Categoria: Pensieri
Il gioco al massacro
Con la freddezza del metronomo
É vero che mi bruciano gli occhi.
Saranno i primi freddi.
Ma forse c’è altro.
Anche se non so trovare le parole.
La lente di ingrandimento,
disegna rughe di espressione.
Quei segni che ti contraddistinguono.
Ti danno un volto.
Ma che, allo stesso tempo,
svelano le tue sofferenze.
Battono il tempo,
con la freddezza del metronomo.
Eppure sei lì,
a giocare ancora.
A guardare la pioggia cadere,
attraverso un vetro appannato.
A seguire il filo di un aquilone.
Fino ad arrivare alle nuvole.
Non rimpiango niente.
Nemmeno i miei errori.
In fondo, non riesco a odiare nessuno.
Anche quando mi ha fatto male.
Le lacrime renderebbero la vita più semplice,
Agli occhi, almeno.
Che ora bruciano.
Ma non è niente.
Saranno i primi freddi.
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Text by Daniele Mosca
C’è una cosa che non insegneró mai a mia figlia.
C’è una cosa che non insegneró mai a mia figlia. Ad arrendersi.
Ad accettare che qualcuno abusi della sua fiducia.
A metterla in un angolo con una velata minaccia.
A ridicolizzare le sue idee.
Ad accettare che un bullo possa vincere la sua partita.
Mai.
Finché avrò respiro le insegneró a combattere per quello in cui crede.
E che se anche perderà qualche partita, potrà sempre tornare a giocarne altre.
E che, in quel caso, lo potrà fare a testa alta.
Che una lacrima che vuole cadere, non è poi un gran problema, finché ci si può guardare allo specchio.
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Text by Daniele Mosca
Dieci anni più tardi
Sono trascorsi dieci anni. Era una sera calda di settembre. Ero al mare. Quella sera c’era una luna piena enorme, una di quelle che mi hanno sempre provocato reazioni forti, tali da spingermi a guardarmi dentro. Era un periodo strano. Andai verso la spiaggia, da solo, rimasi a guardare i riflessi della luna sul mare. Nacque in quel momento il progetto di pubblicare il romanzo che avevo tenuto nel cassetto, di aprire un portale che parlasse di attualità e musica, di andare sul palco a cantare le mie canzoni. In questi dieci anni queste cose le ho fatte, con gli alti e bassi del caso. Dopo tutto questo tempo è arrivato il momento di rifare dei progetti e accantonarne qualcuno ideato allora. Si cambia. È un processo inevitabile. Violento, a volte. Ed è surreale anche anche questa volta la decisione avvenga durante una notte di luna piena di metà settembre.
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Text by Daniele Mosca
Va bene lo stesso
Restare svegli di notte. Osservare per ore uno schermo spento, che riflette il mio volto invecchiato. E non sono le rughe a spaventarmi. Nemmeno i capelli bianchi. Sono i miei occhi. Quello sguardo che rivedo quando devo costringermi a uccidere un altro sogno. Quella rabbia che proviene da un luogo oscuro, teatro di una vita a cui ho già lasciato una parte di me. Quella rabbia che mi urla in faccia che è non é giusto. Ed è una sensazione che matura lentamente, ricamata in uno scritto, rievocata da una canzone, da un film, da una serie tv, o da una cazzo di luna piena. Esiste un punto di rottura, un limite invalicabile, uno specchio che deve essere frantumato. Riaprire gli occhi, scoprire che non sai quale sia la strada giusta, ammesso che esista, voltarsi e scoprire la tua famiglia che crede in te, nonostante tu riesca a sentirti così coglioni di fronte a te stesso. Perché siamo esseri umani, presi dalle nostre angosce, dai timori non piacere abbastanza agli altri o, peggio, a se stessi. E non può succedere. Non deve. Per cui, se restare svegli tutta la notte può servire a ritrovarsi, allora va bene lo stesso.
Il concetto di paura
Stamattina era l’alba. Sorseggiavo il primo caffè della giornata. Riflettevo sul momento della vita che sto vivendo. Su come cambi la percezione del concetto di paura. Quando si è soli è diverso, la si sente, ma ci si fa coraggio e in ogni caso si è consapevoli che tutto ricadrà inevitabilmente su di noi. Siamo più in grado di accettarlo. Ma quando si costruisce una famiglia, dopo che quasi avevi smesso di crederci, ti accorgi che non sai bene come difenderla, spesso da pericoli che sono insiti nella vita stessa, da quelli che inevitabilmente rappresentano degli ostacoli da superare. Viviamo in un’epoca in cui si cerca di delegittimare il concetto di stabilità, in tutte le sue sfumature. Così ci ritroviamo a sentirci persi, inconsapevoli di quanto sia importante sentirsi orgogliosi di se stessi, di aver realizzato dei sogni, costruito delle cose tangibili. Il mondo in cui viviamo ti spinge ogni giorno a combattere, fino a farti dimenticare completamente il motivo. E invece sarebbe importantissimo tenerlo a mente, si combatte per se stessi, prima, per la propria famiglia quando non si è più soli. E io credo non ci si debba vergognare delle proprie paure, dei propri timori, proprio perché sono anche queste cose a distinguersi. A darti la forza, proprio quando sembra essere svanita.
Io credo che per costruire qualcosa sia necessario mettere mattone su mattone.
Credo che non serva a niente buttare giù le case degli altri per sentirsi più forti.
Credo che sia sul campo che un giocatore debba dimostrare di poter giocare una partita, provare a vincerla, fino all’ultimo minuto.
Credo che anche quando si perde si debba avere il coraggio di rialzarsi.
Credo che sia troppo comodo incolpare gli altri.
Credo che se anche avrò voglia di piangere, non lo farò. E non perché sia insensibile, stronzo. Cinico. Ma perché è più importante rialzarsi. Sempre.
Ed è a questo che pensavo, mentre il sole tornava a splendere. E la luna, timidamente, a nascondersi.
Crescere é un danno collaterale
Crescere é un danno collaterale.
È capire che nulla è semplice.
E che non lo è mai stato.
Non lo è convivere con se stessi.
Con l’immagine riflessa nello specchio.
Con tutto quello che volevi cambiare.
Costruire, disfare, cercarne la ragione.
Ho finito l’inchiostro.
Senza scavare dentro,
nessuna storia può aver vita.
Le nubi arrivano sempre,
ferite che proprio non riescono,
a smettere di sanguinare.
Crescere é un danno collaterale.
Perché sempre più spesso, te lo ricorderanno.
Perché ti diranno che star fermi è più semplice.
Che guardare oltre il muro è pericoloso.
Che se tieni ferme le mani, non ti bruci.
Non ti sporchi.
Crescere é un danno collaterale,
ma non farai nessun passo,
se non proverai a guardare, a studiare, a guardare oltre quel muro.
A sporcarti, degli stessi sogni,
di cui ti nutrirai.
L’immagine nello specchio, invecchierá.
La luce nei tuoi occhi, quella,
non deve farlo mai.
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Text by Daniele Mosca
L’amazzonia è in fiamme, ma il problema è un altro.
L’Amazzonia è in fiamme. Polmone verde del pianeta, in termini di equilibrio delle temperature e di gas serra. Un equilibrio precario, messo in discussione da molti anni per via del disboscamento a scopo produttivo e ora dagli incendi. Dietro questo problema esiste un, passatemi il termine, sottobosco politico. Parliamo di Bolzanaro che accusa le Ong di aver fatto azioni criminali per attirare l’attenzione sull’operato del nuovo presidente del Brasile e in particolar modo come ritorsione per aver tolto finanziamenti alle organizzazioni. La foresta amazzonica si estende per il 65% del territorio brasiliano, mentre per il resto in Colombia, Perù, Venezuela e altri paesi sudamericani. Il problema politico è comunque molto più ampio. Manca poco alla prossima conferenza sul clima che si terrà in Cile ed è stata annunciata la sospensione delle donazioni al fondo per l’Amazzonia da parte di Germania e Norvegia, proprio.come protesta alla politica ambientale del governo Bolsonaro. Altro fatto curioso è stato il licenziamento, proprio da parte di Bolsonaro, del presidente dell’agenzia spaziale brasiliana Inpe, a seguito della pubblicazione dei dati di rilevazione dall’alto proprio dei danni che la foresta ha subito. Insomma, il problema è serio. E, come già detto per il tema Groenlandia, riguarda un ambito molto più grande e un problema geopolitico importante. Le risorse più importanti del pianeta sono sempre più nel mirino dei nuovi governanti. In gioco, però, c’è il futuro dell’umanità.
Guardare più in alto
Guardare più in alto,
riscoprirsi silenziosi.
Impauriti, forse.
Con il coraggio di chi sogna.
Il tempo, corre.
E noi pensiamo troppo.
Ho visto una stella,
ma non voglio che cada.
Vorrei prenderla in tempo.
Darle un nome.
Guardare più in alto,
perché anche quando cadi,
devi rialzarti.
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Text by Daniele Mosca