Intervista a Elena Piastra, giovane assessore all’innovazione della Città di Settimo Torinese

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La politica è un’arte e come tale è giusto affrontarla. Ci sono confini sfocati, tecniche da utilizzare e spesso chiaro-scuri a noi incomprensibili. L’attuale situazione politica italiana deriva sia dalla storia del nostro paese, sia dall’attualità che abbiamo imparato a conoscere e che spesso ha superato la nostra immaginazione. Nel bel mezzo di una crisi economica, ma che di valori e principi, il nostro paese sta cercando la strada giusta. In 150 anni di storia il nostro paese ha superato guerre e tensioni di ogni genere, perdendo sempre un po’ di sé o, semplicemente, non crescendo mai davvero, così tra intrighi, giochi sporchi e inquietanti connubi tra politica ed economia siamo giunti ai giorni nostri e questa crisi. Proprio in questo momento è importante capire cosa sta accadendo, quali sono le idee della politica per creare un’Italia nuova, con una coscienza. Ed è proprio per questo che abbiamo deciso di porre alcune domande a un giovane politico italiano con idee e voglia di fare: Elena Piastra, assessore all’innovazione della città di Settimo Torinese, una realtà con origini antiche, prima città delle penne, poi dell’industria e che ora apre il suo universo alla cultura, anche grazie alla nuova biblioteca multimediale. Il suo curriculum lascia trasparire l’attitudine al lavoro e all’impegno: da barista a professoressa di scuola superiore e ora concreta speranza di una nuova politica.

1. Quali sono le idee vincenti per trasformare la politica vecchia e stanca che ha portato il nostro paese a questa crisi di idee e valori?

Non so quali idee possano essere vincenti, ma intanto credo che occorra avere idee. Nel senso che occorre pensare a un modo nuovo per risolvere un problema vecchio, occorre fare ipotesi, creare relazioni tra la situazione reale e tra ciò che si potrebbe fare, alle volte anche con ciò che già si fa, magari in altri Paesi che non siano il nostro. Intendo dire che alle volte ho la sensazione che la politica italiana (intendo quella dei vertici) sia rappresentata da una massa informe di persone, riunite nello stesso luogo, prive di idee, di voglia di pensare, di proporre prospettive nuove.

2. Come interpreti gli effetti di questa crisi sul nostro paese e sul resto del mondo?

Gli effetti sono ancora poco interpretabili. Per adesso siamo nella fase in cui il sistema economico esistente continua a riprodursi (ad esempio molte aziende continuano a delocalizzare). Non so dirti se la crisi contemporanea sia capace di creare una frattura tale da far cambiare rotta. Io spero che in primis si riesca a favorire un sistema di flessibilità lavorativa più sicura che, anche in una realtà di lavoro completamente cambiata, riesca a garantire una vita accettabile. Certo non intendo dire che occorra rinunciare a diritti acquisiti nel passato, ma temo che la politica, e il sindacato, troppo spesso si arrocchi nella tutela di diritti esistenti che rischiano di diventare privilegi se non si riesce a garantire anche le nuove tipologie contrattuali (mi riferisco in modo particolare alle tante discussioni sull’art. 18).

3. Ritieni siano più valide le idee di Veltroni o di Renzi? A chi dei due ti ritieni più vicina?

Non mi sento vicina a nessuno dei due. Ma, come nel migliore spirito pluralista del mio partito, temo alcuni aspetti dell’uno e dell’altro. Intanto di Renzi mi preoccupa il culto del singolo, questa politica figlia del “berlusconismo” che crede che le idee e il partito che le rappresenta siano un’appendice del leader. Io credo ancora che le persone abbiano bisogno di riconoscersi nelle idee ancora prima che nella persona, credo che l’appartenere a uno schieramento serva per ricordare anche a se stessi gli obiettivi, credo inoltre che si tratti di un partito reale, fatto di tante storie che non è sempre facile far convivere (non penso cioè che in Italia sia realizzabile quel modello bipolare tanto caro a Veltroni). Credo inoltre che, e in questo ha davvero ragione Renzi, non si possa più usare un vecchio modo di far politica, quella chiusa in se stessa che decide di sé e delle poltrone, ma che occorre usare i nuovi media, che sia utile farsi intervistare mentre si cammina per Firenze e si salutano i propri cittadini, che sia persino importante fare i convegni in stazione. Credo però che la politica sia anche onestà, anche con se stessi, oltre che con gli elettori e che parlare di “rottamare il vecchio”, quando il mio essere in politica è frutto di quel sistema sia poco corretto; inoltre, far politica vuol dire anche imparare il sistema, l’organizzazione, le regole, e per far questo occorre qualcuno che mostri il metodo (metodo modificabile certo, ma intanto devi impararlo). Dire che il vecchio fa schifo e va distrutto è accettare anche quella visione della politica marcia che tanto va per la maggiore: bisogna tutelare, difendere ciò che di buono la politica, le politiche (intendendo i vari livelli, dal locale al nazionale) hanno fatto. La demagogia mi ha sempre fatto paura.

4. Innovazione: Come la cultura può e deve aiutare il processo di innovazione in un paese che spende poco e male in istruzione?

La cultura è la parte fondamentale di uno stato (intendo con cultura non l’intelligenza isolata dal resto del sistema, ma le varie forme del far cultura, dalla cultura del lavoro a quella della sicurezza, a quella dell’ integrazione, a quella dell’utilizzo delle risorse…). Il fatto che da anni si investa così poco nella scuola è, secondo me, la prima causa della grande difficoltà che il nostro Paese affronta. La scuola è il luogo dove vengono veicolate le vere informazioni sulla società in cui vivi. Noi abbiamo un sistema scolastico che non riesce a garantire alcun diritto: classi troppo numerose, allievi stranieri che non riescono ad avere percorsi preferenziali, alcune difficoltà non gestite (mi riferisco al tema della dislessia e disgrafia in modo particolare e alle varie disabilità in generale). È una scuola che si affida totalmente alla volontà e alla capacità (peraltro non valutata nel corso del tempo) dell’insegnante. Un’università che quest’anno ha visto tagliare in modo clamoroso in diritto allo studio, che chiede una fideiussione bancaria ai figli degli immigrati.

5. Secondo te la diffusione della tecnologia ha in qualche modo diminuito le capacità di apprendimento dei giovani?

Affatto. Questa è una vecchia storia. Da quando si sosteneva che la scrittura avrebbe deteriorato la capacità di ricordare e memorizzare, al passaggio su altri metodi di scrittura (dalla macchina da scrivere, al computer), si è sempre tentati dal pensare che la nostra capacità cognitiva venga limitata dallo sviluppo tecnologico. Io credo invece che stia cambiando profondamente il modo di pensare, credo che i giovani siano più abituati di me a cogliere l’essenziale di un discorso e l’intero processo cognitivo stia subendo dei cambiamenti importanti. Molti di questi cambiamenti non sono ancora prevedibili: sicuramente occorrerà a breve adattare e modificare i sistemi di spiegazione in classe, perché stanno cambiando i metodi di apprendimento. Immagina cosa vuol dire scrivere un testo oggi: si taglia, si copia, si elimina, quasi nulla del processo di costruzione rimane sul foglio, si perde quella che era la ricorsività, la possibilità di tornare indietro tipica dello scritto, di ricontrollare. La scrittura su computer è a metà tra le caratteristiche dell’orale e quelle dello scritto che ci insegnavano a scuola. Non parlerei quindi mai di impoverimento, ma di radicale cambiamento. 6. La semplificazione della comunicazione, grazie ai meccanismi multimediali (Face book, Youtube) mette a rischio lo sviluppo dei ragazzi? Secondo te, ne comprendono i rischi? Anche in questo caso, non sono d’accordo con chi sostiene che la lingua si stia impoverendo. La lingua sta cambiando: sta introducendo strutture nuove e ne sta perdendo altre, come d’altronde fa da sempre… La velocità della scrittura sui social media la rende molto vicina all’orale, dove le regole della grammatica e le scelte lessicali sono molto meno ferree. Questo spiega, secondo me, la semplificazione lessicale. Il bisogno di scrivere velocemente spiega anche le frequentissime abbreviazioni (xkè, +, ;-)…). Una sorta di lingua dattilografata… Se si vuole, il problema è che spesso i ragazzi sono così abituati a scrivere in quel modo che alle volte dimenticano di essere in classe e continuano ad usare la medesima lingua degli sms…ma in tal caso verranno corretti, esattamente come quando fanno un errore ortografico (d’altronde quante volte a noi, vecchia generazione, hanno detto: stai scrivendo, non parlando…questa frase non si scrive così).

7. Politica-Media: Quanto è importante la rete e come può condizionare la politica?

La rete, per UN politico, è fondamentale, almeno nella fase di “propaganda politica”. È un megafono formidabile: un tweet può raggiungere un numero impressionante di persone (non credo esista un politico senza profilo facebook, molti organizzano blog). Ma il rapporto tra la rete e la politica è un tema molto importante, con il quale sarà doveroso confrontarsi a breve: sta cambiando il concetto di partecipazione democratica. Oggi la rete è usata soprattutto per amplificare, per portare le opinioni a più persone e in tal senso è usata dai cittadini soprattutto per fare segnalazioni, per criticare il sistema. Secondo me è sintomatico, perché è l’esito di un’idea di politica che non risponde alle richieste, immobile, da pungolare. Tuttavia, questo è ancora un vecchio sistema di partecipazione, attraverso mezzi moderni: è credere che scrivere sull’indirizzo fb del comune sia partecipare alla vita politica, credere che criticare o sostenere con una tag faccia la differenza: questa visione è vecchia e mi preoccupa. Partecipazione democratica non è dire la propria. È partecipare laddove le cose si cambiano, nei centri del potere. Altrimenti rischiamo di passare il nostro tempo a scrivere commenti senza capire che le scelte reali si fanno altrove. Significa arrivare a presentarsi come soluzione alternativa perché nuova (apparentemente nuova, perché usa mezzi nuovi) come è successo al partito pirata tedesco, per poi non sapere cosa significhi amministrare davvero e non avere proposte realizzabili. Io credo in un sistema diverso: certo non tutti sono tenuti a provare a far politica in modo diretto, ma credo in un sistema in cui il cittadino non propone solo il problema alla classe politica, ma è parte vera della comunità e offre anche la soluzione possibile: offrire soluzioni significa tentare di comprendere la macchina amministrativa e capirla al punto di saper elaborare soluzioni reali. Nelle soluzioni proposte dal cittadino, si intravede il valore della classe politica (nella capacità di confronto, di apertura).

Ringrazio l’assessore Elena Piastra per avermi gentilmente concesso questa intervista.

 

E se piove?

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Mancano poche ore a quella che potrebbe essere l’ennesima alluvione. Ci sono alcune analogie con la situazione meteorologica del 1994 e del 2008, anni in cui hanno avuto luogo eventi alluvionali in Piemonte. Una settimana fa in Liguria e alta Toscana c’è stato un evento di cui tutti avrete sentito parlare e avrete visto le immagini. L’ennesima precipitazione breve e intensa ha provocato la riattivazione delle frane, ha generato fiumi in piena in quelle che erano strade, morti. Come spesso accade durante il post-alluvione c’è una spinta propulsiva nel proporre una tutela maggiore del territorio, di sistemi, di strategie, di procedure. Ma quando piove, tutto il sistema porta a galla tutti i problemi e si inizia ad avere paura. Si, ci sono buone possibilità che la tipologia di precipitazione sia mutata negli anni, e che queste siano diventate molto più concentrate e intense, ma c’è un’altra verità che spesso viene sottovaluta. Piove da sempre. La mutazione del territorio che si è dovuto piegare è sotto gli occhi di tutti e a parlarne ancora sembra di dire solo banalità, anche se tali non sono. Soprattutto quando i terreni sono diventati asfalto, le montagne non sono più mantenute in efficienza da chi un tempo le abitava, in cui i fiumi diventano demoni quando la portata aumenta. Ci vorrebbe più rispetto, aldilà di quello per l’ambiente, verso se stessi. Perché ciò che ci circonda è nostro e per certi versi siamo noi stessi. E’ assurdo chiedersi per ogni nuvola all’orizzonte..e se piove?

No Tav-Indignados: Quale convergenza?

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Due manifestazioni, due realtà. Domenica scorsa abbiamo assistito a uno spettacolo indecoroso e contemporaneamente a uno che rappresenta una realtà nuova e importante. Facciamo un passo indietro.

Sabato 15 ottobre in tutto il mondo ha avuto luogo la manifestazione cosiddetta degli “Indignados” che ha portato in piazza un’idea su tutte, e cioè fermare questa economia senza etica ne ragione e che permette di far guadagnare solo qualche signore, mettendo “alla fame” il resto della popolazione. L’idea è nata in Spagna ed è piaciuta a tal punto da trasformarsi in un movimento a livello mondiale che proprio sabato scorso ha dato prova della sua forza in tante piazze di tutte le città più importanti della terra.

Così la gente ha sfilato da New York ad Atene, da Tokio a Roma. Appunto, a Roma. Come durante il G8 del 2001 a Genova, i Black-block si sono infiltrati, devastando banche, bruciando automobili, negozi, e tirando sassaiole alle forze dell’ordine, sino a dar fuoco ai mezzi di questi ultimi. Uno scempio con il risultato di sopprimere l’impatto mediatico delle idee che la manifestazione voleva far sentire.

A una settimana di distanza ha invece avuto luogo la manifestazione dei No-Tav a Chiomonte (Val Susa). Corteo pacifico senza scontri. Il movimento No Tav protesta ormai da anni contro il progetto legato all’Alta Velocità in Val Susa e che prevede la realizzazione di numerosi tunnel nella montagna per far passare la nuova linea per il trasporto di merci dalla Francia all’Est Europa. Inizialmente, almeno, era così. Si, perché nell’elenco dei motivi per il quale protestano i No-Tav (da noi pubblicati qui), ci sono numerosi spunti interessanti, ma ciò che è più importante è che la convergenza delle idee di questo movimento con quelle degli indignados è spiccata. La protesta verte ormai, più che sugli aspetti progettuali dell’opera, sulle modalità di affidamento dei lavori, sulla necessità dell’opera sacrificando soldi per la scuola, per la ricerca e per le infrastrutture “locali”. Per non parlare della denuncia di soldi spesi per il rifacimento delle linee ferroviarie e di collegamento con la Francia per i giochi olimpici invernali di Torino 2006. Quello che in entrambe le manifestazioni è emerso è che la gente è stanca di questi furti autorizzati dallo Stato. Nel merito di una situazione politico – sociale che vede sindacati e partiti (una volta dalla parte del popolo) virare su interessi forti e importanti del nostro paese, molta gente è rimasta orfana dei propri ideali, dei proprio punti di riferimento, della propria vita, del futuro e in ultimo, ma forse in primis, dei propri sogni.

Il nostro è un popolo che sta tirando fuori le unghie, per difendere la propria identità, svenduta da politicanti venditori, venditori politicanti e mezze cartucce. Come non commentare i volta-faccia dei parlamentari, che è vero non sono una novità, ma che sono quasi stati istituzionalizzati da leggi farlocche e senza decenza. La verità è che sarebbe necessario che qualcuno o qualcosa canalizzasse queste nuove forze che vogliono un’Italia pulita, e questo non messo in pratica da mezze cartucce e mezzi comici in odor di santità, ma da gente che ha voglia di fare, di essere, e perché no, di lottare. Senza pietre, senza slogan di rivolta, ma con i fatti. All’indignazione, alla lotta, deve susseguirsi una rinascita. Ed è quello a cui tutti aspiriamo. Per tutti intendo quelli che non hanno paura di sottrarsi da una logica del “sono amico di” e della raccomandazione in genere, del “piacerino”, del “tanto è così che va”.

C’è un’Italia nuova e allo stesso tempo antica in queste manifestazioni, c’è un’Italia che non vuole essere lo zimbello di un’Europa a due velocità. C’è un’Italia. Ed è questo l’importante, come lo è difenderla. E spetta a tutti noi farlo, con la politica, con le parole, anche con le grida se è necessario contro gli incappucciati a libro paga della propria imbecillità. Il tutto nel pieno rispetto di noi stessi, di chi manifesta, di chi fa parte delle forze dell’ordine, di chi lavora sotto minaccia, di chi sogna un mondo diverso e in cui si possa dire: da oggi in poi “non va più così”.

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Scacco matto in tre mosse

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Una volta lo spettro che meglio intimoriva il popolo e lo spingeva a credere alle peggiori menzogne era “la fine del mondo” ai giorni nostri questo timore non c’è più ed è nata così  la necessità di inventare nuovi strumenti per tenere le redini del mondo. Molto riterranno un pensiero come questo come allarmistico e figlio di una cultura retrograda e poco moderna. Come tutte le provocazioni penso possa stimolare più riflessioni e come tutte le teorie più o meno complottistiche ha delle motivazioni e dei ragionamenti a monte. Ma in questo caso è la storia stessa a venirci in soccorso, poiché è sufficiente dare un raffronto con periodi storici come il medioevo per capire che la tassa, l’imposta venissero giustificate con motivazioni che richiamavano alla giustizia, alla difesa, allo stringersi per superare i momenti di carestia, pestilenza e foraggiare con il lavoro e il sudore del popolo la tanto famigerata ricrescita. La storia ci ha anche insegnato che in genere quel sudore e quel lavoro ad altro non serve se non a rendere più o meno forte il potere. Un Re era considerato più forte quante più terre, uomini alle sue dipendenze, denaro, castelli avesse, mentre ora..ora il meccanismo resta lo stesso. Le guerre tra una città e l’altra ora si trasmutano in un mercato oscuro, nascosto agli occhi e in cui nessuno di arma di spade ma di codici, strategia di investimento e alleanze. Perché il cosiddetto affare non nasce come colpo di fortuna ma viene costruito e per essere tale ha bisogno di un habitat e di una situazione perfetta. Così quello che un tempo venivano chiamato “Vassalli” lavorano in segreto per portare il proprio principe alla guerra definiva che porta quindi denaro, immobili e quindi potere. Il mercato è davvero libero? La cronaca ci dimostra il contrario, il mercato è come una grande grigia in cui gli spazi neri e bianchi si alternano e in cui i giocatori pensano e pianificano le mosse successive. Se questo gioco venisse regolato da un sistema nuovo o semplicemente diverso potrebbe avvenire uno scacco matto in tre mosse? In parole meno sibilline la crisi vera mondiale è davvero possibile? In un meccanismo perverso che ha la sua forza nel debito c’è una corrente nuova che chiede il pareggio dei bilanci e il tutto per scongiurare questa crisi (termine ricorrente in tutte le epoche), in che modo il gioco sta cambiando? Non posso e non saprei fornire risposte a un pensiero che mi pare davvero da complotto globale eppure quel che è così assurdo e non dimostrabile sembra sempre seguire delle regole ben precise e in cui il Re cerca di essere protetto dagli altri pezzi del gioco. Chi sia questo Re è un mistero, forse il Re è il sistema stesso ed è difeso da chi ne fa parte. La storia ci dimostra un’altra cosa e che c’è un giocare che spesso non sa di essere tale: il popolo. Spesso ci si dimentica di riflettere, di pensare e ci si lascia andare alla rassegnazione fino a smettere di gridare e accettare ciò che vediamo senza più lottare. Forse non esiste alcun complotto globale, forse il grande accordo è tra tutti quelli che non si ribellano a un sistema diventato sicuro per molti, anche quando questo gli vieta la libertà. Anche qui molti storceranno il naso eppure solo il figlio del Re diventava Re. E’ una legge semplice e forse semplicistica, banale. Scontata. Ma è pur sempre un dato di fatto, il meccanismo feudale prevedeva delle regole e i passaggi in verticale venivano semplicemente vietati o ostacolati. Rendere il popolo alla fame equivale a renderlo arrabbiato si, ma mansueto con chi può dargli da mangiare, da chi può negargli la scodella di minestra calda e chi ha fame non ha il tempo di pensare, di riflettere, deve solo lavorare per il padrone. La storia è ciclica, continua e spesso sadica. Si diverte a farci capire quanto siamo ingenui e sognatori, spesso stupidi, nell’illuderci che ci sia una soluzione e che votando un padrone o l’altro qualcosa cambia, beh, non è così, in fondo anche questo è un pensiero banale, me ne rendo conto ma è giusto farlo. Il mondo è pieno di Re, alfieri, cavalieri e tutte le partite migliori iniziano sempre con una prima mossa, quasi sempre il primo a doversi muovere, è il pedone.

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Ancora sangue in Afghanistan

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Ancora sangue italiano in Afghanistan, ancora un militare ucciso dalla follia di una guerra senza quartiere.  Questa volta è accaduto a Bakwa, nella parte meridionale del settore ovest. Ancora non si sono placate le polemiche in Italia, mosse dalla Lega Nord, per interrompere le missioni che avviene l’ennesima tragedia che in quei luoghi è soltanto, e purtroppo, l’ordine del giorno. Che si tratti di una guerra vinta o persa è un fiume di sangue, un intento leggiadro e che vanifica le attese di una pace che qualche dio un giorno riconoscerà, tuttavia oggi siamo ancora in guerra. Lo siamo e forse lo saremo sempre, schiavi della disinformazione, della paura del diverso, della non comprensione di quello che davvero vogliamo. Le notti trascorrono al suono dei mortai che noi non sentiamo mai davvero, come se la guerra fosse un giocattolo. Qualcosa che si può spegnere quando vogliamo, quella melodia che possiamo bloccare per andare a dormire tranquilli. Non è così. Il sangue continua a sgorgare mentre prendiamo un caffè, mentre parliamo per strada e quando ci illudiamo di essere capaci di esportare la pace, dietro gli schermi della nostra ipocrisia, dentro le nostre banche in perenne crisi etica, nelle parole di politici venduti che vogliono regalarci un mondo migliore. La guerra per i soldi non finirà mai, non basteranno barricate, bandiere e illusioni. Forse quando ci saremo resi conti che non siamo così belli come ci dipingiamo, allora ci renderemo conto che è il caso di fare un passo indietro e che non è detto che chi non ci somiglia sia poi così cattivo. Se fossimo noi quelli di cui avere paura?

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Appunti dal Salone del Libro di Torino

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Un giorno al Salone del libro di Torino è come immergersi in un mondo parallelo, in cui le parole sono protagoniste e in cui il mondo stesso si nasconde. C’è un qualcosa di magico nel vedere quanta gente abbia qualcosa da dire, da raccontare, da spiegare. C’è qualcosa di davvero importante in questo tripudio di parole. Eppure qualcosa stride, stona, infastidisce. Molte conferenze sono messe in scena per pubblicizzare artisti da televisione che tante volte non hanno peso letterario ma mediatico. Mi chiedo se questo sia corretto nei confronti di autori che sputano sangue per mettere nero su bianco le loro storie. C’è un qualcosa di ingiusto nel vedere messe in secondo piano le piccole produzioni rispetto ai grandi colossi della letteratura e della comunicazione in genere. Ho ascoltato alcune considerazioni di Mauro Corona e questo mi ha fatto riflettere, forse ha ragione quando dice che le sale più importanti sono occupate da divi dello spettacolo e che questo denota una parabola discendente degli scrittori veri. Potrebbe anche essere letta come provocazione, certo, ma la verità è che questa sensazione l’ho avuta anche io girando per gli stand del salone. Una novità che ho molto apprezzato è stata la presenza di stand musicali come quelli di Scavino e Merula e della piccola sala concerti nella quale ho potuto ascoltare Andrea Mirò. Eccelsa. Dal punto di vista dei visitatori ho avuto la sensazione che ci fosse meno gente (dato riferito a sabato pomeriggio) ma è possibile dipenda dalla maggior distribuzione della gente tenuto conto dell’utilizzo dell’Oval del Lingotto oltre ai 3 classici padiglioni. In generale si tratta di una manifestazione importante per Torino e per l’editoria in generale. Molte le novità letterarie presentate, dal Fantasy alla narrativa di viaggio, tante le presentazioni e le conferenze a dimostrare fermento e voglia di scrivere e leggere.

P.s. Un ultimo appunto per Travaglio..seppur non è un politico la propaganda a urne ancora aperte non è corretta. Se ha qualcosa da dire potrebbe limitarsi a parlare del suo libro.
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La manifestazione del silenzio

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Silenzio. Questo è stato ciò che pensato durante la manifestazione generale indetta dalla Cgil a favore del lavoro e contro l’operato del governo che ho seguito a Torino. Forse è accaduto per la concomitanza del raduno degli Alpini, ma ricordo le manifestazioni del ’94 ed erano qualcosa diverso, c’era rabbia, voglia di urlare, di dimostrare. E invece oggi è tutto diverso, regna la rassegnazione e la consapevolezza che infondo nulla si possa davvero cambiare. Troppa politica in queste manifestazioni, troppe correnti politiche che spingono per tornare ai vertici. Ma sarebbe poi la cosa giusta? La verità è che chi vuole manifestare è consapevole che non servirà e tanto vale per rendere inutile farlo. L’azione del governo ha fatto in modo di separare i tre grandi sindacati italiani, creando rapporti più diretti con le imprese che possono in tal modo fare quello che ritengono più opportuno. La Cgil non è stata d’accordo con questa metodologia, bene, forse. Un solo sindacato non può combattere un regime come quello presente in italia. Lo sciopero è partecipazione, creazione di disfunzioni. Lo sciopero è fermare il paese. Ma l’amara verità è che ieri non si è fermato nulla, anzi, tutto è scivolato via come sempre. Nulla è cambiato. Nulla cambierà. La scuola, il lavoro e tutto il resto sono qualcosa che non sappiamo difendere. Un lavoratore ricattabile è impotente, solo di fronte alla propria sofferenza e alla morte dei proprio sogni. Questo non è vivere, è sopravvivere. L’azione di governo vuole questo, ma non solo di questo governo ma della politica intera, di una classe politica intenta ai propri interessi e alla propria volontà di “arrivare”. Noi tutti siamo soltanto voti utili quando serve, rompiballe negli altri momenti. Il silenzio della manifestazione mi ha fatto male dentro. Davvero. C’è bisogno di rialzarsi, di credere che sia possibile tornare a vivere davvero. Per farlo bisogna tornare a urlare contro l’arroganza, la presunzione e la demagogia. Ieri non ho sentito tutto questo, ho sentito solo rassegnazione silenziosa.

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Nel cuore di ogni guerra

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Le rivolte di questi giorni del popolo della Tunisia e dell’Egitto per la libertà sono lo specchio di un tempo che cambia. Il mondo forse sta davvero crescendo e la voglia di urlare è esplosa come all’improvviso. Anche il popolo dell’Iran ha provato a manifestare per la propria libertà, continuando a subire la tirannia di una dittatura troppo radicata per poter spesso essere soltanto vista. Le radici dell’odio sono sempre profonde e difficilmente sono spiegabili in poche parole, ma il senso delle cose è da ricercare nelle parole salvate da un libro che brucia. Così anche i popoli ai quali la parola è stata per tanto tempo negata ora voglio parlare; ed è giusto che lo facciano. Se la certezza di Bush era quella di esportare la democrazia con i proiettili, Obama riesce a parlare a queste persone, provocando un vero e proprio terremoto politico nelle dittature medio-orientali. Forse il Nobel per la Pace inizia davvero a essere guadagnato. Si sente un’aria nuova e le vecchie paure sembrano di incanto svanire. Nel cuore di ogni guerra c’è la voglia di vivere ed è quella che respirano gli immigrati che sbarcano a Lampedusa. Sono le stesse persone delle quali spesso abbiamo paura. Potremmo essere noi quegli occhi persi in mezzo al mare, potremmo essere noi a dover piangere per non morire. Coprirci con una coperta troppo corta come una bandiera potrebbe non avere un senso. Nasconderci dietro un patriottismo inesistente non ci salverà dal fare i conti con il mondo che cambia e nemmeno farci scudo dei nostri colori di sempre, il rosso, il verde e il nero. C’è una luce che vuole tornare a illuminare la nostra mente: si chiama cultura. Non annientiamola per rincorrere il sogno artefatto delle tette e dei culi che i tiranni mediatici vogliono ancora venderci accarezzandoci dolcemente. Un vecchio detto racconta: “quando il diavolo ti accarezza..vuole l’anima”.

La legge non è uguale per tutti

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Uno dei principi della nostra Costituzione è fortemente a rischio. “La legge è uguale per tutti”. Sappiamo tutti di cosa stiamo parlando. I tentativi di rendere legittimo tutto ciò che di legittimo non ha alcunchè è ormai in atto. C’è chi chiede l’intervento della commissione europea per ristabilire la giustizia e a richiederla sono proprio quelli che cercano di trasformarla in un lascia passare per ricchi e potenti. La riforma della magistratura per renderla impotente è un rischio terrificante. Perchè mai la gente riesce a pensare che un ex-industriale possa avere a cuore gli interessi della gente comune? Forse nessun politico potrebbe farlo, questo è vero. Ma dubito fortemente che un attentatore della costituzione possa far di più. E’ in corso una manifestazione per la difesa di Berlusconi, urlano “Silvio resisti”. Il premier urla al Golpe. Secondo il suo “autorevole” parere i media internazionali (Times) che parlano male di lui sarebbero istigati a farlo dai comunisti italiani. La contraparte politica (quel che resta della sinistra) sonnecchia e ogni tanto “urla” stancamente un “dimissioni subito, ma non voto ora, ci vuole un governo di responsabilità” (solo perchè sanno che perderebbero le elezioni senza nemmeno passare dal via).

La verità è che questa gente ci costa e ci fa fare orribili figure nel mondo. Non fa che fomentare un’immagine che ci vede caciaroni, incapaci, mafiosi etc etc..Poi, c’è questa protesta in atto, sempre dalla “sinistra”, sulla dignità della donna. Parliamone. Penso che le donne nel tempo abbiano conseguito tanti risultati e giustamente. Una parte di essere preferisce ancora essere una bambola dei potenti: è un dato di fatto. Ma per fortuna queste sono la minoranza, ma esistono. La dignità la si dimostra tutti i giorni e non credo che una donna debba urlare il diritto di avere dignità quando ogni giorno lavora, accudisce i figli. Dovrebbero essere messe al bando le donne che si vendono, oltre ovviamente agli uomini che comprano. Posterò un manifesto di una discoteca nel livornese che spiegerà meglio quello che sto dicendo. Non penso Berlusconi abbia ragione, sia ben inteso, ma credo che alcune di queste donnette lo abbiano usato per i loro scopi e per le sue debolezze. Questo forse mi fa inorridire ancor più delle le azioni scellerate del Premier. Il successo che queste donne cercano è da ottenere a ogni costo, non solo vendendo il corpo ma forse pure l’anima.
La politica e lo spettacolo sono spesso stati crocevia di scambi più o meno a base sessuale, ma c’è un limite? Se poi questo sfocia in indagini e qualcuno mette nero su bianco che certe cose sono illegali è lecito che si cerchi di cambiare le leggi? La legge a quanto pare non è uguale per tutti.

Il sangue bianco e nero

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In questi giorni mi è capitato di soffermarmi a pensare alle varie vicissitudini politiche interne al nostro paese e a quelle internazionali. Il quadro non è buono. Se nel nostro paese siamo scossi per questioni pseudo-morali come le presunte feste di Berlusconi, dimenticando questioni più importanti come Mafia e Camorra, nel mondo è in atto una serie di proteste che fanno pensare. Le due cose sono collegate? Non lo so, forse. Credo che la politica italiana e più in generale quella europea siano legate a un equilibrio internazionale. Il governo italiano è tenuto in piedi dalle componenti del Pdl e della Lega. Di quest’ultima conosciamo il punto di vista sulla questione internazionale e nazionale. Il puntare su un federalismo comunale prevede una logica volta più al frazionamento che non alla coesione di più realtà, ma basta guardare le strade delle nostre città per accorgerci che ci sono nuovi sviluppi e nuove culture che sono entrate a far parte del tessuto urbano e culturale italiano. Non accettarlo sarebbe da non vedenti. Eppure non mancano i tentativi di allontanare questa integrazione marchiando chi è diverso con un colore diverso. E’ un problema che abbiamo già conosciuto. Nel resto del mondo i paesi come Cina, India e tutto il comparto di origine islamica cercano di emergere con le buone o con le cattive maniere. L’egitto è al confine di una guerra civile per la propria libertà, eppure molti politici nostrani non vedessero alcun tipo di problema dittatoriale in quei posti, anzi, per molti di noi l’Egitto è solo una meta turistica. Dimentichiamo che le nostre religioni sono nate in quei posti, che preghiamo personaggi vissuti in quei luoghi. Buona parte dei nostri politici strizza l’occhio a una politica di tipo cattolico. Tutto sembra slegato, ma non lo è. Qual è la natura cattolica se non quella dell’accettare chi è diverso da noi? Il termine “Parlamentare” non dovrebbe indurre a farci pensare a qualcosa simile al “discutere”? La verità è che l’estremismo è ancora alla base della nostra politica, il trincerarsi dietro maschere di finto perbenismo ci porta a vedere gli altri come un problema, a vedere il diverso come il problema. In tutto questo molti paesi mondiali si stanno armando, sono pronto e preparati da anni a una guerra che va ben oltre la nostra immaginazione. Che va ben oltre quello che noi stessi sappiamo delle guerre del passato. Siamo di fronte a un pericolo imminente. L’informazione è un campo nel quale si fanno milioni di vittime e la prima di queste è la libertà di espressione. Le compagini prevedono schieramenti ben precisi, chi è fuori rischia il silenzio. Spesso il sangue non ha colore rosso, ma bianco e nero, quello delle pagine dei giornali, dei siti. La televisione è ormai solo l’oscuro presagio di qualcosa che non funziona come dovrebbe, forse proprio nei nostri occhi si nasconde quella parte marcia, che ci fa sembrare importante quello che in realtà non lo è. Se la censura fossimo noi stessi? Le nostre paure? Come potremmo rendercene conto senza ulteriore spargimento di sangue bianco o nero che sia?