#LMDS sbarca a #Incipit

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Dopo tanti anni di lavoro per creare il nuovo romanzo #LMDS finalmente posso iniziare a parlarne. Ne parlerò a “Incipit Offresi”, un gioco ideato dalla Biblioteca Archimede di Settimo e che consente ai giovani scrittori di proporre l’incipit del proprio romanzo inedito a una giuria composta da editori. Che dire, sono molto orgoglioso del romanzo che sta per nascere, frutto di tanto studio e lavoro e che pian piano sta crescendo. La creazione di un romanzo è composta da una serie di operazioni complesse da fare con cura e passione. Per ora presenterò un incipit, ma spero di potervene parlare meglio e in modo più approfondito al più presto. La mia attività legata alla narrativa ha subito un forte rallentamento per diversi motivi, ma stiamo lavorando ai nuovi e meno nuovi progetti e presto torneremo con una piacevole novità. Ricominciare da capo, dall’inizio. Dall’incipit, appunto.

Il viaggio

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Alle canzoni affidavo una parte di me. I miei sogni, le emozioni. Le speranze. Poi il tempo fece il suo corso e quel rapporto cambiò. La canzoni smisero di parlarmi. Non é come tutti pensano, come un flusso che va in un’unica direzione. Un fiume in piena. É più un mare, condizionato dalle correnti, dal vento. Dalla luna. Certo non da noi, che siamo barchette di carta. Scrivere é cercare di non affondare, cercare la corrente giusta. E, come spesso accade, si può sbarcare in un porto lontano, sconosciuto, talvolta ostile. O questo é almeno ciò che appare. Spesso sembra che quella parte di me, quei sogni e quelle speranze siano svanite, che si trovino altrove. Magari nella faccia oscura della luna piena. E spesso é proprio così. Si nascondono, si riposano, e chissà, magari cercano se stesse. Così un giorno, semplicemente, quelle canzoni si allontanarono. Restai ad attenderle, un’ora, un mese, un anno. Provai a cercarle nelle altre canzoni, senza trovarle. E mi resi conto che alcune emozioni sono fatte per andar via. E che aspettarle ancora sarebbe stato del tutto inutile. Restarono le ferite, i ricordi e qualche spicciolo di ingenuità. Spesi tutto in vino e caffè. E quando tutto sembrava finito sentii un suono, la cameriera del bar aveva inavvertitamente sbattuto contro un vecchio pianoforte impolverato. Un’unica nota così sola e scordata, ma capace di raccontare un mondo intero di sogni, emozioni e sí, anche quella parte di me, nascosta da qualche parte, riuscì a sentirla. Così uscii dal bar lasciandomi alle spalle il chiasso e tornai a cercarla.

Recensione romanzo “Waiting Room” di Bianca Cataldi

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Il romanzo “Waiting Room” ha il sapore della storia, quella di una terra e sin dalle sue radici e origini. La storia si svolge nella Puglia degli anni quaranta, in un periodo strano, in cui l’eco della guerra sembra lontano, ma è lì a un passo. Emergono le contraddizioni culturali della gente, i pregiudizi e i sogni a metà tra speranza e disillusione. Tra amarezza e odio. La protagonista è Emilia, una donna la cui storia si svolge su due tempi diversi. Lei, la giovane ragazza che deve rinunciare al suo amore. Lei, la donna ormai anziana nella sala d’attesa del dentista. E’ la storia del suo amore per Angelo. Un ragazzo che le ha in qualche modo cambiato la vita e allo stesso tempo un uomo travolto dalla passione per musica e dalla voglia di vivere. La narrazione è scorrevole e coinvolgente. Appassionata. La storia ricca di punti emozionanti e intriganti. L’amarezza per un amore che sfugge nella notte. Che torna, ma che è sempre diverso. Tra le righe si sente il tempo che trascorre, i sogni che si trasformano. C’è quel rancore represso, una forma strana di invidia, per un futuro che ha lasciato spazio ai ricordi. C’è però anche la speranza che rinasce in occhi diversi, quelli di una ragazza che scrive qualcosa su un foglio e in quelli delle sue giovani vicine di casa, che man mano che crescono e che si allontanano, lasciandola ancora una volta sola con i suoi ricordi e la sua amarezza. Leggendo questo romanzo, sembra di restare in quella sala d’attesa, quasi come una metafora perfetta della vita stessa. Aspettiamo qualcosa, mentre parliamo con i nostri rimorsi.

L’autrice è Bianca Cataldi, una giovane scrittrice, editor e brillante blogger, che dimostra una maturità narrativa importante, che riesce a passare e oltrepassare l’anima di due personaggi, uniti da un filo fragile. Riesce a far viaggiare il lettore senza continuità di tempo e spazio nei cambiamenti, oltre il tempo e lo spazio, raccontando il lato positivo dell’amore e il logoramento che la vita impone. Mette di fronte a delle scelte, dure, difficili. Ma inevitabili. Coglie nel segno evidenziando la limitatezza di una cultura in quei tempi antiquata, che uccide, che può strappare via l’amore per lasciar vincere la convenienza, che inneggia a un’etica nata sbagliata. Una finta morale che lacera sogni e prospettive e che trasforma la donna in qualcosa da “piazzare”, incuranti di ciò che davvero vuole. Si percepisce la fiamma di qualcosa che sta cambiando. Che cambierà presto. Un romanzo che emoziona e commuove, che ti lascia lì in attesa di un treno, che forse non partirà mai o che non si avrà il coraggio di prendere. Restare lì. Nella sala d’attesa. Di una vita da scoprire, pagina dopo pagina. “Waiting Room” è un bel romanzo, da leggere tutto d’un fiato. Che riesce a far sognare, nonostante l’oppressione di una realtà, che talvolta ha il rumore dei colpi di mortaio. Nemmeno troppo lontani.

In esclusiva, il primo capitolo del romanzo “L’Equazione – Ogni cosa, verrà svelata”

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CAPITOLO 1
Torino 
15 Ottobre 2015 
Primo giorno di pioggia
Ore 20.00 

Nelle strade deserte il rumore sordo della pioggia era violato soltanto dalle sirene dei mezzi di soccorso, simili a ululati strazianti nella notte.

La prefettura aveva invitato la popolazione a non uscire di casa. I semafori lampeggiavano agli angoli delle strade e i lampioni si accendevano e spegnevano a causa dei cali di tensione dell’energia elettrica.

Negli uffici della Regione si erano riuniti gli organi tecnici della Protezione Civile per gestire l’emergenza.

Pioveva da più di tre ore, ininterrottamente, e il livello del fiume Po era in continuo aumento.

Torino – Istituto Ricerca Protezione Idrogeologica – Cnr

Domenico Fanti, direttore dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del CNR, aveva richiamato in servizio le sue ricercatrici più esperte: Monica Riccardi e Isabella Tornidi, che avevano collaborato con la Protezione Civile, l’Università e il Politecnico di Torino al progetto della piattaforma di gestione delle emergenze, elaborando dati storici, punti critici e i parametri necessari per valutare il sistema causa ed effetto durante le calamità naturali e gli eventi catastrofici.

Era di loro che aveva bisogno in quel momento. Loro avrebbero potuto interpretare i dati di Idro2 meglio di chiunque altro.

Monica attendeva davanti al fax comunicazioni importanti provenienti dalla Prefettura quando vide uscire la stampa di un grafico: era una figura geometrica simile a una scacchiera in cui ogni quadrato era colorato con una diversa tonalità di grigio. Incuriosita prese il foglio tra le mani ma non fece in tempo a guardarlo con più attenzione perché Domenico, spuntato da dietro, glielo strappò di mano.

A lei, presa alla sprovvista, non rimase che guardarlo allontanarsi velocemente e vederlo chiudersi nel suo ufficio sbattendosi dietro la porta.

Il trillo stridulo del fax l’avvisò dell’arrivo dei documenti che stava aspettando. Aspettò la fine della stampa e lesse ad alta voce: “Confermo scossa sismica con epicentro in zona Basilica di Superga – Richiesto sopralluogo di verifica stabilitàdei versanti”.

Il fax era firmato dal Prefetto in persona.

Nonostante si sentisse ancora scossa dallo strano atteggiamento di Domenico, decise di bussare alla sua porta per mostrargli il fax appena ricevuto.

Avanti” rispose Domenico con voce cupa.

E’ appena arrivato questo. Potrei andarci domani mattina sul presto” rispose Monica.

Lui la osservò per alcuni istanti prima di parlare. “Per andarci dovresti superare i ponti sul Po e non è sicuro.”

Ma il comunicato dice che sarebbe importante verificare la stabilità dei versanti!”, rispose lei. “Monica, so leggere. Torna al tuo lavoro”. La discussione per lui era finita.

Lei si morse le labbra sino a sentire il sapore del sangue.

Sempre ammesso che serva

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Quanti sogni non aiutano, e gli occhi, persi nel mare, non sanno trovare una strada. E’ torbido. Quanti istanti possono far piacere, poco prima di uccidere. Così trascini gli istinti primordiali a uno stato che non conosci. E in fondo, nemmeno ti interessa. Solo chiudere gli occhi. Lasciare che il tempo si nasconda. Ho passato tanto tempo a parlare con me stesso, cosa ho capito? Poco. Forse niente. Siamo vetri sporchi, noi. Piccole ombre colorate di vento. Poco prima di fuggire. I luoghi sembrano sempre gli stessi. E io la soluzione non ce l’ho, perché tutto sia diverso. Ci si ritrova qui, al bar. A guardare la superficie del caffè. Sempre uguale. La notte splende come sempre, illuminata da una luna che fa quasi paura. No. I sogni non aiutano. Ti fan sentire inadeguato. Sempre. La terra brucia, sarà stato il troppo sole. La testa mi fa male. Sembra senta il peso del tempo. Senza fine. O forse, una fine ce l’ha. Ed è sempre tardi per guardarsi dentro. Sempre ammesso che serva a qualcosa. Il giorno è un giorno come tanti. Piccole ombre disegnate a stento. Sulla sabbia. Mentre la rabbia ascolta, e sembra stanca anche lei. E’ la prima volta che la vedo così. Non ha più quei lineamenti duri. Non sembra più così determinata. Vorrei sbagliarmi, ma sembra avere paura. Anche lei. Io resto qui. Su questa banchina, da quanto tempo sto aspettando quella nave? Forse non passerà. Ed è meglio così. I miei passi si susseguono, come capitoli di un libro. Ogni tanti mi fermo, guardo una vetrina. E riparto. Quanti sogni non aiutano. Quante stelle non illuminano.

Recensione del romanzo “Saltatempo” di Stefano Benni

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Saltatempo è un ragazzo, poi un uomo. Una trasformazione del protagonista che corre di pari passo con quella dell’Italia dalle contraddizioni di una nazione appena uscita da una guerra a quelle di un comunismo spesso ambiguo, sino alla nuova politica che sfocia nella corruzione. L’autore è Stefano Benni, che riesce a raccontare le mutazioni di un territorio e insieme di una cultura, che da rurale diventa sempre più cittadina, con tutto ciò che questo comporta. L’avvento dell’arrivismo, del cinismo e contemporaneamente delle prime scoperte, dall’amore alla droga, dal sogno alla morte. Saltatempo può muoversi nel tempo con il suo orobilogio e sapere come le cose andranno a fine, tra figure epiche e metafore ben studiate, il romanzo si sviluppa in maniera sapiente e oculata, raccontando un mondo, più mondi e scavando nella psiche e nelle paure dei protagonisti. E’ un romanzo per sognatori, ma che lascia in fondo anche tanta amarezza. E’ una storia che fa capire quanto l’uomo ha svenduto per raggiungere soldi, successo e un fantomatico progresso, che poi fa perdere il senno, l’anima, e alla fine anche la speranza. Questa però non muore mai davvero, ma rivive, come nelle anime che abitano i boschi, le montagne, come le idee che si rianimano, proprio quanto tutto sembra finito. Alla fine è solo il senso della vita, delle piccole cose, del credere negli ideali senza lasciarsi trasportare. Lo sviluppo di un territorio che diventa metafora della crescita di un uomo, che scopre se stesso anche oltre il male e forse nel male stesso riesce a trovare il senso dei propri desideri. Saltatempo è certamente un romanzo semplice e complesso allo stesso tempo, che mette le basi e le distrugge, che fa sognare e allo stesso tempo morire. Il tutto sembra insegnarci che non bisogna mai smettere di credere nelle cose, nelle idee, nei sogni, nella speranza di un mondo migliore, di una politica corretta. E di tutto quello che questo può provocare, l’eterna guerra tra il bene e il male che purtroppo talvolta si fondono senza riuscire a intravederne i confini. Cosa resta? Il senso più profondo delle cose: la vita.

Recensione di “1Q84” (integrale) di Murakami Hakuri

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Ho raccontato i primi due libri di questo romanzo in una precedente recensione, ma con il terzo e conclusivo libro posso descrivere questa storia nella sua interezza. “1Q84” è come un vortice. Un mondo parallelo in cui si rimane imprigionati. Si soffre e si gioisce assieme ai protagonisti Aomame, Tengo e Fukaeri. Un intrigo che si ingarbuglia pagina dopo pagina e atmosfere misteriose e a tratti mistiche sono gli ingredienti di un romanzo particolare. Lo stile di Murakami è originale e sfoggia una cultura certamente differente da quella che siamo abituati a trovare nella letteratura contemporanea, perché sembra di immergersi in una realtà epica, seppur ambientata ai nostri giorni. C’è un mondo che si percepisce sin dall’inizio e che diventa parte del lettore, come se questo libro possa ipnotizzare con la forza di frasi e parole costruite con maestria, sapienza e una grande pazienza. Ci sono scene e immagini che ritornano, che arricchiscono un quadro, quasi fossero particolari e sfumature che rendono il senso complessivo ancora più intenso e coinvolgente. Sono pochi i casi in cui ci si imbatte in fenomeni letterari come questo, quindi è necessario entrare in questa dimensione per capirne il senso e assaporarne il contenuto. Una storia avvincente, che risveglia la curiosità e le emozioni, e che, non in ultimo, fa riflettere grazie alle metaforiche divagazioni che l’autore crea e plasma. Ci sono colori sensuali e riquadri agghiaccianti che si susseguono senza fine. Una girandola di sensazioni che scivolano via, pagina dopo pagina. C’è passione e amore in questa storia, c’è pathos e cinismo, c’è il male e il bene che lottano, c’è il male dentro e quello che insegue i protagonisti. C’è una guerra inconsapevole. Quella di Murakami è una narrativa ad altissimo livello che non si può fare a meno di leggere. “1Q84” è un libro nel libro, un mondo in un altro mondo. Forse questo libro rappresenta proprio il mondo.

Un ottima lettura, complessa, fantasiosa e spietata, ma allo stesso tempo accattivante e provocatoria.

Ho gli occhi aperti – Racconto

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Ho gli occhi aperti, o almeno credo di averli. Ogni volta che arriva, la mia testa esplode. Scandisce il ritmo di questa vita, in cui non posso né alzarmi in piedi, né toccarmi viso. Qualcuno mi inumidisce le labbra, secche e screpolate. Il sapore del liquido è aspro e mi disgusta. Ripenso ai suoi baci. L’ultima immagine che ho di lei è di una donna con gli occhi spalancati, preda del terrore, trascinata da due uomini fuori dal mio appartamento. Le esplosioni nella mia testa continuano. Non mi fanno dormire, mai. A volte credo di essere già morto, ma non lo sono. Ogni ricordo rimbomba per ore nella mia testa, come la goccia che instancabile cade sulla mia fronte. Eravamo al parco, quando i nostri sguardi si incontrarono. – Come ti chiami? – riuscii solo a chiederle. I suoi occhi sembravano un angolo di cielo. Mi attirò verso di sé e mi trascinò dietro un cespuglio. – L’abbiamo scampata per poco – disse, mentre due soldati in uniforme passavano marciando lungo la stradina sterrata. Sentivo il calore del suo corpo e il profumo di vaniglia. Mi baciò. Dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, si allontanò, per sparire in fondo alla via. Qualche secondo più tardi uscii dal cespuglio e mi incamminai. Per un attimo incrociai lo sguardo di un passante e mi chiesi se ci avesse visti, ma il pensiero svanì nella nebbia, così come quell’uomo. L’ho rivista altre volte, fino a quel giorno. La testa mi sta per esplodere e quelle maledette gocce non si fermano. Continuano a cadere, sempre. Esplosioni che annientano la mia anima. Un rumore che mi uccide. Lentamente. Lei era la figlia di un uomo che si era ribellato allo Stato, al Regime Comunista. Un uomo che lottava per la libertà. Lui, era un sovversivo. Io, solo un uomo innamorato.