D’amore non si muore

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D’amore non si muore. È un detto che ci hanno ripetuto tante volte e che in fondo credo sia vero. Ma d’amore si scrive, perché è quella sofferenza che anima le canzone, risveglia le parole di un romanzo, colora i ricordi con i chiaro scuri di una musica leggera. Le gocce sulle finestre, in cui la pioggia diventa lacrima. Un saluto, quello dopo il quale non ci si vedrà più dopo aver condiviso una vita. Quel momento non è un attimo qualsiasi, va impresso nella mente. Perché, che lo si voglia o meno, è quello che accadrebbe naturalmente. Per questo bisogna farsi forza e trovare la forza proprio in quelle sensazioni. Ma chissà perché poi quando si parla d’amore si racconta delle emozioni negative, eppure la felicità fa molto più rumore. Quel rumore che la musica trasforma in melodia. Perché d’amore non si muore, si urla, si piange, si ride. Si scrive, semmai. Soltanto il silenzio riesce a fare davvero male, quindi, quando ne avrai bisogno, lascia che le tue parole corrano da sole. La libertà è l’unica strada per quelle sensazioni, il resto verrà poi da sé.

Errori

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Quanti sono gli errori che non rifaresti, che lasceresti naufragare tra i giorni trascorsi. Eppure non puoi farlo, impari a conviverci. Anche quando continuano a fare male. Siamo esseri umani, prevedibili, superficiali, poco furbi, ma è forse il nostro lato migliore. È la nostra natura a renderci così, speciali. Ed è così anche credi che non sia così. Quanti momenti bui hai avuto, in cui tutto sembrava fermarsi. Quante volte credevi di non farcela, e poi, magicamente, ci sei riuscito. Chi saresti se quel giorno ti fossi ritirato, se avessi scelto di non combattere? La verità è che sono ferite a far crescere, a far scoprire quella forza quando credevi di averla esaurita. E non è tanto una questione di sognare, la vita spesso è fatta di piccole cose. Quelle grandi e irraggiungibili ci servono fino a un certo punto. Ma quando mi sono trovato su un palcoscenico a cantare una mia canzone, non ho pensato all’idea che avevo di me, al raggiungimento di un obiettivo, ma alle parole che in quella canzone parlavano di una donna. Perché in quel momento era quello che aveva davvero un valore. La prima volta che mi è successo ricordo che dimenticai tutte le parole e fui costretto a improvvisare. L’esibizione venne una porcheria, ma è solo grazie a quell’errore se ho continuato a cantare, a scrivere e a pensare che le parole sarebbero state per me così importanti. Quanti errori che non rifarei, ma a quanti di questi posso solo dire grazie?

L’odore della gomma per cancellare

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L’odore di una gomma nuova. Le matite colorate, una bella penna. Quaderni, fogli protocollo. Settembre è il mese in cui si compra il necessario per tornare a scuola. Quegli odori vivono ancora in quelle cartolerie storiche, sopravvissuti alla tecnologia, alla rete, alla superficialità dei giorni nostri. Cambiano le immagini stampate sulle cartelle nuove, non quell’emozione e il timore disegnati sui volti dei bambini di fronte a una nuova avventura. Quando penso a quei momenti, a volte mi sembra ancora ieri. E invece sono passati tanti anni. Quell’odore un po’ sa di nostalgia, per quanto non tornerei mai a quei momenti. Ma si sa, siamo nostalgici e malinconici di fronte all’idea di quando ci sedevamo sulla sediolina, con il nostro banchetto davanti. Quando la cattedra sembrava enorme e le lavagne, muri invalicabili. Ma era anche l’inizio di una storia, le prime parole, le prime idee. I primi amori, se così vogliamo chiamarli. Ma tutto iniziava proprio dall’odore di una gomma nuova.

“La scrittrice del mistero” di Alice Basso

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Con “La scrittrice del mistero” Alice Basso conferma le sue capacità di creare storie che miscelano noir, commedia, ironia e una quantità spropositata di citazioni, letterarie e musicali. Un mix gradevole e leggibilissimo. La protagonista é Vani Sarca, così come nei precedenti romanzi, una ghostwriter che collabora con la polizia nelle indagini e in particolare con il commissario Berganza, con il quale ha appena instaurato una surreale relazione sentimentale. Non manca il triangolo con l’ex fidanzato Riccardo, scrittore di successo, che in questa storia vestirà una parte scomoda: è vittima di uno stalker. Il lavoro che il suo capo Enrico le affiderà sarà di collaborare con lo scrittore Henry Dark, una leggenda del thriller. Qualcosa lega Henry Dark a Enrico, insomma, una storia che si allaccia alle precedenti puntate creando suspence e garantendo divertimento e una bella scrittura tecnicamente perfetta. Assolutamente da leggere.

Il tempo dell’inquietudine di Jesper Stein

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Parliamo del romanzo “il tempo dell’inquietudine” di Jesper Stein. Si tratta di un thriller ambientato in Danimarca. Il protagonista è Axel Steen, un poliziotto che ha una fottuta paura di morire e che vive il disordine mentale provocato dalla fine del rapporto con la sua ex moglie Cecile e con la figlia contesa tra i due. Soffre di insonnia e per riuscire a dormire fa uso di hashish. La sua prima indagine riguarda la morte di un uomo nel cimitero di Assistens durante i disordini provocati dagli autonomi. Pesanti sospetti ricadono sulla polizia e a peggiorare le cose compaiono degli uomini dei servizi segreti del Pet. Traffico di droga, centri sociali, giornalisti disposti a tutto per scrivere un articolo e una serie di risvolti personali portano Axel a indagare su una donna con cui ha avuto una storia, lei è l’ex compagna della vittima. Questo lo metterà in cattiva luce con i superiori. Un noir intrigante anche se non velocissimo, trama con molti incastri e temi sociali. Interessante.

Prendersi troppo sul serio

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Prendersi troppo sul serio può essere un grande errore, perché è come guardarsi attraverso uno specchio distorto. Può succedere e per certi versi è naturale, ma alla lunga crea un’immagine di sé che differisce da quella reale. Ma soprattutto non consente di vedere il mondo dalla giusta distanza e con la lucidità necessaria. E in fondo siamo tutti esseri fragili, come cartoni che hanno trasportato migliaia di cose e che sono bucati e rattoppati. Al punto da chiedersi se potrebbero ancora servire a qualcosa. E forse quella è la loro forza, fare un viaggio in più. Contenere ancora cose, quando tutti lo davano per impossibile. Ecco, prendersi sul serio è non essere capaci di capire che cosa quel cartone possa davvero trasportare. È essere insensibili alle proprie sensazioni, prede di ambizioni che logorano senza lasciare niente. In una scatola può esserci di tutto, mattoni, libri, o forse solo una piuma. Il peso è relativo, non determina quasi mai l’importanza del contenuto.

Cambiare

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Cosa può cambiarti, nella vita, se non il guardarsi allo specchio e riuscire a vedere le tue rughe. Alcune puoi vederle, altre sentirle. Può cambiarti non tanto vederle, quanto accettarle. Ognuna di essere è una scelta, un errore. Un pensiero sbagliato. Trema la voce soltanto a dirlo, per questo quasi sempre si rimane in silenzio a contemplare uno specchio. Ed è facile illudersi che le gocce che ci scivolano sopra non siano lacrime.

Cosa serve per scrivere

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É inutile negarlo, le storie d’amore finite sono una delle motrici migliori per scrivere storie. Costruiscono quella base di malinconia da cui attingere quando si deve raccontare cosa prova un protagonista. Io credo che in un racconto sia come nella realtà, sono sensazioni che apparentemente si dimenticano, ma che in realtà costituiscono quelle ferite che tante volte frenano nel lanciarsi in nuove storie. Soprattutto quando si cresce e si fa largo una forma di cinismo leggera, come quella pioggia fastidiosa che in inverno non vuole smettere per giorni interi. Ma non c’è storia in cui il protagonista non subisca una trasformazione, capita così di cambiare idea e rivalutare ogni cosa e ricominciare da zero. Di ripensare a quelle ferite e rivederle come qualcosa di più vicino, come passi necessari per arrivare a destinazione. Proprio per questo non posso rinnegare le parole più amare che ho scritto, perché fanno parte di me, come tutti gli altri momenti vissuti. Senza di essi non sarei semplicemente io. Ed è inutile negarlo, sono proprio quelle storie quelle che fanno riflettere su tutta la propria vita. Così quella malinconia diventa musica, amore, rabbia e sangue. Tutte quelle componenti senza le quali sarebbe praticamente inutile continuare a scrivere.  

La sindrome del foglio bianco

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La sindrome del foglio bianco esiste. Racconta un mondo che non sempre si riesce a vedere e, al contrario di quello che si pensa, non riguarda solo gli scrittori, ma tutti noi. Le fasi della vita spesso spingono a muoversi in territori ostili, per muoversi servono energie, determinazione e forza d’animo. Ma capita a tutti, prima o poi, di rimanerne a secco. E non è facile ritrovarle, proprio perché l’operazione coincide con il ritrovare se stessi. Ci sono milioni di canzoni, libri e testi che raccontano come fare, io invece non lo so. Io credo che di fronte a un foglio bianco, si debba fare un passo indietro. Tornare al momento prima, alle sensazioni che avevi l’ultima volta che hai scritto. Spesso in quelle parole c’è la ragione. Ed è banale, detto così. Ma è molto più complesso di quello che sembra. I conflitti che abbiamo non nascono quasi mai da un giorno all’altro e spesso sono molto più profondi di quello che pensiamo. Senza necessariamente tornare alla nostra infanzia, possiamo immaginare chi saremmo se avessimo fatto alcune scelte. E queste cambiano davvero molto. Immaginate di suonare una bella melodia al pianoforte, una nota stonata si sente, una seconda inizia a provocare fastidio, alla terza si inizia ad avere delle certezze. Chi sta suonando, non lo sa fare. Ed è così come per le parole. Sceglierne una è semplice, due più complesso, ma quando si supera la frase si inizia a percorrere sentieri inesplorati. Proprio come nella vita. Le scelte sono quelle note, quelle parole. Quei sogni. Proprio per questo io credo che la sindrome del foglio bianco esista. Perché siamo esseri umani e arriva il momento in cui non si ritrova il coraggio di scegliere, di andare avanti, di sognare, di amare, di odiare. Molti si perdono. Capita anche ai più forti, ma vivere è vivere la necessità di accettare le proprie debolezze. Di capire di non essere forte come pensavi, di avere paura delle scelte che farai. Vivere forse è scrivere ogni giorno la prima parola su quel foglio. Un modo come un altro per combattere la paura.  

Non sono bravo a parlare d’amore

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Non sono bravo a parlare d’amore, il tempo, le storie che mi hanno circondato me ne hanno dato una visione distorta, riflessa in uno specchio che rendevano ogni cosa priva di una forma. Quando mi chiedono perché io non abbia mai scelto di raccontarne il lato più bello e disarmante, io resto a guardare l’interlocutore di turno e un po’ rimango deluso. Questo perché quelle stesse parole nascondono una profonda verità, ovvero che non ha letto tra le righe, tra le note, insomma oltre quella patina che appare a prima vista. Anche quando intorno le voci ti dicono che l’amore è un’illusione, dentro di te lo sai che non è vero. E lo sa chi come me dá un peso vero alle parole. Perché tra tutti gli specchi che restituiscono immagini distorte c’è sempre quella finestra, sporca, che si affaccia sul mondo vero. Ed è da lì che puoi vederlo e sentire cos’è, l’amore. È avere il coraggio, la voglia, la determinazione per muoversi tra gli specchi deformanti e luci psichedeliche per cercare quella finestra, che si affaccia sul mondo, che ti mette in comunicazione con te stesso. A volte capita, attraverso gli occhi di una donna.