Bourne Affaire di Robert Ludlum – Eric Van Lustbader

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Bourne Affaire di Eric Van Lustbader, l’autore che ha proseguito la saga ideata da Robert Ludlum, è un thriller che sfocia nel romanzo di avventura. Bourne è sempre un personaggio affascinante e in questa avventura si ritrova nel bel mezzo di un intrigo internazionale che ha per attori Nsa, Cia, mafia russa. Al centro un potente virus informatico che sta per essere messo all’asta tra le realtà più oscure del mondo. Dal Corno d’Africa agli Stati Uniti, fino alla Russia, in una corsa contro il tempo per fermare l’asta. Bourne e Mala creano una strana affinità, mentre spie e agenti seguono le loro mosse. Il progetto Bourne sta per essere attivato e solo Bourne sembra possedere la chiave che il suo amico Karpov gli ha lasciato prima di morire. Un romanzo non proprio originale, ma sicuramente avvolgente e leggibile.
#bourneaffair

Proprio come le maree

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La luna influenza il mare. Basterebbe questo per guardarla con un certo rispetto, ma in fondo non credo che sia questo che desidera. Lei è poesia, sogno, ma anche malinconia. É quel velo di mistero, perché sappiamo che nasconde qualcosa. Ma non possiamo non continuare a credere in lei, che possa ascoltarci quando abbiamo paura e tutto sembra più difficile. Che sappia capirci, come un’amica paziente, pronta a sbronzarsi con noi fino all’alba, quando tutto sembra più chiaro. Anche dentro di noi. Ma non è sempre positiva, la sua influenza. Spesso sa rivelare il nostro lato più oscuro, che, come lei, tutti abbiamo. Ma per chi ama il mare è normale, subirne il fascino. Lasciarci andare e seguirla, per poi tornare indietro. Proprio come le maree.

Perdere l’equilibrio

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Un filo che corre da lato a lato, attorno spalti pieno, dentro a un contenitore colorato. E io che metto un piede davanti all’altro, in bilico. Le risate e i sospiri mi deconcentrano. Ma devo proseguire, perché non vi è alcuna rete a difendermi dagli errori. L’equilibrio è qualcosa di relativo, quando anche solo un respiro può fartelo perdere. Perché io bisogno di aria. E i miei silenzi non dureranno abbastanza. Quando arriva il momento della tua esibizione, tutto si ferma, ma non il cuore, lui impazzisce. Sono a metà del filo, il mio peso mi spinge più in basso. E ora tocca risalire. Un altro passo. Una goccia di sudore sta per scivolare giù dalla fronte. Basta così poco per perdere l’equilibrio.

Il giorno zero

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Il giorno zero è quel momento in cui tutto ritorna al punto di partenza. Quell’attimo in cui la tua mente torna in quell’esatto punto in cui tutto è cambiato. La vita è formata da una serie di eventi, casualità, scelte, ma uno di questi fattori determina la chiave di svolta ed è quella a cui pensiamo quando vogliamo fare il punto della situazione. Ma facciamo un passo indietro. In genere si riparte da zero dopo grandi delusioni o periodi difficili, a seguito del quale si ha bisogno di resettare tutto e provare a rimettere tutto in discussione. Da quel momento in poi è come trovarsi davanti a uno scambio, lasciare per sempre i binari per intraprendere un nuovo tragitto. Eccolo, il giorno zero. Quello sarà il momento a cui tornerà la mente per ripercorrere gli ultimi avvenimenti o quando questa nuova strada porta in un vicolo cieco e abbiamo bisogno di tornare indietro per capire dove abbiamo sbagliato. Sembra un percorso difficile eppure è quello che facciamo tutti i santi giorni e su diverse cose. Il nostro è un cervello complesso, difficilmente siamo in grado di capire le sue strategie, quello che possiamo fare e cercare di capire gli eventi che in qualche modo ci cambiano e che non potremo mai davvero tornare al momento prima in cui siamo cambiati. Per quanto ci si possa sforzare quel fenomeno è inevitabile. Cambiamo ogni giorno. Ogni momento può essere ed è il giorno zero. Ogni momento può essere ed è quello giusto per ripartire.

Perdonami

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Perdonami. E lo dico a me stesso, quando mi ingozzavo di cibo fino a star male e quando smettevo di farlo per giorni, per punirmi di non essere ciò che avrei voluto. Il male di vivere spesso si nasconde nelle cose più insignificanti. Ed è sempre complesso rendersene conto, ci vorrebbe una grande osservazione di se stessi e nessuno di noi ne ha le armi, soprattutto quando si è ancora piccoli. Quando si osserva dai bordi del campo il proprio compagno di squadra essere atletico e velocissimo col pallone. Quando si sceglie di rimanere in panchina perché non ci si ritiene in grado di fare altrettanto. Quando è il campo a condannarti alla panchina. Quando sono gli altri a fartelo notare. Quello che nessuno dice mai è che fa male. Molto male. E quello che nessuno ti dirà mai è che dal non riuscire ad accettarsi se ne esce con molta fatica e tanto coraggio. E questo non tutti riescono a trovarlo. Molti rimangono ombre. Immagini riflesse e deformate, sogni che rimangono a metà. Quando ci penso non posso che dirmi una cosa: perdonami. Per quello che hai dovuto patire per reagire a tutto. Costruirti l’aggressività necessaria per non farti calpestare, crearti la rabbia come combustibile per reagire alle ingiustizie della vita, per averti costretto a fare tue le disillusioni, perché così saresti più capace di non farti travolgere. E poi per aver avuto pazienza, perché aver tenuto in tutto questo l’anima a riparo da tutto, pronta a riprendersi il suo posto, facendola allenare duramente, perché potesse abbandonare la panchina e tornare in campo più forte di prima.

L’anticamera del fallimento

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A chi non è capitato di conoscere qualcuno che ha scritto un libro. Ormai è diventata la moda del momento. Un po’ perché i modi di pubblicare sono molti, un po’ perché l’esibizionismo è diventato un “must”. Mi chiedo tante volte se davvero ci siano ancora storie da raccontare. Da lettore mi capita ormai troppe volte di leggere libri che mi sembrano tutti uguali, tutti che partono con la presunzione di voler raccontare qualcosa di innovativo e poi scopri che è il solito formato trito e ritrito e già proposto in mille salse. C’è sempre una componente stilistica che può differenziare le proposte, ma resta il fatto che trovare una storia veramente originale sia quasi impossibile. La cosa forse più triste è quando riesci a identificare lo schema costruito a tavolino per emozionare, si tratta di una scelta oculata di eventi, parole e reazioni tali da portare il lettore a provare un certo tipo di emozione. Quelli bravi riescono a camuffare lo schema, altri, invece, cadono in pieno nel mostrare, oltre alla storia, il meccanismo. La verità è che non è affatto semplice risultare originali e forse non lo è nemmeno sentirsi tali, in un mondo in cui ognuno di noi vorrebbe essere qualcun altro. In cui quello che mostri, quasi sempre è diverso da ciò che sei. E chissà che non sia proprio per questo che tutti vorrebbero scrivere un libro: per raccontare ciò che si vorrebbe essere davvero. Anche se questa può essere l’anticamera di un fallimento.

Canzoni scritte al bar

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Canzoni scritte al bar, al riparo da occhi indiscreti. Io non ero solo, mai con le mie parole. La musica in sottofondo. Qualcuno ordina un caffè, il mio era sempre già freddo. Una donna osserva il suo cellulare, come in attesa di un messaggio che non arriverà. La ricerca di una rima, poco prima che fuori iniziasse a piovere. E di scoprire che avevo dimenticato l’ombrello un’altra volta. Consapevole che camminare sotto la pioggia mi avrebbe fatto sentire vivo. La barista mi osserva, chissà cosa pensa. Ogni tanto guarda fuori dalla vetrina, forse in attesa di qualcuno che non è ancora arrivato. Forse immagina un mondo diverso da questo, di sposare quell’uomo sfuggente, di fare un figlio con lui. E magari tornerà a casa da sola. Come ogni sera. Queste sono le canzoni che nascono in un bar e che mi racconto poco prima di andare a dormire.

Memoria collettiva

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La memoria collettiva ci fa diventare un mostro, oppure l’esatto contrario. In poche parole, anestetizza le nostre idee individuali. Per certi versi agisce da lenitivo per gli eventi negativi, se non quando amplifica gli effetti di quelli positivi. Noto sempre più spesso che i social possiedano una grande potenzialità, quella di creare una memoria collettiva. Questo accade grazie a una strumentale e continuata opera di dissuasione dalla realtà, per quanto la storia stessa sia un punto di vista. La ricostruzione sistematica degli eventi genera una storia alternativa, quindi, di fatto, un’altra realtà possibile. Il tema è sempre il solito, chi ha interesse, nel fare cosa. Proprio per questo dobbiamo sempre fare attenzione quando esprimiamo un parere o un pensiero, non perché non sia giusto farlo, ma perché potrebbe essere, inconsciamente, il frutto di una nuova memoria collettiva in fase di costruzione. Potremmo aver anestetizzato un altro pensiero nato liberamente. E che magari abbiamo taciuto. Non si tratta di difendere uno o un’altro punto di vista, ma la libertà, non solo di opinione. Perché se non ci riflettiamo adesso, domani potrebbe essere tardi. E potremmo essere noi stessi il mostro, anche quando penseremo di essere il suo contrario.

Senso di colpa

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Con il senso di colpa, si convive. Ed è normale, perché di errori, diciamolo, ne abbiamo fatti proprio tutti. Quello che tante volte sopportiamo è il cambiamento in funzione dei nostri di sensi di colpa per la mancanza di coraggio di “perdonare” se stessi per quegli errori. Quante volte siamo più cinici con noi stessi, piuttosto che con gli altri, troppe, forse. Quello che dimentichiamo è che i sensi di colpa non sono semplici soprammobili messi lì a prendere polvere, ma oggetti animati che agiscono dentro di noi, appunto, cambiandoci. Tante volte mettono in piena luce le nostre paure, relegando a comprimarie altre caratteristiche, come la voglia di rischiare, di mettersi in discussione. Certo, anche accettando gli errori fatti, non svaniscono mai del tutto, ma si crea una forma di convivenza e chissà che dai sensi di colpa e dagli errori non si possa imparare ad essere meglio di ciò che siamo stati.

Perdersi

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Io li ho sempre capiti quelli che a un certo punto della loro vita si perdevano. Erano i tempi dell’alcol e delle prime droghe. Quelli che iniziavano a odiare il mondo costruito e perfetto che gli altri mostravano senza pudore. E lo capivo perché avevo assaggiato il veleno, la rabbia, il rancore. Quando non fai parte dei circoli e delle élite inizi a conoscere il mondo terreno, quello fatto di piccole rivalse, ripicche, sofferenza e soprattutto quello che provoca un male silenzioso: la rassegnazione. È in quel mondo che nasce e cresce la voglia di scappare da tutto. E le strade non sono poi molte. È un falso bivio quello che ti chiede di scegliere tra combattere o lasciarti andare. In tutti e due i casi devi scontrarti con il lato oscuro. Tutto diventa grigio, incolore e ti senti perso. C’è chi si perde nel non mangiare, chi nel bere fino a star male, chi si droga fino a perdere completamente la propria anima. Strade diverse, ma simili. Era un mondo spietato. È un mondo spietato. Un film che viaggia a velocità diverse a seconda della prospettiva, del luogo di nascita, delle possibilità. Così anche la felicità può diventare un punto di vista. O, peggio, un punto lontanissimo. Irraggiungibile. Per ribellarsi e rialzarsi ci vuole un coraggio che non sempre si ha, perché nel nostro mondo chi è diverso viene semplicemente emarginato, se non definitivamente annientato. Ed è per questo che si nascondono i lividi, le ferite, sia fuori che dentro. Perché tutto quello che fa riflettere o pensare, spaventa. Io li ho sempre capiti, quelli che si perdono. E non starò a dire che per non perdersi non basta la determinazione, la forza di volontà e tante volte nemmeno il coraggio. Ognuno di noi si porta dentro quel mondo, magari nascosto in profondità, magari è il combustibile che spinge a scrivere.