La distruzione del pensiero

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La polarizzazione distrugge ogni forma di pensiero.

Lacera ogni forma di moderazione.

Spinge ogni concetto verso l’estremismo, il che non è mai un bene.

La guerra e la pace sono le due facce di una stessa moneta, che resta faticosamente in equilibrio.

Questo perché la storia è ciclica.

E perché racconta sempre una sola parte di una sola delle tante verità.

Ci sono le idee.I punti di vista.E la cronaca di una realtà.

Negarne gli effetti sarebbe un grande errore.

Osservare dovrebbe servire a riflettere.

Per farlo non è sempre sinonimo di schierarsi, ma di comprensione dell’evento stesso.

Fino ad arrivare alle cause.

Questo per dire che nel conflitto in Ucraina ci sono tanti fattori: la storia, l’economia, i legami, la politica, la geopolitica, la geografia e potrei andare ancora avanti.

Io non credo si possa essere contemporaneamente esperti in tutte queste discipline.

E non lo penso nemmeno dei luminari che ogni giorno riempiono i palinsesti televisivi.

Pertanto penso che non ci sia niente di male nel sentirsi in difficoltà nel capire questi fenomeni.

E che, essendo per natura complessi, non possano essere magicamente semplificati da santoni da salotto.

Lol, chi ride è fuori

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Potrei parlare di geopolitica, di idrogeologia o di rivoluzioni culturali, ma oggi si parla di un programma di grande successo di Amazon Prime: Lol, chi ride è fuori. Un programma che prevede di chiudere per sei ore in un teatro dieci comici che per vincere devono rispettare un’unica regola. Non ridere. Fin qui il gioco potrebbe sembrare semplice, ma non lo è quando nel cast ci sono esponenti della comicità di tutte le ultime generazioni, con modi e tempi diversi nelle battute, con mondi diversi, da chi proviene dalla realtà social, come Frank Matano, che con gli scherzi ci è nato  chi dalla scuola Guzzanti, chi dal cabaret e avanspettacolo come Lillo, chi dalla scuola Zelig, come Pintus, fino ad arrivare alla nuovissima scuola del Comedy Central come Michela Giraud e Luca Ravenna e del The Jackal, per arrivare alla comicità storica e surreale di Elio. Una miscela che non può non risultare esplosiva e toccare livelli di spontaneità dell’antico Mai dire Gol. Insomma, un programma di intrattenimento leggero, ma che si allontana dalla finzione che vuole sembrare tv verità. Forse questo punto segnerá un vero spartiacque tra la tv per come la ricordiamo e quella delle piattaforme, che entrano pesantemente e prepotentemente nel varietà e nel costume. Ebbene, sì, mentivo. Sto parlando di una rivoluzione culturale.

Spara, spara e salva il mondo

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Una nave cargo bloccata nel Canale di Suez, una pandemia mondiale, una corsa al.vaccino che ricorda una grande partita s scacchi. Ci sarebbero le basi per un thriller “spara, spara e salva il mondo”, come una blogger ha definito un mio romanzo, se non si trattasse della nostra vita. La geopolitica è sempre stata vista.come un tema meno importante perché poco verosimile, eppure la nostra storia è da.sempre appesa a un filo di equilibri economici e di poteri molto più grandi di noi, da un mercato delle informazioni che corre molto più veloce degli influencer. La rete non è la liberta, ma un circuito che ci controlla con più facilità. Anche chi pensa sia la manna dal cielo per la libertà di espressione non si rende conto che sia il bavaglio più efficace, regolato da algormi e banche dati che sanno chi siamo, molto meglio di noi. Per questo preferisco analizzare ciò che accade e giocare a trovarne una storia che possa raccontarne un punto di vista. E chissà, forse potrebbe essere molto più verosimile di tante saghe familiari più simili alla fantascienza.

Ph: dalla rete

Virologi in cerca di autori

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Come consulente dovrebbe affrontare il tema con il Ministro nelle sedi corrette, non parlare pubblicamente in questo modo. Questi personaggi dimostrano solo di non essere adeguati al ruolo che ricoprono, soprattutto in un contesto delicato come quello che stiamo vivendo.

Crisanti: “Chiudere 3-4 settimane in maniera drastica stile zona rossa di Codogno, e fermare ogni forma di pendolarismo, anche quello degli studenti, che è una fonte di diffusione del contagio da Sars-CoV-2 molto pericolosa”.

Vale lo stesso discorso fatto per Ricciardi. Ma il tema è un altro, cosa vogliono dire questi signori, che queste “varianti” del Covid ci stanno riportando alle condizioni di un anno fa? No, perché é quello che stanno facendo.  Seconda impressione, Crisanti si sta proponendo come alternativa a Ricciardi. In tutti questi casi penso che questi signori non siano adatti a questo tipo di ruolo. Parlano troppo e con il pubblico sbagliato.

Parliamo di Dad, didattica a distanza

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Ma parliamo di Dad, didattica a distanza.
Continuo a leggere articoli il cui senso è “è stato tempo perso”. In questi mesi ho potuto vedere da vicino il dietro le quinte della Dad, come sapete Anna è un’insegnante delle scuole superiori. Ho visto tenere vivo il corso con dedizione e passione per l’insegnamento e volontà di dare un contributo serio nello sviluppo della preparazione dei ragazzi. Partiamo dal presupposto che la dotazione informatica partiva già da un buon livello, cosa che non si è potuta sempre dire per le scuole, comprensivamente non pronte a gestire un traffico dati così importante, parlo del traffico dati necessario per garantire videoconferenze per tutte le classi. Ma questo è un altro tema, di gestione, così come i trasporti. La Dad è stata affidata alle singole competenze e risorse dei singoli insegnanti. Non si può pertanto condannare chi non era nelle disponibilità di competenze e risorse informatiche tali da gestire questo tipo di comunicazione. Tanto meno Regioni e Ministeri, a meno che non lo si voglia fare per la gestione priva di lungimiranza degli ultimi venti anni. E qui ci sarebbe molto da dire. Ma torniamo alla Dad, ho visto dei ragazzi seguiti, che hanno ricevuto contenuti inediti, informazioni in tempo reale, sostegno. Cosa difficilmente replicabile con classi divise tra presenza e distanza. Troppa confusione nelle scelte, troppe liti politiche, che per poltrone, capitalizzazione dei consensi, voglia di spartire i soldi dei finanziamenti europei, che gratis non sono, passano sulle vite dei ragazzi. Questa non è politica, non fa venire voglia di andare a votare, ma anzi. Il futuro non si costruisce con gli slogan, ma con i fatti. Ma esperti in slogan ce ne sono fin troppi. Servono fatti e chi li sa mettere in pratica per risolvere problemi. E non per crearne di nuovi.

Ph: Unsplash

#nextgeneration o #pastgeneration?

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Da ormai un po’ di anni la politica sembra vittima di un “nuovismo” misto a populismo che non son solo non ha nulla di innovativo, ma che sembra averci ricatapultati nella prima repubblica. Ex rottamatori, ex riformatori, ex leader, ex scambisti di ruoli a parlamento, ex comunisti padani statisti, sono tutti impegnati in un’unica missione: spartirsi i soldi europei (debiti, in realtà) per l’ennesima regalia da capitalizzare alle prossime europee. Un governo ormai latitante che non da i numeri, ma i colori. Un’emergenza gestita in modo improbabile e la mancanza di progetti seri fanno il resto. Continuo a chiedermi perché l’Italia debba essere sempre e solo la culla delle pretese senza mai fare un solo passo in avanti. Di chi con un piccolo potere è in grado di piegare anche solo l’illusione di poter cambiare qualcosa. Di innovare, per esempio. Di chi ha interesse a lasciare sempre tutto così com’è, perché solo così può giustificare la propria esistenza.
La politica dovrebbe servire a gestire fasi di cambiamento, non a spartirsi torte. Quella era la prima repubblica. Ma, era?
#pastgeneration

Photo by Unsplash

Steve Bannon arrestato, cosa vuol dire?

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Steve Bannon è stato arrestato per frode fiscale. Detto così potrebbe non interessare a nessuno, se non fosse che si tratta di uno stratega politico che ha mosso le pedine negli ultimi anni. È colui che ha lavorato alla campagna politivadi Trump, ma anche di diverse realtà politiche italiane, come Movimento Cinque Stelle e Lega. In poche parole è uno degli ispiratori dei movimenti “sovranista”, ma la domanda che lascio è questa, può essere un caso che questo stia accadendo a pochi mesi dalle elezioni presidenziali americane, in cui si giocherà, appunto, la riconferma di Trump? Potrebbe essere un indizio per capire che è in corso una rimodulazione degli equilibri politici e che il “sovranismo” non rappresenta più “la moda del momento”?

Phot by The New York Times

Ce n’è o non ce n’è “Coviddi”?

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Quando leggo le polemiche che riguardano l’uso delle mascherine, non posso che sentirmi sconfortato. Ma partiamo dal principio. La mascherina è un D.P.I., Dispositivo di Protezione Individuale, serve a mitigare i rischi di contagio in una fase delicata come quella che stiamo vivendo. Risolve il problema al cento per cento? Certo che no. Ma il suo utilizzo fa parte di un piano che prevede il distanziamento sociale come prima precauzione. Problema risolto? Ovviamente no, e non può che essere così quando si parla di mitigazione del rischio. Il tema delle polemiche va ben oltre, si nega l’esistenza del virus. In realtà il tormentone ormai noto “Non ce n’é Coviddi” nasce da una battuta di un cittadino fatta durante un’intervisita , utilizzata poi per colpevolizzare i più giovani, colpevoli, secondo i media, di far riprendere i contagi.
La gestione di un’emergenza come questa passa attraverso azioni reali volte a mantenere funzionale il sistema sanitario, nonostante la crisi. Ed è per questo che è necessario continuare ad attuare meccanismi di mitigazione del rischio di contagio. Con buona pace dei santoni, virologi super star in astinenza da telecamere, tuttologi.

Personalmente mi affascina poco il tema di apertura o chiusura delle discoteche, è un’attività che nasce come centro di aggregazione, trovo un controsenso il concetto di distanziamento in un luogo così. E capisco che ballare con la mascherina sia impensabile. Forse quel tipo di attività non doveva essere riaperta, per analogia con quanto fatto per i concerti.

Personalmente non penso che centinaia di persone che si svegliano e si alleano sui social per auto convincersi di qualcosa possano essere definiti “la vera informazione”. Penso che si debba ragionare con la propria testa, penso che molto giovani siano percettamente capaci di farlo, così come credo che faccia comodo pensare che non lo facciano.

Il tema importante in tutto questo marasma di problematiche resta l’apertura delle scuole, anche come indicazione sicura nei confronti dei più giovani. Per dare un segnale che la scuola è il pilastro sul quale si fonda la nostra società, non può e non deve essere percepita come qualcosa di meno importante del turismo, del commercio e addirittura del divertimento. Questo sarebbe l’errore più imperdonabile. Ed è già stato fatto. Da tutte le parti politiche.

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La sete di giudizio

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Continuo a pensare che i social rappresentino un canale in grado di raggiungere moltissime fasce di popolazione, per certi versi in modo più profondo della televisione. Inevitabile che si cerchi il modo di influenzare e rendere i messaggi sempre più targhettizzati. Siamo chiari, il tanto temuto “tracciamento” parte dal reciproco controllo tra utenti, dall’analisi delle cose che piacciono o che non piacciono, dalle reazioni, gusti, luoghi frequentati. Uno studio così fedele e anche a noi serve, ma che ci pone in una condizione di essere nudi di fronte a questa nuova tecnologia. I protocolli di tracciamento, il misterioso e fantomatico 5G, viaggiano in quest’ottica di inevitabile assueffazione alla tecnologia. Io non potrei farne a meno, lo sapete. Ma sono solito ripetere che io sono nato nell’epoca del vinile, pertanto ho la fortuna di aver visto la mutazione della tecnologia analogica in quella digitale e averne apprezzato pregi e difetti di entrambe. Lo “spionaggio” è sempre esistito, seguiva solo regole diverse, ma oggi siamo noi a desiderare di essere spiati, a voler far sapere agli altri chi siamo e cosa facciamo, convinti che sia un modo efficace per farci conoscere e facendo finta di non sapere che ci stiamo esponendo solo a essere giudicati. In fondo si tratta di una forma di dipendenza, quella che ci lega a questo mondo virtuale, quella che ci impedisce di scomparire e vivere la vita serenamente e senza ossessionarci nel cercare pareri altrui o scriverne di nostri. Io me lo chiedo spesso perché continuo a comunicare, a chi sto parlando, se chi penso mi stia ascoltando lo faccia poi veramente. E la gran parte delle volte non trovo delle valide risposte, nel tempo il pubblico dei social è cambiato, si sposta da una piattaforma all’altra, sparisce perché si è annoiata. Perché mi pongo queste domande? Perché scrivo da sempre i miei pensieri, semplicemente perché mi piace farlo, ma chi scrive deve avere un motivo, dice Liga, ma anche un lettore. A volte, però, mi sembra di essere solo giudicato, più che letto. E so che questo è parte del gioco, ma riesco a sopportarlo sempre meno, questo perché non ci sono dialoghi da fare, si tratta solo di una condizione da subire. Questo non può essere un modo per comunicare in maniera trasparente. Non può che portarci a mettere in scena un programma che rappresenta ciò che gli utenti dei social vogliono sentire. Non ciò che si pensa. Ed è qui che nasce la targhettizzazione, l’influenza, in qualche modo il controllo. Dalla sete di giudicare.

Se io, un giorno. Un pensiero su Silvia Romano

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Semmai nella mia vita io scegliessi di andare a prestare servizio in una parte pericolosa del mondo semplicemente, per i più svariati motivi, ma soprattutto per migliorare la situazione di chi sta peggio di me, se venissi rapito a scopo di riscatto, se fossi costretto a subire le peggiori cose da parte degli aguzzini, se le violenze fossero fisiche, psicologiche, o entrambe, se questa condizione perdurasse per anni. Se mi trovassi talmente in crisi che per salvarmi la vita sentissi la necessità di non urtare chi potrebbe uccidermi da un momento all’altro, io rimarrei comunque un cittadino italiano e, dentro di me, continuerei a sperare che il mio paese stia facendo tutto il possibile per venirmi a salvare. Anche trattare la cifra imposta per il mio riscatto. Perché la mia vita dovrebbe valere meno perché ho scelto di aiutare il prossimo? Perché dovrei essere considerato diverso se scegliessi di convertirmi a un’altra religione? Il nostro è un paese laico, non cristiano, non cattolico, non islamico, non ebraico, non buddista. É laico. Ciò che ha vissuto quella ragazza noi non possiamo saperlo. Ma parliamo di una cittadina italiana che aveva dei sogni. E, con tutta la mia sincerità, spero non sia stata costretta a perderli percorrendo una strada dell’inferno.