Nel mondo parallelo

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Le giostre sono un mondo parallelo, fatto di luci, odori e sensazioni lontane dal quotidiano. Per questo tutti ne siamo stati attratti. Un po’ come l’illusione che possa esistere una dimensione diversa e più colorata di quella che conosciamo. E forse proprio per questo è proprio il luna park il luogo delle maggiori paura che quasi vengono cercate e volute, dalla stanza degli specchi, al giro della morte, alla casa degli orrori. Perché abbiamo bisogno di sperimentare i colori e il loro opposto. Perché noi, siamo così. Sfumature che cambiano e si mischiano. Brividi che fanno spazio a sorrisi. Ridate che hanno voglia di urlare. Rabbia, amore, solitudine, gratitudine e una gran bella dose di cinismo, perché, diciamolo, è proprio quella dose di fottuto realismo che può difendersi dalla realtà, dalle delusioni, e dal gioco scorretto con il quale tante volte dobbiamo confrontarci. Questo è ciò che siamo e sia da bambini che da adulti abbiamo bisogno di sfidare quel mondo parallelo, di imparare a viverci, anche a costo di metterci di fronte alla nostra paura più segreta, che spesso, è proprio quella di guardarci allo specchio e vederci imperfetti e deformati dalle nostre stesse emozioni.

Lo spettro degli errori

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È difficile dire se sia la vita o noi a cambiare, quello che è certo è spesso ci sentiamo satelliti che girano attorno a qualcosa che non conosciamo nemmeno vagamente. Meteore evanescenti che si cercano, si trovano e qualche volta si lasciano andare. Quante volte ci sentiamo in bilico tra quello che vorremmo essere e quel che siamo. E quante volte ne abbiamo paura. Gli spettri degli errori sono quelli da cui cerchiamo sempre di scappare, salvo poi renderci conto che solo sfidandoli possiamo cambiare e crescere. Pensare di rimanere sempre fedeli a se stessi forse è un’illusione, quando il punto di vista cambia, diventa inevitabile riequilibrare tutto e non saprei dire se siamo noi o la vita a cambiare tutto. Ma so che accade, so che spaventa, così come so che senza queste emozioni saremmo l’ombra di quello che siamo o vorremmo essere. E questa è la cosa che mi fa più paura.

Campana

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Si disegnavano sull’asfalto dei quadrati e dei numeri con il gesso e quello diventava il gioco perfetto. Il luogo in cui trascorrere ore e ore con altri compagni di gioco. Chissà se quel mondo esiste ancora, adesso che tutto è digitale, rinchiuso nei monitor. Nascosto in scatole segrete che chiamano server. Chissà se noi siamo ancora gli stessi, nonostante gli anni. Ora che sono i numeri a giocare con noi.

Puoi anche sbagliare strada

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Puoi anche sbagliare strada, ma questo non vuol necessariamente dire che sia perso. Questo posso dirlo ora, ma quando mi sono trovato in mezzo a tornanti sconosciuti, con carte che non riuscivo a leggere, non riuscivo proprio a vedere la situazione nello stesso modo. Forse dipende dal punto di vista. Quando parti e non sai bene dove stai andando e tanto meno perché lo stai facendo, ad accompagnarti c’è l’incoscienza, quella sensazione di assurda sicurezza di qualcosa che nemmeno conosci. In quel momento la strada da percorrere è un mezzo per scoprire chi sei. Lo capirai dopo, che grandi davvero forse non lo si diventa mai davvero. Ma lì per lì ha bisogno di andare. E di ritrovarti in mezzo a quei tornanti, solo, senza saper dove andare. Perché, dopo quell’attimo di doveroso sconforto, forse anche paura, arriverà il momento di lucidità e riprenderai la strada, magari chiederai, forse la troverai da solo. Ma di certo quello non vorrà dire esserti perso, ma solo ritrovato.

Fuori dai monitor colorati

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Tutti chini su un monitor colorato. Sono le cinque del mattino. E non riesco che a sentirmi solo. Le briciole di umanità sparsi per terra, alla ricerca di qualcosa che ho dimenticato. Spettri, abbandonati alla routine.
Specchi, che non riflettono che ombre.
Vagano, inconsapevoli.
Allungo lo sguardo su uno di quegli schermi colorati di bianco e blu. Vedo un’immagine e mi ricorda qualcosa, improvvisamente. Era questa stazione, tanti, tanti anni fa. Quando i muri non erano scrostati, le facce pallide. Quando tutto non era così silenzioso, coperto da un motivetto creato da un computer. Sento il bisogno di uscire da qui, tanto da qui non partirà alcun treno. Chiedo a un tizio di indicarmi l’uscita. A fatica tira su lo sguardo. Sento mancarmi il respiro quando mi accordo che è spento, vuoto. Lontano. Mi muovo velocemente, ma una via d’uscita non c’è.
Mi guardo intorno, sono tutti chini su un monitor colorato che racconta un mondo che non sono più in grado di vedere. Né di creare.

La solitudine è un gioco di squadra

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La solitudine è un gioco di squadra. E me ne accordo quando guardo i gruppi di ragazzini. Anche se ormai non ci facciamo più caso, un po’ defilato ce n’è sempre uno che è vestito in modo diverso, meno curato. Ascolta la musica e ha lo sguardo basso. Se poi faccio più attenzione, mi accordo che i ragazzi nel gruppone ogni tanto lo indicano. E ridono. Chissà a cosa pensa quel ragazzo solitario, o forse lo so, perché tutti noi, prima o poi, nella vita, siamo stati o saremo quel ragazzo. E lo capiremo, che la solitudine è un gioco di squadra.

Un altro passo

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Salire lungo un sentiero è una fatica immensa. Soprattutto quando il cervello non vuole farlo. Noi siamo umani. E le mani cercano altre mani. Ma alcuni di noi sono più bravi a perdersi nei boschi, a ritrovare la strada per tentativi. Per luoghi disarmanti. E disarmati, proseguire nella corsa. Ma è l’aria, quella che comanda. La fatica è un concetto relativo, quando non si può farne a meno. Ma il sentiero ci ritroverà. Stanchi, sudati, ma pronti a un altro passo.

Siamo normali

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Siamo normali, quando vogliamo allontanarci da un mondo di paillette e stories su Instagram. Restare in silenzio a guardarci dentro, senza scattare foto, senza immortalare alcun momento. Soltanto restando soli con noi stessi. Nella corsa contro il tempo, abbiamo bisogno di perdersi, pur restando in piedi. Pur continuando a sognare di avere ancora qualcosa da dire, senza cercare ossessivamente chi ci ascolti. Quando senti l’emozione salire, far vibrare la pelle dall’interno, sentir salire il magone, poco prima di aver bisogno di bloccare quella lacrima. E questo non potremmo permettercelo, perché nel nuovo mondo deve essere tutto perfetto, positivo, invulnerabile, condivisibile. Buttano il gettone, pretendono il nostro lato migliore. Ma noi siamo normali, non abbiamo interruttori. E spesso abbiamo paura, paura di non aver più niente da dire. Si sentirci tremare quando non troveremo le parole, o quando nasceranno, timidamente, lentamente, senza clamore. Quando saremo soli e le parole che avremo il coraggio di dire, ci emozioneranno ancora.

Solchi

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Trascina via gli occhi.
Questo non è un posto sicuro.
Solchi inevitabili,
Scritte sporche sul muro.
Siamo insospettabili,
perché abbiamo paura.
Porta via le cose inutili,
i vestiti non coprono l’anima.
Taglia i ponti.
Distruggi le lettere.
Cancella i ricordi.
Resterà poco, forse.
Eppure sei soltanto quello.

Passione violata

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Niente brucia più di una passione violata. Siamo quello che vorremmo essere. Lo spettro delle immagini proiettate in un futuro che somiglia ai nostri sogni. Ma la vita è più pratica. Un congegno a orologeria pronto a stupire o a deludere, forse dipende dal tempo. O dalla luna. Cambiamo, perché è inevitabile. Instabile è la determinazione nel mantenere una rotta in mare aperto. Un vento che trascina via ogni cosa, la vita. Ma quella ferita resta lì, nessuna cicatrice la potrà mai coprire. E niente potrà mai bruciare di più della passione, violata, dimenticata, sporcata. Delusa.