Semplicemente ipocriti

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In un contesto storico decisamente nauseante e che ci riporta a un nuovo medioevo tossico, parlare di una strage di bambini sembra la normalità. Parliamo di diritti, ma siamo pronti a lederli. Siamo democratici, ma solo fino a quando fa comodo. Lasciano un senso di amarezza profonda, questi tempi. La sensazione di essere inermi. Così un dittatore è libero di distruggere vite e il senso più puro della libertà. Come quando si è costretti a convivere in una casa con una persona violenta e pericolosa, bisogna saperla prendere per evitare che si arrabbi. Le vittime con il tempo imparano a convivere con il male, alcune anche a pensare che quella sia la normalità. Questo accade però perché tutti si girano dall’altra parte, isolano le vittime, si voltano verso le apparenze colorate. Il male esiste. E va fronteggiato. Altrimenti non si è dalla parte giusta, si è solo e semplicemente ipocriti.

La moda del non dire

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Parlare di attentati non va di più di moda, ci si abitua a tutto in un mondo che vuole vestirsi da reality. Lo show deve far ridere, rilassare, al massimo far acquistare qualche prodotto. Ci guardiamo negli occhi, ma stiamo pensando ad altro, anche quando parliamo di cultura. Il nulla è punto nevralgico in mezzo a una valanga di informazioni. Eppure sono tutte lì, a ricordarci che non serve aver paura, quando inizi ad averne anche di te stesso. Parlare non va più di moda, tanto meno ascoltarsi.

Si parla di autismo

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Si parla molto di autismo. Una sindrome difficile, anche solo da capire e comprendere per chi non la conosce dall’interno. Un’idea molto dettagliata me l’ha regalata un libro: Love Anthony di Lisa Genova. Il titolo italiano é Tre sassi bianchi, un romanzo grazie al quale l’autrice fa entrare il lettore nella mente di Anthony, svelando le architetture del pensiero e mettendo in luce un particolare importante: i metodi di ragionamento sono diversi per tutti e capirsi è un’arte. Sicuramente per approcciarsi in questo modo, oltre alle straordinarie capacitá narrative, é stata importante la conoscenza nel campo della neuropsichiatria dell’autrice. Un’opera che consiglio, sia da un punto di vista narrativo, sia per scoprire cos’è davvero l’autismo, come funziona nelle sue diverse sfumature. Un ottimo modo di parlare di autismo.

Occhio per occhio, l’occhio nero.

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La violenza domestica non inizia mai con pugno. Nasce e si sviluppa dai toni di voce e si concretizza con una minaccia silenziosa. Continua. Fa leva sulle esigenze economiche. Sembra invisibile, ma scava nelle ombre, fino ad arrivare alla dignità. Occhio per occhio, l’occhio nero. Le armi sono poche, spesso inesistenti, alcune scorrono sul filo leggero dell’inchiostro.

La distorsione

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C’è una forma di teatralità anche nella reiterazione degli errori, una distorsione degli eventi. Come se in questi tempi di pensieri così veloci da diventare inafferrabili, ci fosse una lente invisibile, incapace di mettere a ferro e fuoco le vere ragioni di una tale fragilità culturale. Questa é un’epoca di eccessi, di paure esorcizzate da paure ancora più grandi, in cui non sembra esserci più nulla da difendere, se non un confine che esiste solo e soltanto nella nostra mente. Ci han cresciuti dicendo che siamo tutti uguali, ma che é meglio avere paura di chi é diverso. E sembrano così labili i castelli creati per rinnegarlo. Sui nostri libri di storia il male é stato colorato con sfumature tenui, così dal renderlo meno spaventoso. Così non riusciamo ad ammetterlo che l’estremizzazione della cultura del diverso sia davvero spaventosa, perché impone nuovi paletti e non consente di capire fino in fondo che la differenza può diventare un valore aggiunto. E questo, una cinquantina di anni fa, lo sapevano i tedeschi e gli italiani, così hanno sfruttato le abilità e le capacità di un popolo, fino a quando hanno deciso che non serviva più, che doveva essere annientato per una ragione più grande. Per una cultura superiore. C’è una forma di teatralità nella reiterazione degli errori. La distorsione degli eventi fa sentire tutti così, culturalmente superiori.

Scemo chi legge

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Mi hanno colpito le parole di Umberto Eco, il quale ha dichiarato: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”. Poi ho letto i vari commenti sprezzanti sul ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti e ho capito che tutti i torti non li ha. Premesso che ho letto tardivamente “Il nome della Rosa” e l’ho trovato lento, pedante, e sovraccarico di informazioni inutili, con una scrittura lontana anni luce dai canoni della letteratura moderna, mi viene da pensare che ogni epoca abbia il suo codice di comunicazione. Detto questo, i social traboccano di parole a vanvera scritte da persone che si auto-definiscono poeti, scrittori, commentatori e che per tale diritto acquisito possano scrivere qualsiasi cosa. Qualcuno potrebbe obiettare, “hai appena scritto delle critiche su uno dei romanzi più importanti del mondo. Chi sei per farlo?”. La risposta é semplice. Sono uno che legge. E che facendo questo ha maturato la sensibilità di poter esprimere un pensiero. Analizzerei però quanto detto, dire che lo stile di Eco é spesso anacronistico, non vuol dire negare che sia un gran romanzo. “Il nome della rosa” rappresenta un’epoca, ed é stato lo scrittore stesso a scegliere di utilizzare una scrittura che richiamasse il modo di raccontare di quel momento storico. Da questo punto di vista il romanzo in questione é magnifico. Il tema é chi dice cosa. E soprattutto sulla base di che. Per esprimere un pensiero bisogna pensare. Ognuno lo fa a modo proprio e in base alla propria cultura ed esperienza. I social hanno aperto la strada a tante persone che non hanno di fatto le basi per commentare. Come se una persona che ha mai letto un solo libro si mettesse a scrivere recensioni. Semplicemente assurdo, almeno da un punto di vista tecnico. Ma facciamo un passo indietro. Chi critica la Cristoforetti sui social? Perché? Una donna italiana che sceglie di diventare astronauta e che coltiva il suo sogno impegnandosi, studiando e, alla fine, corona una parte del suo sogno (perché credo che per lei sia solo l’inizio) dovrebbe essere un esempio. É scomoda. Scatta foto dallo spazio e le propone sorridente. Spiega come si mangia nello spazio. É felice di ciò che sta facendo. Alla gente questo non piace. É un’eccellenza italiana. No, non va. Bisogna deriderla. Dire che c’è sotto qualcosa. Qualcuno. Che anche lei é come noi. E bisogna dirlo. Che palle questa, che avrà fatto mai per essere celebrata così tanto? Quanti pendolari tornano a casa e nessuno li acclama. Ma quello che però va chiarito é cosa sono i social. Non sono organi di stampa. Sono pagine. Poco più di un blog, in cui un individuo può esprimere e condividere un pensiero o un sentimento. Frustrazione? Anche. Perché no. Forse, chi pensa che la propria pagina, o meglio, il proprio account, sia tanto autorevole da potersi autolegittimare come poeta, scrittore o giornalista, non ha capito di cosa stiamo parlando. Così come credo non lo abbia capito nemmeno Eco. I social sono un mezzo di comunicazione, così come tanti. Non credo che Adn-Kronos tenga conto di un mio pensiero nella sua comunicazione, questo non mi vieta di esprimerlo. É democrazia. Ma sta a noi imparare a filtrare le notizie, le informazioni, a capire chi dice cosa. É difficile. Ma questa nuova epoca lo impone. Altrimenti nessuno di noi potrà distinguere un romanzo da un altro, un poeta dall’altro. Altrimenti rischiamo di mischiare il poetucolo di periferia che scrive senza metrica né rima da un Dante o un Leopardi. La cultura e la sensibilità ci servono a questo. Chi parla al bar prima lo faceva nella locanda, ora sui social. Quindi Eco, contestualizziamo, altrimenti stai dando dello scemo anche a chi legge.