Chi è il più cattivo del reame?

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Oh, Putin, Putin, chi è il più cattivo del reame?
Domanda per nulla retorica in uno scacchiere che diventa sempre più complesso, o meglio, al netto dei neocomplottisti con la bandierina russa dell’ultima e penultima ora, lo è sempre stato. Il coinvolgimento della Korea del Nord, prima ancora degli armamenti dell’Iran e della supervisione della Cina, nel confitto in Ucraina ha da tempo espanso i confini di una guerra, che nasce da una presunzione di diritto da parte russa su territori controllati ai tempi dell’Unione Sovietica. Sin dai primi momenti Putin pensava di poter chiudere presto la pratica. A impedirlo è stata, a oggi, la contrapposizione occidentale. Discutibile la scelta americana di consentire all’Ucraina di colpire obiettivi su territorio russo con armi fornite dell’occidente. Il quadro, per quanto qui semplificato, è chiaro. E non si tratta nemmeno di definire chi ha più o meno ragioni. I conflitti sono sbagliati per definizione. La scelta americana fatta da Biden, ma pochi giorni dall’incontro con Trump, è da contestualizzare proprio in questo ultimo passaggio. A livello geopolitico sembra una mossa per porre delle basi per una strategia che porti a prendere atto di una situazione diventata insostenibile, non tanto per una potenziale escalation, in realtà in essere da tempo, ma perché ogni passo rischia sempre più di essere un punto di non ritorno. Ed é ciò che non deve accadere. Tornando al punto iniziale, in ballo ci sono equilibri geopolitici chiari, che più che ad alleati o assi portano a gruppi di interesse, quindi ai Brics per quanto concerne l’area economica e commerciale che da questo punto di vista si oppone alla realtà “occidentale”. Uso le virgolette perché il tema commercio è ben più ampio dei confini dei singolo stati, mai quanto oggi, in cui le multinazionali possono essere anche più potenti degli Stati. In questo ognuno di questi fattori è da leggersi sotto diversi punti di vista ed è per questo che si.tratta di uno scenario complesso e sicuramente non definibile in un post come questo, ma nemmeno con il posizionamento di una bandierina su un profilo social qualsiasi o con considerazioni sconclusinate più associabili al Bar Sport.
Ma ora guardiamoci allo specchio, chi è più il più cattivo del reame?

Fonte foto: Il Messaggero

Buoni e cattivi

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Siamo sinceri, Elon Musk, accanto al noto Donald Trump nuovamente Presidente degli Stati Uniti, sembrano due personaggi di un tecno-thriller. Questo in un’era storica particolare, che vede anche impetuoso il ritorno di sentimenti nazionalisti e imperialisti. Accerta però anche un’altra cosa. Il tramonto di un mondo che sembra di colpo essere diventato grigio, vecchio e inebetito, con quell’immagine crepuscolare di un Biden che biascica cose e casca dalle scale. Ma facciamo un passo indietro. Elon Musk, a modo suo, sta scrivendo la storia. E lo sta facendo usando armi che per decenni la politica ha messo da parte, comunicazione efficace, tecnologia spinta ai massimi livelli, applicata all’intelligenza artificiale, alla conquista dello spazio anche per i privati, rivoluzione del settore automotive, insomma ha dimostrato l’importanza della volontà di uscire dagli schemi. Qui arriamo al punto. Cosa e quali sono questi schemi? La politica ci ha abituati ad accettare rinunce in favore di compromessi, che spesso nemmeno portavano rilevanti vantaggi. Quello che nei tecnothriller era chiamato Nuovo Ordine Mondiale, altro non era se non un’associazione di soggetti portatori di interessi mondiali. Associazione che oggi appare in crisi, a vantaggio di una nuova, che ha al suo interno un potenziale nuovo futuro, per i più sconosciuto. E le cose ignote fanno paura. Probabilmente questo scenario è nato proprio quando il social twitter ha censurato Donald Trump, cancellando io suo account, a seguito dell’attacco a Capitol Hill. Il passaggio successivo è stato l’acquisto del social da parte di Musk, poi diventato l’attuale X e ridando così voce a Trump, riportandolo alla Casa Bianca. Nel frattempo Musk ha sperimentato razzi che andavano nello spazio e tornavano a casa, sviluppato il settore automotive con Tesla e fatto sperimentazioni su robotica e intelligenza artificiale. Alle chiacchiere ha anteposto i fatti, cambiando così in un attimo il concetto di politica. Che questo possa essere un modo per rompere quel muro di ipocrisia che per anni ha tutelato una visione del grigia, vecchia e inebetita? Il paradosso è che se Elon Musk e Trump sono i “cattivi” della storia, i “buoni” chi sono?

Foto: Wired

A un passo dalla storia

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A un passo dalla storia.
Il vociare delle folle esultanti per la vittoria di Trump è ancora forte. Uscendo dal gioco delle tifoserie di invasati, è necessario fare ordine su quello che è lo scenario che si prospetta, soprattutto in ottica europea. E qui possiamo aprire tanti temi, tra cui il percorso finalizzato a creare un’Europa unita, esperimento che più che all’unione ha portato all’estremizzazione di diversi temi, uno dei quali è proprio quello ambientale. Dimenticando totalmente che il sistema europeo fa parte di una realtà molto più grande, con i propri interessi e le proprie finalità. Cina, India e, appunto, Stati Uniti. In fondo, alle radici della sconfitta di Harris c’è la scelta non puntare su temi che invece Trump ha toccato: gli interessi della classe media, ormai lontano retaggio dei tempi che furono. Questa realtà viene costantemente dimenticata anche dalle nostre parti, ma credo che il disinteresse per la realtà europea, già dimostrata da Trump nel passato, non può che portare a una nuova pagina di storia. Concluso a questo punto lo scenario post seconda Guerra Mondiale, non può che aprirsene uno nuovo, con le sue incertezze e le sue certezze, ovvero quella che la guerra in Ucraina, ma più che altro la decisione originaria della Russia di tornare a riconquistare il suo potere, diventerà qualcosa con cui fare davvero i conti, magari non semplicemente delegando ai soldati ucraini il combattimento. Uno scenario esagerato? No. Non lo è. E non lo può essere se persisterá l’incapacità della politica nostrana ed europea di guardare al di fuori della propria tifoseria, ma di guardare al futuro, di pianificare, di fare il bene di una società, senza esondare nella demagogia, che con la realtà nulla c’entra. La.vittoria di Trump deve insegnarci qualcosa. Non tanto perché vinca una parte o l’altra, ma perché si tornino ad affrontare temi in ottica di un futuro che per forza di cose non potrà più essere come il passato. Penso all’intelligenza artificiale, allo stare al.passo con la tecnologia e sí, con la difesa dell’Ambiente, ma senza diceventare necessariamente e ottusamente ambientalisti senza alcuna idea davvero sostenibile (cioè guardando pure ai soldi) da proporre per un vero cambiamento.
Perché a dire il vero, ormai siamo ben oltre il primo passo dalla storia.

Ritorno alla vanga

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Mi sono imbattuto nella proposta del Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida per il Servizio Civile agricolo, ovvero dare la possibilità a dei giovani di andare nei campi per difendere la “Patria”. Al netto che anche in agricoltura ormai si fa uso di mezzi ad alta tecnologia e che quindi questa visione dei campi suona quanto meno anacronistica, si sta completamente sottovalutando di quale sia davvero il senso del Servizio Civile, che sempre più spesso appare come l’unica modalità per fare esperienza e consentire di costruirsi un curriculum per giovani partendo dai propri corsi di studio e che, viceversa, dovrebbero accettare le regola di un sistema che vuole replicare a vita il fantastico modo degli anni ’80 in termini di sfruttamento della manodopera. Dimenticando che oggi il mondo ha bisogno di menti aperte, di idee da sviluppare, di andare avanti e imparare a utilizzare le nuove tecnologie da applicare in tutti i settori, agricoltura compresa. Esistono sistemi automatizzati e sensorizzati per rendere più efficace e sostenibile l’utilizzo dell’acqua per scopo agricolo, che monitorano l’umidità delle varie specie coltivate al fine di fornire il giusto quantitativo di acqua e sostanze nutritive. Esiste un mondo che progetta mezzi agricoli ad alto rendimento. Un mondo che studia la climatologia per consentire l’attecchimento delle migliori colture. Personalmente mi è capitato spesso di avere di fronte ragazzi con tutte le carte in regola per costruire ognuna di queste forme di futuro. Ragazzi a cui leggi negli occhi che hanno voglia di fare, di costruire. Il mondo a cui buona parte della politica vorrebbe riportarci è stato superato dalla realtà di oggi. Non è un caso se anche il mercato dell’auto è tramontato, per continuare a difendere qualcosa che non c’è più. Se il mercato dell’auto elettrica sta diventando il punto di forza della Cina e non il nostro è perché al posto del tech e della sostenibilità a chi è titolato a fare scente politiche piace più pensare alla vanga e ai tempi che furono. Il futuro, però, non aspetta. E c’è anche un mondo ormai stanco di questa politica del tutto inutile e dannosa.

Dilemma artificiale

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In giro c’è un gran parlare di intelligenza artificiale. Una corsa sfrenata a spiegare cos’è, come si utilizza oggi e come potrà essere applicata domani. Tra entusiamp e paura si muove un esercito di pensatori, tutti con la soluzione già in mano. Al netto di questo scenario semplicemente surreale, si muove la realtà. Negli ultimi quindici anni abbiamo visto svilupparsi tecnologie impensabili anche solo fino all’anno prima. Abbiamo visto diventare essenziale un oggetto come il cellulare, trasformatosi in poco tempo in un mini computer da passaggio. Nel frattempo è sempre migliorata la capacità di processo e di memoria di questi dispositivi, sempre più piccoli e performanti. Lo stesso è accaduto per le capacità di calcoli dei sistemi alla.base dei principali colossi tech, così da creare macchine in grado di sviluppare vere e proprie analisi che simulano il ragionamento umano, pianificando un futuro in cui questi sistemi possano effettuare scelte più o meno autonome. Qui si gioca il futuro. Le scelte più o meno autonome. Questo concetto va semplificato facendo qualche esempio. Potremmo aver necessità di un sistema che possa monitorare in remoto uno scenario, sia esso una perturbazione o un sistema produttivo, al fine di prevedere eventuali malfunzionamenti del sistema? La verità è che la risposta è sì. Potremmo averne bisogno, perché sarebbe possibile superare quelle che sono le criticità insite nell’essere umano: distrazione, errore, capacità relativa di concentrazione e di analisi. In più questi sistemi sarebbero in grado di “vedere e processare” una quantità enorme di dati in tempo reale e di effettuare in tal modo scelte probabilmente più ragionate di quelle effettuate dall’uomo in un momento di emergenza, potendo basarsi su immensi data base di dati pregressi e di esperienze di anni di eventi. Sembra tutto perfetto, fino all’errore della macchina stessa. Il sistema deve esserr formato e a farlo è l’umano stesso, spinto dalle sue paure e dalla sua mania di controllo, più o meno giustificata. E qui nasce il quesito: quanti gradi di libertà è opportuno assegnare a questi sistemi perché non si sviluppino a tal punto da non aver più bisogno di noi e che sviluppino capacità proprie di valutazione? Lasciare loro il ruolo di strumento o spingerli a un pensiero più “puro” del nostro? Ma questo è un finto dilemma, appunto, artificiale. Perché rientra in una sfera più grande, della ricerca eterna di qualcosa di “più grande”, concetto che ben poco ha a che fare con la scienza. A oggi è importante conoscere il funzionamento di questi strumenti, capire come usarle per migliorare le nostre attività, senza limitarne a prescindere l’utilizzo per paura di esserne travolti. Il resto è solo una paura, più o meno ingiustificata.

Immagine generata da Gemini.

Fame di fama

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Si parla molto del.dissing tra tutti questi signori: Fedez, Tony Effe, Ferragni e compagnia bella. E sì, ho ascoltato credo tutto e letto abbastanza. Da questo a mio avviso triste spettacolo emergono solo riferimenti a chi si è fatto una e chi si è fatto l’altra, tra chi è più bello di chi, tra chi guadagna più soldi postando video in palestra. Ragazzi, ma, davvero? Anche si trattasse di una strategia per risollevarsi dalle brutte storie sulla beneficenza, cercando di tenersi a galla, no, basta, la musica è una cosa seria e qui siamo di fronte a gang di marchettari e piazzisti di se stessi. C’è alla basa un fraintendimento, non tutti quelli che vi seguono sono vostri fan, la maggior parte delle volte vediamo passare questi video percependo una strana forma di stupore. Perché questo fenomeno dei social, dove diverse tipologie di soggetti sentono di poter “influenzare” qualcosa o qualcuno è certamente da studiare. E premesso che siamo tutti più o meno schiavi di qualche algoritmo, che bisogna sollecitare ogni giorno per evitare che ci facciano scomparire nell’oblio, facciamo ormai fatica a guardarci allo specchio senza un qualche filtro che ci faccia sentire meno vecchi o meno patetici.

Quando tutto è cambiato

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11 settembre 2001.
Ricordo ancora il momento esatto in cui il telegiornale ha mostrato le immagini del primo aereo che si schiantava contro la torre.
Ieri sera rivedevo quelle stesse immagini in documentario dell’evento e non riesco ancora oggi a immaginare che sia davvero accaduto, nemmeno essendo andato sul posto e aver visto gli immensi buchi rimasti, diventati poi monumenti. E poi penso che da quello stesso momento il mondo è cambiato. Una sequenza di eventi ci hanno condotti fino alla situazione storica attuale, attraversando scenari orribili, riportando le lancette della storia a decenni prima. Come una tremenda macchina del tempo, sembra non riuscire più a riportarci a quella vaga e inconsapevole serenità e soprattutto alla consapelezza di un attimo prima dello schianto. Gli equilibri persi, non sono mai stati davvero ritrovati, in un mondo che cerca il suo sviluppo, ma alimenta i proprio conflitti. Che cerca di emanciparsi, ma resta fermo nelle idee di contrapposizione, per l’ansia di potere, forse, o di fermare un tempo, per sua natura ciclico. E poi ci siamo noi, un’umanità spesso cinica ed egoista, spaventata e opportunista, arrabbiata e rassegnata. Il crollo delle torri ha rimesso in evidenza tutto questo, quegli equilibri nascevano da un’illusione, che le guerre non ci fossero più. Ma non era vero. Quella serenità e quella consapevolezza erano finzione. Quelle guerre erano solo altrove.

Il mondo al contrario.

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I social sono un posto strano. Su qualsiasi piattaforma è l’apoteosi di tesi contrapposte, spesso senza alcun fondamento, mosse dalle varie propagande, le quali hanno ben altri interessi rispetto a quelle immaginate dagli utenti che giornalmente si autoprofilano, salvo inveire contro i “poteri forti”. Andando ad approfondire le tipologie di commenti è facile identificare i vari soggetti e collocarlo nelle rispettive aree di influenza. Ben inteso, in questo fenomeno ci siamo dentro tutti, più o meno consapevolmente. Il più o meno, tuttavia, influenza l’opinione pubblica, come è legittimo che sia. C’è un problema di fonti, le informazioni quasi sempre giungono da giornalisti che risentono a loro volta di questo sistema, rendendo sempre più complicato farsi idee proprie, basate su una lucidità, che rischia di scomparire del tutto. Qualcuno disse che il mondo è al contrario. Ed è vero. Rischiamo di andare verso un mondo in cui l’ignoranza, che tutti possediamo, risulterà un valore aggiunto. In un mondo in cui i social non possono, e probabilmente non devono, essere evitati bisogna imparare a convivere con questa pericolosa realtà.

Io sono

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Io sono una donna.
Mi batto da sempre.
Contro il ragazzo che amavo,
che mi vedeva come un amico.
Gli sguardi storti.
Le smorfie.
Gli insulti all’uscita della scuola.
È lì che ho dato il primo pugno.
Poi, ho trovato la forza.
Di fermare le lacrime.
Sono diventata i miei pugni.
I miei pugni, il mio sogno.
Mi hanno visitata.
Controllata.
Analizzata.
Giudicata.
Umiliata.
Ma i miei pugni sono più forti.
Amo ancora quel ragazzo,
che oggi è un uomo,
sposato con una donna.
Lei, una vera donna.
Lui, un vero uomo.
Ma cos’è la verità?
La verità è che vince chi è più forte.
Ma io mi sento fragile.
E non importa a nessuno.

Il paradosso di Sinner

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Il paradosso di Sinner.
Un contrasto al modello di una società improntata al tutto subito. Al successo al prezzo del discount.
Il prezzo del successo che può svanire alla prima sconfitta. Quello che non si vede è una vita sacrificata agli allenamenti, al misurare ogni eccesso sull’alimentazione. Al controllare le emozioni. Perché per raggiungere traguardi così importanti il successo e soprattutto la popolarità non possono che di diventare un ostacolo al migliorarsi ancora. Per chi il vertice è un coronamento di una carriera, ma anche il portale per un’era nuova, che presenta nuove prospettive. Ma di questo conflitto non ne parlerà nessuno. Delle paure di fermarsi, di perdere un giorno quel primo posto. Per chi oggi, mi piacerebbe sapere quali sono i sentimenti di Jjokovic, di chi ha cercato fino all’ultimo di combattere anche l’età stessa per non fermarsi. Perché forse queste storie hanno tutte un comun denominatore: non mollare mai. Nemmeno quando le luci man mano si spengono. Anche quando i bambini sostituiscono il tuo poster con quello del nuovo idolo. Quando rimani solo davanti allo specchio. Quando è a te stesso che devi spiegare che bisogna cambiare pagina. Quante volte ci capita di non voler accettare che una parte della nostra vita si è chiusa e che bisogna iniziarne un’altra. E magaru accade proprio nel momento in cui quel primo posto viene raggiunto. Come un ironico paradosso, in quello istante diventa più chiaro che non bisogna mollare mai.