Andiamo a vedere il giorno, il romanzo di Sara Rattaro

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Ho iniziato a leggere Sara Rattaro con il romanzo “Non volare via”, “Andiamo a vedere il giorno” racconta la storia degli stessi protagonisti a distanza di qualche anno. Alice è cresciuta, il suo matrimonio è in crisi. Decide di fuggire a Parigi, ma viene raggiunta in aeroporto da sua madre, Sandra. Decidono così di proseguire il viaggio insieme, riscoprendo i rispettivi lati oscuri, celati in un passato che risveglia ancora amarezze. Una storia che non può coinvolgere Alberto, padre di Alice, marito di Sandra. Non può mancare perché sullo sfondo di questo viaggio c’è una donna che lui ha amato moltissimo, Camilla. “Andiamo a vedere il giorno” è un romanzo in cui si intrecciano più che personaggi, vite, sentimenti. Racconta come un tradimento possa in qualche modo nascondere un amore che non riesce più a ritrovare se stesso. Un sogno naufragato, o semplicemente il tempo e le esperienze che ci cambiano. Lo stile inconfondibile di Sara Rattaro ci prende per mano e ci svela una storia strana, imprevedibile, per certi versi. Perché la scelta della destinazione delle due protagoniste appare inattesa, quasi inspiegabile. Così come spesso lo è l’animo umano. Questa è tra l’altro una delle prerogative delle storie di Sara Rattaro, ovvero quella di scavare più che nei sentimenti, nei difetti, nelle incomprensioni, nella anomalie dei suoi protagonisti. Il romanzo emoziona e lascia uno strano velo di commozione, sia per dove il viaggio conduce, sia per il senso della storia che diventa lampante, feroce, nella sua semplicità. Una famiglia che si riscopre tale, proprio quando tutto sembra fragile e potersi frantumare da un momento all’altro. L’amore, talvolta, è così.

#andiamoavedereilgiorno
Sara Rattaro
Sperling & Kupfer

Come una randagia, il nuovo romanzo di Anna Serra

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“Come una randagia” è un romanzo che affonda le sue radici in un mondo parallelo di cui nessuno parla. La protagonista Emma incontra per caso una donna, una senza tetto, che le sussurra una previsione, una serie di eventi che getteranno la protagonista in un vortice di inquietudine. Per scappare dagli accadimenti che le stanno sfuggendo di mano, Emma cerca riparo e consolazione andando a trovare sua nonna ad Amatrice, in Abruzzo. Quello che lei ancora non sa è che la notte stessa si scatenerà un sisma e lei ne rimarrà coinvolta, sepolta, inghiottita da detriti, mattoni, cemento. E ricordi di una vita. Questa storia racconta l’incontro di due donne che guardandosi negli occhi si scoprono distanti, ma consapevoli che qualcosa le ha legate a un destino che, inconsapevolmente, le ha scelte. Come una randagia è quel varco di luce che si apre quando tutto sembra finito, quando tra i detriti riesce a passare un raggio di luce. È la speranza di un giorno nuovo.

La prima volta

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La prima volta,avevamo paura.

Ci mancava il fiato.

Dovevamo capire.

Le luci blu,

le urla.

Palazzi che si sbriciolavano,

al suono di parola che non conoscevamo.

Ora sento il silenzio.

Il sangue non fa più notizia.

Sappiamo tutto.

Tutto passa, in secondo piano.

Ci cose più importanti.

La seconda volta, 

fa quasi meno male.

Photo by Unsplash

Text by Daniele Mosca

  

Le guerre che farai

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Quando piangi,
e non hai fame.
E ti guardo,
Indifesa e incazzata.
Urli alla luna,
Scalci alle stelle.
Poi ti plachi,
Stringendoti più forte.
Perché non sei molto diversa da me.
Dietro al rancore, alla rabbia,
i sogni infranti,
c’è il bisogno di essere amata.
Avrai tempo per le tue guerre.
Per ora puoi ancora dormire.
Per adesso le faremo noi per te

Ero un comunista

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Ero un comunista,
l’anima svenduta, per salvarmi.
Una goccia sulla fronte.
Ero un comunista,
il mio era solo un sogno.
Un’altra goccia sulla fronte.
Ero un comunista,
ho denunciato il mio miglior amico.
Non avevo scelta.
Non posso muovere le braccia,
un’altra goccia di cade sulla fronte.
E un’altra ancora.
Io non potrò mai più scappare.
Sono qui da un’ora,
un mese,
un anno.
Non lo ricordo.
Ero un comunista,
servivo il mio paese.
Ora sono un condannato.
Sento dei rumori.
Mi interrogheranno ancora.
Vogliono dei nomi.
Sto impazzendo.
Vogliono dei nomi.
Ho paura.
Vogliono che faccia i nomi.
Dei miei figli.

Credits:
Photo by Keenan Constance on Unsplash
Text by Daniele Mosca

C’era una volta il partito del fascio

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C’era una volta il partito del fascio, prometteva benessere e sviluppo a tutto il popolo italiano e che sarebbe stato finalmente risolto il terribile problema degli stranieri che rubavano loro la ricchezza e la prosperità. Raccontavano di quello che sarebbe stato il cambiamento imminente di tutto quello che non funzionava e che finalmente gli italiani si sarebbero ribellati e liberati del giogo degli Stati Uniti, Francia e Inghilterra. Narravano di un’alleanza con paesi amici che li avrebbero aiutato in questa avventura.
Un giorno il partito del fascio portò gli italiani in guerra, ma prima aveva distribuito loro la tessera del pane, provveduto a bruciare i loro stupidi libri e allontanato i vicini di casa stranieri. Gli italiani ripetevano gli slogan che venivano urlati da un balcone.
Poi iniziarono a cadere le bombe e gli italiani iniziarono a capire che la guerra stava volgendo al termine. E che a vincerla sarebbero stato proprio i nemici americani, francesi e inglesi e decisero di cambiare schieramento. Nel frattempo gli ex amici tedeschi avevano iniziato a stuprare donne e a mettere a ferro e fuoco i territori italiani. Alla fine di questa brutta storia gli italiani si ritrovarono indebitati con chi li aveva salvati da un nemico a cui loro stessi si erano affidati. Per anni e anni qualche italiano aveva raccontato di cose belle fatte dal partito del fascio: le bonifiche, le leggi per la previdenza sociale. Pian piano la ferocia venne dimenticata. Fino a quando, un bel giorno, il partito del fascio tornò, ma nessuno se accorse. Forse perché non aveva più gli stessi colori e si chiamava in un modo diverso. Qualcuno iniziò ad accorgersene perché prometteva benessere e sviluppo a tutto il popolo italiano e che sarebbe stato finalmente risolto il terribile problema degli stranieri che rubavano loro la ricchezza e la prosperità.

La leggenda del ragazzo che credeva nel mare di Salvatore Basile

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“La leggenda del ragazzo che credeva nel mare” è un romanzo che appassiona e che si fa leggere piacevolmente. Il protagonista è Marco, un ragazzo che è stato abbandonato dai genitori e che scopre, complice un sentimento verso una bella nuotatrice, la passione per i tuffi. Inizia a sperimentare di nascosto quest’arte e scopre di essere decisamente portato. A pensarlo è proprio Virginia, la nuotatrice. Un giorno lei lo invita a una gita al mare con i suoi amici. Marco per fare colpo su Virginia e per gelosia nei confronti del compagno della ragazza, deciderà di tuffarsi da una altissima scogliera facendosi male e perdendo l’uso delle gambe e del braccio sinistro. In soccorso arriverà Lara, una brava e paziente fisioterapista, che durante le cure noterà una voglia a forma di stella sulla spalla di Marco, che scateneranno in lei un vortice di ricordi e sensi di colpa. Perché lei ha già conosciuto Marco. Un romanzo che attrae, che, pur proponendo una storia non del tutto originale, riesce a emozionare. Salvatore Basile mostra anche in questo caso, dopo il successo del precedente romanzo “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” la sua abilità narrativa.

Per caso

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Ho iniziato a scrivere per caso, o forse per forza. Erano i tempi delle scuole medie, quando dimostrare chi si era davvero era quasi impossibile, se non attraverso le righe e i quinterni. Un tema da affrontare e la richiesta di esprimere le proprie idee. Le prime volte non è stato facile, ma a un certo punto si è accesa una spia. Non riesco a ricordare il momento in cui ho mollato gli ormeggi e non ho più avuto paura di mostrarmi davvero. E non erano tanto i voti a dimostrarmi che era la strada giusta, ma la reazione dei professori che si sono succeduti in quegli anni. Una sorta di sgomento, quasi di imbarazzo perché non si aspettavano quelle parole. La verità è che tutti noi mentiamo. Quando però ci ritroviamo di fronte a parole che ci fanno male, chissà perché, proviamo imbarazzo. Può essere un libro, una canzone, o il tema di uno studente timido e sovrappeso. Parlavo anche d’amore in quei temi, di quanto in mezzo agli altri ci si possa sentire invisibili. Anche quando si è sotto gli occhi di tutti, giudicati, insultati, perché obesi. In quel momento ho capito quanto l’indifferenza, la discriminazione possa far male, ma anche quanto le parole possano essere delle armi più forti di ogni pregiudizio. Per questo continuo a scrivere del mondo visto dalla parte delle ombre, perché è lì che c’è la gente che ha paura, quella che non ha voce per urlare, che fugge da se stessa. Per questo sono disposto a ricevere le critiche di chi vive ostentatamente tra i colori e i pensieri che devono assolutamente essere positivi e a continuare a raccontare il mondo per quello che è, spesso un luogo bello, ma tante altre volte una merda. E le mie radici sono ancora lì, tra le parole del mio primo tema. Non ricordo bene di cosa si trattasse, ma iniziava più o meno così: sapresti dire tu chi sei? E oggi come allora non lo so, ma riesco a percepirmi tra le vibrazioni del suono di un pianoforte, una chitarra, una voce. La mia.