel mezzo del cammino, mi ritrovai per una selva oscura. Che la diritta via, era smarrita”.

Ed era proprio quello il concetto che affioró nella mente di Fabio. L’inferno, così veniva chiamato dai ragazzini quel bosco, così fitto e inquietante.

Ma Fabio non aveva tempo per aver paura. Continuava a rimandare indietro il preludio di una crisi. La sua mente era sollecitata da troppo tempo. Il dottore lo aveva ripetuto più volte che nella sua condizione non si sarebbe dovuto esporre a situazioni simili. Ma quel bosco rappresentava il posto più sicuro in cui fermarsi per riposarsi e capire cosa fare. Ricordava bene la mappa di quel bosco, l’aveva vista su un libro.
Ci volle poco tempo per raggiungere il corso d’acqua che lo attraversava. Aveva sete. Si sentiva stranamente lucido. Si chiedeva fin dove si sarebbero spinti per stanarlo. Ma perché cercavano proprio lui? Un ragazzino autistico, insicuro e silenzioso. Non lo sapeva.
Iniziò a piovere e a tirare vento. Per lo meno in quella situazione non avrebbero mandato in giro droni per la ricerca termica. Questo gli concedeva un po’ di tempo.
Cercò di riprendere il controllo della sua mente, ma non era semplice. Sentiva che stava per perdere il controllo. La sua mente era un sistema delicato e in precario equilibrio. Sapeva che avrebbe iniziato a gridare a colpire oggetti con violenza e non ci sarebbe stato nessuno a placarne gli effetti. E in più avrebbe sicuramente attirato l’attenzione. Si fermò accanto al corso d’acqua che si stava man mano riempiendo grazie alla pioggia che continuava a scendere copiosa. Gli tornò in mente la mappa del bosco. Una leggenda raccontava che quel bosco era stato il rifugio segreto di una nobildonna del medioevo. Sentiva la crisi arrivare. E c’era qualcosa che la sua mente stava captando. Odore di Cherosene. Un liquido infiammabile. Non sapeva che la sua fosse solo una fantasia deviata, ma iniziò a credere che fossero pronti a dare fuoco al bosco. A dargli la certezza furono gli animali correre impazziti. Doveva ricordare in fretta alla mappe e a un luogo sicuro in cui nascondersi.

Sala operativa Lmds

A che punto siamo con la rimozione dei soggetti che non rispondono alla cura?
A buon punto. Mancano soltanto pochi elementi.
Benissimo, come procedere il monitoraggio dello sviluppo del virus?
Siamo al 90%. Superata la soglia del 95% il processo potrà considerarsi irreversibile.

L’imperatore sorrise. Nessun ostacolo lo avrebbe fermato nella corsa del primo Impero della nuova era. Quella tecnologica. Era in cui il cervello può essere riconfigurato come una qualsiasi periferica. A lui era bastato il segnale della Macchina del Silenzio. Un segnale in grado di modificare il funzionamento dell’amigdala. La parte del cervello che processa le informazioni in ingresso al cervello. E il tutto grazie a un modello numerico che gestiva il flusso di frequenze da diffondere. Idro3. La sua era una macchina perfetta.

Clinica 02.
“Preparate il protocollo di sedazione del soggetto della stanza 13”, ordinò il primario.
“Come vuole”, rispose il medico.

Nella stanza 13 c’era il corpo di un uomo di cui non si conosceva l’identità. Nessun parente aveva denunciato la scomparsa. L’unica particolarità rilevata dallo scanner celebrale era una leggera anomalia.

Intanto, nel bosco, le fiamme si erano alzate in cielo nonostante la pioggia. Il bosco sembrava un’immensa cattedrale di fuoco. Dall’unico lato non attaccato dalle fiamme uscivano animali spaventati. I soldati aspettavo con pazienza che sbucasse il ragazzino.

Ma Fabio stava per morire soffocato e le ferite che si era procurato con l’ultima crisi gli rendevano difficile ritrovare la lucidità. Vide un masso e in quell’istante immaginó la nobildonna che per raggiungere in sicurezza quel luogo utilizzava un antico tunnel. Si mosse a tentoni verso il lato nascosto del masso e intravede un varco. Forse quella leggenda non era solo frutto di fantasia. Così Fabio si immerse nel buio.

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Text by Daniele Mosca

#Labirinto #Ep9

La ragazza dei ricordi – #Luna #Ep4

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Alberto era immerso nei suoi pensieri, trascinato lungo la battigia dal suo cane, un pastore tedesco, Tobi, a cui era molto affezionato. Tra pochi giorni avrebbe sostenuto un importante colloquio per una società di import export. Sentì all’improvviso un suono, a intervalli coperto dal rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia. Riuscì a malapena a sostenere la spinta del guinzaglio, portato da Tobi verso la barca arenata sulla sabbia. Man mano il suono aumentava sempre di più. Sembrava il suono di un pianto. Una volta sbucato dall’altro lato della barca vide una donna in lacrime, con soltanto pochi brandelli di vestito addosso. Sul corpo aveva delle macchie di sangue. Dopo qualche attimo di sbigottimento aveva chiamato i soccorsi, nel frattempo aveva cercato di chiedere alla ragazza cosa fosse successo. Lei però continuava a piangere e a ripetere ossessivamente è “colpa mia”.
Luna ricordava poco di quei momenti e quel poco non riusciva a raccontarlo alle dottoresse che si alternavano a visitarla nella stanza dell’ospedale. Dentro di lei sentiva di essere stata la causa. Nonostante le ripetessero che non fosse stata colpa sua, sapeva di essere stata ingenua nel seguire quell’uomo che all’apparenza sembrava tranquillo. Qualcosa in lei non aveva funzionato, aveva percepito da subito il suo piglio di prepotenza, ma non ci aveva dato troppo peso. Aveva pensato a un gioco erotico, anzi l’idea l’aveva stuzzicata. Pensava all’alcool, che potesse averle fatto male. Eppure non le era mai successo che un bicchiere le facesse perdere il controllo. Prese il cellulare che qualcuno aveva recuperato dalla spiaggia. L’ultima chiamata era avvenuta la sera prima, proprio nel momento in cui la violenza stava avvenendo. Era il suo ex ragazzo. Trattenne l’impeto di gettare il telefono contro il muro. In quel momento la porta della stanza si aprì. Era una ragazza che non riconobbe immediatamente. Era la barista che le aveva servito il drink. Notò subito una strana espressione sul viso, ma non riusciva a interpretarla. La vide avvicinarsi senza dire una parola. Una parte di lei avrebbe voluto urlare, l’altra rimaneva bloccata. Non era in grado nemmeno di spostare la mano per suonare il campanello di richiamo per il personale dell’ospedale.
Ma la porta si aprì improvvisamente.
“Scusate” pronunciò sommessamente Alberto.
Luna vide la ragazza svanire in pochi secondi, senza proferire alcuna parola. Ma il ricordo che tornò alla mente fu lo sguardo di quella ragazza quando al bar aveva notato l’uomo che l’aveva stuprata. In quel momento iniziò ad avere davvero paura.

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Text by Daniele Mosca
#Luna #Ep4

Luna si è persa – #Luna #Ep3

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Il cellulare continuava a vibrare sulla sabbia. Un suono leggero che si perdeva con il suono delle onde che si infrangono sul bagna asciuga. Poco più lontano dei vestiti gettati in terra. Il riflesso della luna rendeva irreale la superficie della spiaggia. In lontananza, una sagoma di un uomo si allontanava verso la strada principale. Qualche suono proveniva dal locale che si affacciava sulla spiaggia, pochi addetti si preparavano alla chiusa. Poche ore di sonno prima di riprendere per l’alba, ormai imminente. Luna cercava di respirare, di emettere un qualsiasi suono per chiedere aiuto. Ammesso che qualcuno potesse davvero sentirla. Non riusciva a muoversi. Tutto era accaduto troppo in fretta. Un drink nel locale, una passeggiata sulla spiaggia e poi quell’uomo era diventato un diavolo. L’uomo l’aveva trascinata dietro a una barca da pesca adagiata sulla sabbia e le aveva strappato i vestiti di dosso. Aveva soffocato le sue urla. Nel più assurdo dei cliché si era consumata una violenza inaspettata, non per quella donna che aveva capito tutto e non aveva mosso un dito. Non per quella barista che conosceva benissimo quell’uomo e che poche ore prime aveva servito il drink a Luna. E che ora rispondeva a una chiamata che proveniva dallo stesso numero che pochi istanti prima era comparso sul cellulare di Luna e al quale lei non era riuscita a rispondere.
“Come è andata?” aveva risposto la voce dell’altro capo del telefono.
“Non poteva andare meglio.”
“Perfetto. Lui parlerà?”
“Non parlerà, ma lo farà ancora.”

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Text by Daniele Mosca #3 #Luna

La brezza della sera è traditrice – #Luna #Ep2

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Luna muoveva i passi sulla sabbia fresca della sera. Le luci di un’estate imminente la facevano stare meglio. La brezza della sera, però, è traditrice. Fa ripensare, riflettere. Pentirsi. L’immagine nella sua mente era ancora nitidia. Non riusciva a lasciarla svanire. Il suo ex ragazzo, l’amore di una vita, il sogno di un futuro imminente, e lei, la sua migliore amica, uniti in un bacio che le era comparso all’improvviso in una via dimenticata della sua città. Le scuse di lui. Le scuse di lei. La vergogna. Entrò in un locale, aveva bisogno di bere qualcosa. Qualsiasi cosa. Si avvicinò al bancone e ordinò una birra fresca.
Si sentì attratta da un richiamo silenzioso. Si voltò e incrociò gli occhi scuri di un uomo. Non riusciva a identificarne l’età. Cliché, pensò. Anche questo. Ultimamente la sua vita ne sembrava immersa. Nei cliché, appunto. “Come ti chiami” disse lui. Non era una vera e propria domanda. Sembrava più un ordine. “Luna”, rispose di getto. Inconsapevole, forse, di aver prontamente risposto a quel velato ordine. Dentro di lei sentì salire una forma di calore mista a imbarazzo. In quel momento senti vibrare il cellulare. Pensò che si trattasse per l’ennesima volta del suo ex che provava a costruire un altro castello di carte false.
“Ti va di fare due passi?” chiese lui. Lei non lo vide. Forse il lettore ci avrà fatto caso, lei no. Lo sguardo inquieto e allarmato della barista.

#Luna #Ep2

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Text by Daniele Mosca

Un cliché – #Luna #Ep1

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L’amarezza, talvolta, fa vedere le cose con più chiarezza. Luna se lo ripeteva tra sé e sé, distratta dalla vibrazione del telefono che teneva nella borsa. Lo aveva pensato la prima volta quando il suo ormai ex ragazzo l’aveva tradita con la sua migliore amica. Un cliché. Ma da quel momento in poi si era sentita lei stessa un cliché. Una figura ordinaria che in qualsiasi spettacolo avrebbe ricoperto solo il ruolo della comparsa. Prima o poi avrebbe prenotato una visita da un terapeuta che le svelasse ciò che lei sapeva benissimo. Che era frustrata, nervosa, vittima delle angherie dei suoi genitori che avevano riposto in lei tonnellate di speranze. Ma lei non era diventata un famoso medico come suo padre, nemmeno una grande attrice come sua madre. Era rimasta lì in mezzo, con un lavoro ordinario, una pettinatura ordinaria, un modo di pensare ordinario. Luna, però, aveva imparato a vivere. A lasciarsi alle spalle quei dispiaceri pur senza volerli davvero rimuovere, analizzare, comprendere, superare. E questo semplicemente perché i nostri errori, le nostre paure, le nostre frustrazioni, in fondo fanno parte di noi. Ci siamo abituati che tutto può essere corretto. Uno zigomo, una voce, una pancia troppo gonfia, persino un carattere. Ma lei si sentiva comunque completa, nonostante gli sguardi di commiserazione di chi non la reputava all’altezza degli standard. E poi l’amarezza è un concetto astratto, che sí, a volte fa male, ma permette di maturare, di guardare le cose con una diversa prospettiva. Se lei non avesse sbagliato e quindi imparato, non l’avrebbe mai provata sulla sua pelle. E non avrebbe avuto il coraggio di vedere le cose con la chiarezza necessaria. Proprio ora che sul cellulare lampeggiava il nome del suo ex. Proprio ora che stava decidendo di interrompere la chiamata, bloccare il numero e di trascorrere un bel weekend al mare. Da sola. Un cliché.

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Text by Daniele

Nutrimento

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Avevo chiuso la porta alle mie spalle, non sarei mai più tornato a farmi trattare in quel modo. Sentivo ancora addosso i graffi delle sue parole, degli sguardi che tradivano quel sentimento che non c’era più. Tradivano la mia fiducia in un mondo che pensavo di conoscere. Può una porta difenderci davvero da noi stessi? Ci illudiamo sia possibile, quando sappiamo che non è così. C’è ancora della lasagna congelata in frigo, stasera mi nutrirò di quella, il mio contorno sarà quel sapore di amaro. Quello che resta quando una storia finisce, quanto il ticchettio dell’orologio fa così rumore da assorbire il suono del silenzio.

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Text by Daniele Mosca

Oltre ogni modo

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Colpevole oltre ogni modo, le mani insanguinate. Le sirene suonano in lontananza, ma sono sempre più vicine. Il suo corpo giace in terra. È successo tutto troppo in fretta. E io non volevo ucciderlo. La mia vita sta per spezzarsi, distrutta dall’alcool che inghiottiva ogni notte. Mi gira tutto intorno, ho voglia di piangere, ma nessuna lacrima potrà mai scendere per quello che doveva essere mio padre. Vorrei poter scappare, ma nessuno può mai farlo davvero. A condannarmi, sono stata io stessa. Quando ho deciso di difendermi.

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Text by Daniele Mosca