Le labbra
Tremano le labbra, al suono prepotente di un pensiero. Perché l’orizzonte è lontano. A dividerci, soltanto le onde.
Tremano le labbra, al suono prepotente di un pensiero. Perché l’orizzonte è lontano. A dividerci, soltanto le onde.
Dei castelli fatti di carta straccia, non restano che fiamme. Come l’inferno di cartone e musica, che riempie le stanze di un silenzio piccante. Ma giro dopo giro una giostra, mostra un mondo alterato, come volti in una stanza degli specchi. Gli occhi, che ne resta di un viaggio, se getti le carte migliori, nel poker delle emozioni che dimenticherai. Una sull’altra le mani di un gioco con cui imbrattare il tempo. E poi, soltanto poi, le fiamme.
Non è un gioco, quando fa male. Una favola incandescente che scivola tra le nuvole appese a un cielo sporco. E noi siamo l’alibi perfetto, di una notte trascorsa troppo in fretta. E resta quel sonno, che vuol dire: ho voglia di sognare ancora. Di credere che all’odio si possa rispondere con il fuoco delle parole. Alla cattiveria, con il sapore di un buon vino. Con l’odore antico di una storia. Da questo luogo appena accennato, continuo a giocare. Anche quando fa male.
Appena finita la bella esperienza della #festadellibro, ringrazio gli organizzatori della manifestazione, biblioteca di Orbassano, città di Orbassano e il mio editore che ha riposto in me fiducia e mi ha permesso di portare alla festa del libro lo stand de Les Flâneurs edizioni. Ringrazio inoltre l’organizzazione per averci concesso di presentare il mio nuovo romanzo #LaMacchinadelSilenzio e Anna Serra che mi ha intervistato. Molta stanchezza, ma anche molta soddisfazione per il risultato ottenuto. Il ringraziamento finale va ai miei lettori vecchi e nuovi che credono in me e nella mia scrittura.
Fogli bianchi. Matite colorate. E storie brutte da raccontare. Ché qualcuno deve pur farlo, perché la vita è anche questo. Quel senso che ti fa sentire perso, anche tra le strade che conosci sin da bambino. C’è sempre qualcosa che cambia sui volti di tutti noi. Che disegna cicatrici, come ruscelli che portano via qualcosa. Fogli bianchi, matite. Ma non siamo mai noi a scrivere, ma il tempo. Soltanto il tempo.
L’invisibile agli occhi, é quello che resta.Il profumo della primavera imminente.
E non c’è sapore, odore o colore, che tenga.
Il sole, quando arriva, brucia.
Un fuoco, soffiato via dal vento.
Parole, feroci, crude, ottuse.
Scuse tardive.
L’invisibile agli occhi, stelle in avaria.
Che il cielo non aspetta, non dorme.
Tutto continua a girare.
E domani danno sole.
Il profumo della primavera.
Le stanze piene di luce.
E polvere.
Nulla è invisibile agli occhi, quando sai tenerli chiusi.
Ci sono tante domande, appoggiate sul comodino. Risposte scritte di corsa, sulle buste del pane. E poi buttate via. Discorsi provati in bagno, per essere dimenticati in fretta. Siamo fragili, immagini che sfilano sulle vetrine del centro. Che riflettono i cartoni di vino e le coperte, che a stento coprono la dignità. Perché a volte quel brivido, si confonde. Tra le strade fredde, di un inverno che vuole restare. Raccolgo il sacchetto del pane, sporco, solitario. E ritrovo le mie parole.
Caso “Cambridge Analytica”.
Leggo commenti indignati contro una fantomatica “Bigdata” e complottisti a difesa della fantomatica privacy. Ragazzi, quello che è accaduto, maldestramente, è ciò che fa Facebook quotidianamente a pagamento. Vi faccio un esempio semplice, se volessi far arrivare un post proprio davanti ai vostri occhi dovrei semplicemente impostare il vostro target di riferimento per la promozione. Cosa vuol dire? La vostra età, sesso, interessi, passioni, paure. E ci riuscirei non perché io sia particolarmente bravo, ma perché Facebook questi dati li ha! E, udite, udite, quei dati glieli avete dati proprio voi. Quindi, tranquilli, continuate a pensare che Facebook sia solo un gioco. E magari, prima di parlare e commentare, consiglio sempre utile, leggete gli articoli fino alla fine.
Costruirsi un scudo, dalla voglia che hanno di armarsi. Fare breccia con le storie di oggi, le nubi basse che non portano pioggia, delle ferite che non sfoggi, perché hai paura. Restare in disparte, dietro le quinte, a provare la tua parte. Concentrarsi su ogni singola parola, su ogni mattone, per resistere, anche soltanto un attimo di più.
Guardati negli occhi. C’è un respiro che si perde sempre. Allo specchio, quasi nessuno si riconosce davvero. E pensaci, quando stringersi tra le dita il plettro, che la musica non è un punto di vista. Ci siamo persi mille volte, ma tra quelle sette note ci abbiam trovato un mondo, a cui abbiamo dato un nome. Guardati oltre gli occhi, forse ci troverai qualcosa, magari il respiro che manca.