L’uomo che si fa chiamare uomo

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L’uomo che si fa chiamare uomo.

Costruisce prigioni, senza sbarre.

Toglie la vita dagli occhi,

confinandoli nei lividi.

Coglie nel segno, sin sotto la pelle.

Perché la ferita è il gioco sottile.

L’uomo che si fa chiamare uomo.

È l’abile attore,  che sa fingersi vittima.

È il vile carnefice dalla lacrima facile.

La sinfonia venuta male.

La mano pesante, su una scusa leggera.

Ma tu non spegnerli i tuoi occhi.

L’uomo che si fa chiamare uomo

Dentro di loro leggerà di non esserlo.

Due domande su romanzi, editoria e distribuzione 

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Hai pubblicato due romanzi. Quali sono le tue impressioni maturate dopo queste esperienze?

Innanzitutto, credo sia davvero dura sopravvivere come autore emergente in un panorama, parlo del mondo della piccola editoria, senza limiti. C’è di tutto. Dall’autore bravo e intellettualmente preparato, allo sprovveduto che pretende di vendere i libri che porta nella sua sacca. Magari sbagliando congiuntivi qua e là. Tante proposte e pochissime possibilità di farsi leggere davvero. Il problema forse più grande è lo scetticismo dei circuiti accreditati alla letteratura: le librerie, in primo luogo. Tranne per alcuni casi, tendono a non dar spazio ad autori di cui sa poco niente. Per carità, visti i soggetti che circolano in questo ambiente, posso capirli. In realtà mi vien da dire che fanno di tutta l’erba, un fascio. Ci sono molti piccoli editori che lavorano bene, ma che vengono di fatto tagliati fuori dal mercato. Così, un autore è costretto a far leva sui conoscenti per “spingere il prodotto”. Ma quasi sempre tutto finisce lì.

Quindi, i limiti ci sono?

I limiti sono dettati dai grandi distributori che spesso prendono percentuali da usura. E che, per fare un esempio, escludono dai circuiti Feltrinelli e Mondadori, ovvero la gran parte delle librerie. È un sistema in cui possono sopravvivere solo i colossi dell’editoria. Un piccolo editore non può reggere quella concorrenza. In giro vedo sempre i soliti personaggi girare per tutte le librerie d’Italia, le stesse, molte anche indipendenti, che a un autore sconosciuto dicono di avere il calendario pieno, o che semplicemente  che rimandano un incontro anche per anni. Quando rispondono, ovviamente.

Esiste una soluzione possibile, secondo te?

Non lo so. Mi chiedo solo se abbia senso che vengano pubblicati così tanti libri a cui nessuno può garantire visibilità, quindi di esistere. Lo sapete, ho seguito per molti anni la musica indipendente e so quanto possa essere frustrante trovare davanti al palco ad ascoltare solo qualche amico, magari pure un po’ annoiato. Dopo aver magari provato la nuova canzone per mesi. Beh, la stessa sensazione vale per un libro. Tornando a noi, ormai sono un po’ di anni che frequento questo ambiente e mi sono fatto le mie idee. E credo sia giusto e doveroso parlarne, anche se molti sono convinti che si debba sempre raccontare un mondo positivo. A me piace parlare della verità. Bella o brutta che sia.

Deserto Luna Park

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Guarda.

C’è un tempo in cui tutto si ferma.
Come una giostra che all’improvviso smette di giocare.
Senti.
C’è odore di bruciato.
E ci hanno dimenticati.
Il mondo gira sempre più veloce.
E i sogni sono gettoni.
Le luci del luna park, risplendono ancora.
Ma, ascolta.
Tutto è silenzioso.
E se fai attenzione, puoi sentirlo.
Il rumore di chi conta quei gettoni.

Metafore calcistiche

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Uso spesso metafore legate al calcio, questo perché si tratta di uno sport in cui è fondamentale gestire la gara, le energie, le emozioni e la determinazione. Capita però momenti in cui le cose proprio non funzionano. Dinamiche di squadra che non funzionano, meccanismi che si attivano. A volte non c’è un vero perché. O forse ce ne sono tanti. Personalmente ho smesso di seguire il calcio quando mi sono resto conto che dietro c’era un mondo sporco. Da allora sono cambiati alcuni equilibrio, ma noto con dispiacere che quando tutto cambia è proprio perché non cambi assolutamente nulla. Ognuno ci legga quello che vuole, ma i nomi che sento girare negli ultimi giorni sono più o meno gli stessi di venti anni fa. Un po’ come in politica.

Hashtag

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Quando vedo comparire su twitter l’hashtag di una città, torna a farsi sentire l’inquietudine. Quella strana consapevolezza che viviamo in un’epoca strana, che ti fa pensare: no, lì non ci vado “perché c’è il terrorismo”. Ma dentro di te sai che è ovunque. Spesso mi chiedono perché io abbia scritto storie in cui emerge la ferocia dell’essere umano e in particolar modo il suo lato oscuro. Perché quella parte dell’uomo esiste, semplicemente. Io credo che la realtà vada osservata bene, per provare a capirla. Io, che ho amato da sempre la storia, ho iniziato a farlo confrontando diversi periodi storici e cercando le similitudini, i luoghi di contatto, le motrici degli eventi e i punti scatenanti. Il disegno che c’è alla base. Ma la realtà a volte supera la fantasia o semplicemente la mette in scena, come uno spettacolo a teatro. Così quando vedo comparire il nome di una città tra gli hashtag, rispondo all’inquietudine nel modo che meglio conosco. Approfondendo. Provando a capire quello che sta succedendo. Senza necessariamente cedere al panico, ai giudizi facili, senza inneggiare a quella o a un’altra parte. Credo nella libertà. Perché altrove i libri vengono bruciati. E quello sí, mi fa paura.

Val Susa. Un disastro.

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Sapete quanto io tenga al territorio. Proprio per questo motivo seguo con apprensione quanto sta accadendo in Val Susa. Un incendio che sembra non volersi fermare, bruciando ettari e ettari di bosco. Questo per molti è un problema di aria irrespirabile, domani potrebbe diventare un problema di stabilità di interi versanti. L’aria che si respira sa di legna bruciata, l’atmosfera è ormai costantemente soffusa a causa del fumo che ha raggiunto zone anche molto distanti dai luoghi dell’incendio. Un disastro, alimentato sicuramente dalla siccità, ma anche dall’indifferenza. La Val Susa è nota per la Tav, o forse solo per i suoi manifestanti, ma la storia ne racconta l’importanza come punto di riferimento per i collegamenti tra Francia e Italia, sin dalla notte dei tempi. Un luogo da salvaguardare. E che invece sta bruciando, silenziosamente.

foto: 3bMeteo

La mia non idea.

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Quanti sociologi, giornalisti, pensatori che analizzano e scrivono sul tema terrorismo. Ognuno a modo suo ha ragione. Vorrei farmi un’idea mia, ma proprio non ci riesco. Ed è strano, perché in genere alla fine ci riesco sempre. Semmai mi pongo una domanda: perché dei giovani trovano la loro vocazione in una violenza sconsiderata? Forse è quella che chiamiamo cultura ad aver fallito. Spesso parliamo di storie che evocano più Arancia Meccanica che non temi religiosi. Ragazzi feroci, incazzati, cattivi e che pur di trovare uno scopo nella vita scelgono quello di un fantomatico governo ombra che li fa sentire un qualcosa in una società che annienta idee, sogni, speranze e futuro. Io non sono un sociologo, né un giornalista e tanto meno un pensatore. Sono uno che ha paura della deriva sociale e culturale che si sta sviluppando in un mondo che non riesco a comprendere.

#elezioniamministrative2017

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Elezioni amministrative. Non ha vinto nessuno = Hanno vinto tutti. Nel silenzio più totale si è consumato uno dei momenti forse più bui della politica. Mancanza di idee, scissioni violente, urlatori da bar sport. Il risultato di mesi di tentativi di ricostruire ciò che sembra socialmente perduto si è tramutato in un nulla di fatto. Lecito dire che le elezioni amministrative siano molto differenti da quelle politiche, tuttavia i dati ci sono. Come sempre una forte disaffezione, leggibile dai dati di affluenza. Tanta, tanta confusione.  E come non notare una flessione dei risultati dei movimenti contestatori di ogni cosa. Ma credo sia solo una momentanea battuta di arresto. E mentre il focolaio del centrodestra torna a rianimarsi, qual è lo stato di forma della sinistra? Ma soprattutto, chi è la sinistra? E ancora, chi vuole rappresentare oggi?

#elezioniamministrative

Viviamo in un momento

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Viviamo in un momento storico difficile, un virus di odio si muove silenzioso dietro facce che sembrano assolutamente normali. Dove ricchi sbruffoni possono sentirsi legittimati a creare leggi a loro immagine e somiglianza e a fomentare una guerra che sembra sempre più infinita e insensata. Ci guardiamo intorno sperando che non tocchi a noi, ma stanno attaccando proprio noi, in quel momento. Seminando la paura, il dubbio. Il sospetto. É un momento storico in cui i dittatori sembrano portatori di libertà. Colore, religione e cultura tornano a essere discriminanti. Basta un petardo per evocare la paura, ma il terrore continua a scavare molto più a fondo. Ed è questo quello che mi fa più paura: l’odio che leggo nei confronti di un nemico immaginario, che viene scagliato su chi è diverso. Viviamo in un momento difficile, ma i libri di storia lo raccontano perfettamente.

Il giorno dopo

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Il giorno dopo il terrore, se mai possa esistere un giorno dopo. Le immagini crude sembrano confondersi con una quotidianità fatta di incertezze. Vogliono convincerci che esista un nemico. E che sia tra noi. Ma io non ho mai creduto che un colore diverso della pelle, una cultura differente dalla mia, un’altra lingua, rappresentino qualcosa da cui difendermi. E non inizierò adesso. Credo che gli stronzi esistano in ogni cultura. E credo che gli stronzi si alleino. Tutto qui. Così come credo che dietro alla parola cultura di nasconde chi cerca il potere o i soldi, quindi non mi stupisce che possa esserci qualche mela marcia anche tra chi crede davvero negli ideali di uguaglianza. Siamo esseri umani. E lo siamo tutti. E.lo ricorderei a chi pretende di insegnare ai bambini che non c’è colore, mentre desidera sparare ai gommoni per sentirsi più sicuro. Il verme del razzismo agisce nell’ombra di pensieri che vogliono sembrare positivi. Ma non lo sono. Il giorno dopo il terrore sarà un giorno come un altro. Perché ci si abitua a tutto. Anche alla libertà. Quindi non diamola per scontata, perché non lo è affatto.