Recensione “La sindrome dei panda” dei Violadimarte

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La musicalità espressa dai “Violadimarte” non arriva al primo ascolto. Bisogna lasciare che la musica entri lentamente, a piccoli passi. I testi sono ben costruiti e si sposano con melodie studiate e ottimamente suonate.

“Lacrime di vetro blu” è un bel pezzo, contemporaneo nella musica e nel testo, così come lo è “Alberi d’amianto”. In “Male di te” ci sono rock, ritmo e voglia di gridare. Da citare il pezzo “L’anestetico” che si presenta come una ballata soffusa e mistica. Il neologismo “Paragioia” è il titolo della canzone che ondeggia tra sentimenti contrastanti, imprevedibili e un testo complesso ma che si lascia ascoltare. “Madelaine” e “Il tempo non sente” sono ballate soffuse, immerse in una nuvola di fumo tiepido.

Il disco “La sindrome dei panda” contiene musica vera, suonata e interpretata con passione. Il rock e ballate intense sono il cuore di questo disco. Orecchiabile ma con testi profondi, aperto a brani più strumentali e ad altri più ricchi di parole. Il risultato è interessante. Le contaminazioni musicali sono molte e si svelano pezzo dopo pezzo, senza tuttavia condizionare lo stile finale dell’album. Tra chitarre elettriche, batterie indiavolate si snodano storie e atmosfere particolari, per creare una linea melodica attraente. Attendiamo i prossimi lavori di questa band.

Recensione concerto “Niente di importante” di Marco Masini 15 aprile 2012 @ Teatro Colosseo, Torino

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Marco Masini torna al Teatro Colosseo di Torino con uno spettacolo avvolgente che, come un viaggio tra note e parole, riesce a emozionare con storie e poesie in musica.

Entrando nel teatro non si può non constatare che il pubblico è composto da bambini, adolescenti, ragazzi e persone più mature. Tante generazioni e una sola voglia, quella di cantare le canzoni del cantautore toscano. Le immagini sul mega-screen e un eco lontano e ovattato di “Un piccolo Chopin” scandiscono il buio del palco. Le vibrazioni si fanno subito sentire quando Marco intona “Non ti amo più” e “Colpevole”, manifesti contemporanei del nuovo album “Niente di importante”, canzoni che legano il presente e il passato, che raccontano storie nuove e delicate. Poi inizia un viaggio che Marco ci racconta con “E ti amo”, “Cenerentola innamorata”, “Disperato” e “Il niente”. Nuovi arrangiamenti e le stesse sensazioni forti di un tempo. Il pubblico canta, si diverte, e diventa tutt’uno con l’artista e la band urlando “Caro babbo” e “Ci vorrebbe il mare”. Le interpretazioni sono toccanti. La scaletta prosegue con il pezzo che regala il nome al nuovo album, “Niente di importante” e ”L’amore si ricorda di te”. Gli arrangiamenti di “Cantano i ragazzi”, “Perché lo fai”, “T’innamorerai” tolgono il respiro. Masini accompagna i suoi fans con la sua voce graffiante in un mondo dove musica  e poesia si fondono e diventano tutt’uno con l’atmosfera che la sua musica crea. E quando si giunge al finale, la musica diventa ipnotica, come a ripercorrere i tempi passati che si rinnovano e rinascono pieni di vita. “Bella stronza”  e “Vaffanculo” regalano al pubblico la possibilità di urlare, gridare ed emozionarsi. La libertà di queste canzoni non conosce tempo, né confini, senza maschere e ipocrisie, ora come agli inizi del viaggio.

Gli intermezzi tratti da “Un Piccolo Chopin” e che scandiscono le diverse parti dello spettacolo si trasformano nel finale live della canzone, un’interpretazione vibrante, forte ed emozionante.

Dopo una piccola pausa la band rientra sul palco e Masini reinterpreta “Anna e Marco”, un tributo e un pensiero per Lucio Dalla. Quando lo spettacolo sembra volgere al termine con “L’uomo volante”, l’artista fiorentino regala un momento di autentica poesia, cantando la sua “Marco come me”, voce e pianoforte. Sensazioni che l’uomo Masini e l’Artista provano quando tutto finisce, quando le luci si spengono. Un bel concerto, momenti toccanti ed emozionanti.  Luci molto curate, arrangiamenti originali e poi le interpretazioni sempre impeccabili di Masini, insomma, tutto ciò che ci si può attendere da un artista che ha fatto e ancora fa la storia della musica italiana. Una voce che ha sempre fatto parlare di sé, nel bene e nel male, ma che mai ha fatto mancare pensieri, emozioni, sogni e storie a un pubblico che ama sentirsi vivo.

Recensione “Cu a capu vasciata” di Gianfranco De Franco”

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“Cu a capu vasciata”  di Gianfranco De Franco è un disco particolare. Contiene tracce che trasudano teatro, melodie armoniose e intermezzi poetici. Ogni pezzo è un viaggio, costruito con dovizia di particolari, intensità e trasporto. Non è facile rendere musica le parole, ma questo disco mostra un risultato importante. Nel teatro la musica è spesso una componente fondamentale, in grado di spiegare, di raccontare e di costruire atmosfere. Proprio queste caratteristiche sono riscontrabili in questo lavoro. “L’attesa spezzata” comunica sentimenti contrastanti, con un suono quasi straziante del sax e le parole ne rivelano l’entità profonda e il senso doloroso, ben spiegato anche nel libretto. “Pascalina e Vittoria” è una clessidra. Inesorabile. “Na matina” è uno spaccato di vita, una storia in musica, una bella colonna sonora. “Il si” è un racconto di un momento importante, condito con parole altrettanto toccanti che si specchiano nella musicalità che si muove come una trama oscura. “Ricordi” è un pezzo che sembra perdersi tra le sue stesse note, e in fondo è proprio ciò che racconta. Il senso anche in questo caso è ben spiegato tra le righe del libretto. Anche in “Sogno negato” di toccano temi difficili, duri. Ascoltando il disco viene indubbiamente voglia di vedere lo spettacolo dal quale queste musiche sono tratte. Tutto sembra creato per accompagnare chi ascolta e vede, seppur l’album sia audio, si riesce quasi a immaginare tutto quello che le note non possono regalare. “Volo infermo” chiude questo disco con una melodia tra agghiaccianti pensieri e involontari discorsi, metafore assuefatte dal tempo. Colori sfumati tra stelle che sembrano occhi persi nella nebbia. Un disco che contiene inquietudini, sensazioni contrastanti e dure da accettare. Da ascoltare, magari gustandosi l’opera teatrale che completa queste musiche.

Degrado e pregiudizio: la propaganda del nulla

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Stamattina ho aperto il giornale e ho letto del licenziamento di Emilio Fede che, dopo vent’anni, lascia il Tg 4. Più che interrogarmi (ancora) sulla qualità del suo telegiornale e sulle sue prese di posizione sulla politica (ma che in realtà pare sia il modo di operare di molti giornalisti, anche di altre parti politiche), mi sono fermato a pensare a come la società si sta trasformando. Con l’arrivo del governo tecnico sembra ci sia una corsa al “rinnovamento”, come se si volesse davvero mutare un certo modo di agire. Ma mi chiedo se sia un modo di pensare nuovo quello che preme per facilitare i licenziamenti e rendere i contratti a tempo indeterminato di fatto a tempo determinato dal datore di lavoro. Non metto in dubbio che spesso nel nostro paese esista un malcostume, ma credo che la cura non sia quella di agire sul rendere completamente instabile la vita della gente. Forse i paesi nordici riescono a interfacciare una correttezza e un’etica superiore alla nostra con l’abilità di vivere, ma forse la nostra mentalità ci impedisce di fare lo stesso. Tutto nasce da cosa per noi vuol dire lavorare. Per le vecchie generazioni era “portare a casa la pagnotta”, per quelle più nuove trovare soddisfazioni. Crescere. Proprio questo verbo è scritto e recitato nel telegiornali e nei discorsi dei politici, senza, però, spiegarne mai il significato. E ce ne sono molti. La crescita economica di un paese non sempre corrisponde a quella di un popolo. Il benessere è certamente legato alla quantità di “cose” che si possono acquistare con il proprio stipendio, ma anche alle possibilità di riuscire a fare ciò che si desidera. Molti vorrebbero creare una famiglia, altri fare carriera, ma il comune denominatore è che un paese non dovrebbe dimenticare questo aspetto, sacrificandolo sull’altare dello sviluppo dell’economia del paese. Il default di un paese non è solo una questione economica, ma sociale. Spesso le crepe iniziano a vedersi anni prima. Sappiamo tutti che la Grecia versa in cattive condizioni economiche da molti, molti, anni, e non è un fulmine a ciel sereno che ora possa trovarsi pesantemente in ritardo rispetto agli altri paese europei. Sappiamo anche bene qual è la nostra forza e quali sono le nostre ambizioni. Negli ultimi anni abbiamo visto mutare i desideri della gente e il sogno più grande è diventato diventare velina, partecipante di reality. Meteorina. Siamo stati storditi da una realtà finta e patinata che ci ha voluto insegnare cosa vuol dire vivere, e spesso ci abbiamo anche creduto, illudendoci che i festini potessero in qualche modo essere giusti per chi può permetterseli, che una donna che si concede per soldi, infondo non fa male. Nello stesso tempo abbiamo visto nascere pensieri contrastanti e forti, come quella di Roberto Saviano, che ci hanno fatto vedere l’altro lato della medaglia. In quel sistema che volevano venderci, c’era qualcosa di sbagliato. Quel qualcosa è diventato sempre più grande, anche se molti hanno cercato di dire, no, va tutto bene. E’ colpa di una certa parte che vuole rendere tutto sporco, sbagliato. Forse in fondo una verità c’è. Dobbiamo riappropriarci delle nostre ambizioni, cercare quelle vere. Dimostrare che si può ancora fare, anche se sappiamo che questa trasformazione di cui leggiamo sui giornali o vediamo in televisione è, in qualche modo, pilotata. Anche i politici si sono resi conto che le crepe nel nostro paese iniziavano a vedersi e hanno cercato questa soluzione per farci ancora illudere che tutto possa andar bene. Ma non è in loro che possiamo credere, ormai lo sappiamo, ma in noi stessi. E’ la storia che ci insegna che il potere fa di tutto per aggraziarsi i favori del popolo, non perché ne interessi il pensiero ma perché serve per governare. Un popolo che pensa è un paese che può prendere decisioni e ci sono diversi modi per controllarlo: uno è illuderlo di dargli ciò ci cui ha bisogno. Che non ci sia alcuna trasformazione nella mentalità italiana lo possiamo vedere dai teatrini della politica, nell’assoluta farsa che tutela ancora gli interessi di pochi. C’è ancora molto lavoro da fare e non bisogna più smettere di pensare a ciò che vogliamo davvero dalla vita e non a ciò che ci dicono sia necessario per essere “al top”. Spero davvero che la caduta di Fede sia un monito per rialzare la testa, ma so che questo è ciò che vogliono far credere. Lo penso perché a sostituirlo sarà l’attuale direttore di Studio Aperto, telegiornale non certo noto per l’approfondimento delle notizie, ma per la propaganda del nulla. Fede è stato soltanto una vittima predestinata del sistema (solo per ora).

Recensione “Tutto è vanità” dei VeiveCura

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“Tutto è vanità” è un album con una forte matrice strumentale e lo si capisce sin dall’intro “L’alba, dentro”. Il secondo brano “Di roccia” ha un ritmo quasi epico con parole criptiche che scivolano tra poesia e pensieri, mentre “Cara Vana” sembra galleggiare su un tappeto di fragili inganni, leggiadri incantesimi e voci che sussurrano versi nascosti su una melodia morbida e ottimamente suonata. Fiati, percussioni assecondano un incedere poderoso della melodia, mai banale. “Correnti del nord vs correnti del sud” è una colonna sonora di istanti e momenti come pensieri naufraghi. Il suono del pianoforte è sempre una magia, e in “Ciuri” emerge come una sinfonia soffusa tra le parole in dialetto dei versi della canzone. Suoni allegri e spensierati imperversano in “Delfini” e si trasformano in un viaggio di note in “Delfino io, delfino tu”. L’album si conclude con “Le nuvole”, come un bel sogno in cui si riaprono gli occhi con l’arrivo dell’alba, come a concludere la notte, ancora un po’ addormentati. E tornare a guardare il sole che sale verso il cielo. Un disco orecchiabile ed emozionante, ricco di particolarità e che crea atmosfere sognanti e che si imprimono nella mente, difficilmente catalogabile in un genere musicale. Un po’ ambient, un po’ pop, ma ciò che conta è che si tratta di ottima musica, suonata con passione. Un disco da ascoltare.

Recensione spettacolo “Inferno Opera in Musica” degli Effetto Notte feat. Orchestra Giovanile Vianney @ Teatro Alfa, Torino

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Al Teatro Alfa di Torino il 2 e il 3 Marzo è andato in scena “L’inferno Opera in Musica” degli Effetto Notte, per la prima volta accompagnati dall’Orchestra Giovanile Vianney, diretta da Marco Raiteri. Il nuovo allestimento dello spettacolo ha unito ai momenti classici dello spettacolo nuovi spunti e rivisitazioni dei brani dell’opera. Assistendo alle prove e alla preparazione dello spettacolo si nota subito quanto lavoro ci sia stato dietro lo show e l’impegno che gli artisti ci hanno messo per metterlo in scena. L’immagine di una candela e un sibilo misterioso aprono lo spettacolo, poi il primo pezzo eseguito dall’orchestra giovanile Vianney crea un’atmosfera ipnotica, costruita con i suoni, con le immagini e l’impatto sul palcoscenico. Nella “Selva oscura” ci accompagnano i versi di Dante, ottimamente recitati da Filippo Losito e poi la musica degli Effetto Notte e dell’orchestra Vianney, che miscelano e intrecciano stili diversi ma che costruiscono una potente interpretazione di pezzi come “Caronte” e “Il portale”. Non mancano i due intermezzi più classici “Paolo e Francesca” e “Conte Ugolino”, con i magistrali assoli di chitarra classica di Andrea Pioli. Lo spettacolo sembra evolversi e cambiare faccia, passando da momenti di autentica poesia in musica, sfiorando il rock con gli assoli di chitarra elettrica di Giorgio “Josh” Angotti nella “Città di Dite” e “Ulisse”, per approdare a una musicalità a tre dimensioni, accompagnati dalle voci di Fabrizio Tonus, autore di gran parte dei pezzi con Mattia Bozzola, ed Elisa Paoletti. Ritmo della batteria suonata da Federico Silva e l’intensità delle interpretazione sono le protagoniste dei pezzi che portano al finale con “Lucifero” e al verso che scandisce il finale epico dello show: “..e uscimmo a rivedere le stelle”. “Inferno Opera in musica” è uno spettacolo che non tradisce mai le attese e in queste due serate lo conferma.

Fotografie: Simona Vacchieri

Movimento NO-TAV: Cosa e chi rappresenta, oggi?

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Il movimento NO-TAV ha un’origine antica, il cui scopo era di ribellarsi a un’opera che i manifestanti ritenevano inutile e oltremodo costosa. Sulla base di questo intento il movimento ha organizzato incontri, cercato di intervenire sul progetto originale dell’Alta Velocità in Val Susa per migliorarne l’efficiente, ridurne i corsi e l’impatto sul territorio. Ciò che è poi accaduto è noto alle cronache: a un certo punto di questa storia, il progetto ha comunque proseguito il suo corso e il dialogo con il movimento e soprattutto con i residenti della Val Susa si è prima affievolito, poi è svanito. Attualmente sono in corso le procedure espropriative, necessarie allo Stato per prendere possesso da parte delle aree per la realizzazione dell’opera. Molte sono state le manifestazioni e gli attestati di solidarietà verso le idee No-Tav, alcune sensate, e altre volte ad auto-promuovere comodamente dei potenziali nuovi leader di questo movimento. Quello che resta è un movimento stanco e che fatica a trovare un’identità, ora che i lavori sono iniziati ed è difficile fermare una macchina infernale. I temi sono molti, da quello economico a quello ambientale, ma ognuno di questi ha una matrice comune, che si sposa con una domanda su tutte: perchè quest’opera è così importante da renderla “strategica”?. I dati analizzati dimostrerebbero che il traffico di merci in Val Susa è in netto calo da anni, così come lo è quello dei passeggeri e che esisterebbero altre soluzioni tecniche per utilizzare tratti di tunnel già realizzati, evitando di scavarne di nuovi. Le motivazioni sono tante, ma gli episodi in corso in Val Susa e che hanno avuto luogo lunedì nella stazione di Porta Nuova a Torino (in cui testimonianze raccontano di un’aggressione delle forze dell’ordine sui dimostranti) mettono in luce una tensione crescente e che non sembra volersi placare. Tra i manifestanti ci sono fronti più pacifici e altri che lo sono meno. Non si può negare che la presenza di gruppi anarchici sia molto elevata. Senza alcuna criminalizzazione né per la polizia, né per i manifestanti, bisogna analizzare quanto sta accadendo e soprattutto definire contro cosa il movimento NO-TAV si scaglia. Se è vero che inizialmente l’obbiettivo era evitare la realizzazione dell’opera, è vero anche che ora come ora il movimento rappresenta qualcos’altro. E’ in grado di riunire pensieri e idee diverse, fino a rendere quasi trascurabile l’origine stessa del movimento, che ora si ribella a un uso senza moderazione dei soldi dei contribuenti, del territorio e della buona fede di un intero paese che ancora oggi non sa quale sia la verità sull’alta velocità in Piemonte. Torniamo alla domanda iniziale: perchè quest’opera è così importante, ma soprattutto per chi lo è? Le opere pubbliche in Italia sono sempre state storicamente caratterizzate da importi “gonfiati” da procedure spesso “poco trasparenti”e vinte (a volte con la complicità indiretta di normative malleabili) da imprese con traffici poco chiari. Per molti anni questa procedura ha reso possibile ogni cosa, oliata da politici compiacenti e corrotti. Potrebbe essere una chiave di lettura pensare che ora che il nostro paese ha toccato il fondo del barile e che la gente è stanca di questa mentalità che non ha altri aggettivi se non quello di mafiosa? Un movimento del genere sarebbe certamente considerato scomodo agli occhi di chi non vuole che questo sistema malato si fermi. Ed è da questo punto che nasce la tensione: questa protesta nasconde una motivazione diversa da quella relativa alla sola realizzazione dell’opera in questione: riguarda l’intera mentalità italiana e la volontà degli italiani di trovare una strada nuova. Se il movimento NO-TAV fosse associato a quello dei NO-GLOBAL o degli INDIGNADOS, cosa cambierebbe? Certamente diventerebbe automaticamente più forte, più pericoloso, perchè non riguarderebbe più soltanto una piccola valle, che è ben poca cosa rispetto alla “scala” di un’opera come l’alta velocità, ma l’Italia e il mondo intero. Perchè è sempre così pericoloso che un popolo inizi a pensare e farsi domande? Quello che ci si augura è che nessuna politica si impossessi dell’idea che c’è alla base di questo movimento. Non sia Grillo, la cui moralità è discutibile. Non sia il Pd, la cui mentalità è ancora lontana dal popolo e non lo sia nessuna delle linee politiche attualmente in gioco. E se fosse proprio l’idea anarchica quella che (almeno in questo caso) è più corretta per sostenere questo tipo di pensiero? Sarebbe troppo semplicistico se così fosse. La bandiera dei NO-TAV è spesso considerata “trasversale” rispetto alla politica, all’economia ma è specchio di un risentimento di un popolo stanco e anestetizzato, quindi forse questo movimento non è stanco: forse si sta soltanto trasformando.

Siria: Referendum farsa?

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Siria. Il nome di un paese, di una realtà. Oggi il popolo siriano è andato a votare per il referendum per una nuova costituzione e per la democrazia, il tutto sotto l’occhio attento di Assad (dittatore). Ma non si sono placate le repressioni, anzi, sono costanti e lacerano la voglia di libertà del popolo, repressa con la violenza. I media tacciono, o peggio raccontano una realtà che non corrisponde a quanto sta accadendo. Dove sono le Nazioni Unite con l’intento di rendere questo voto, un voto vero? L’illusione è che un voto proposto da un dittatore e gestito dallo stesso possa mettere davvero fine a una dittatura. Lo sappiamo, così non potrà essere. La primavera araba sembra avere due velocità, che dipende dall’interesse che l’occidente dimostra. Petrolio? Sarebbe banale. Deve esserci una motivazione più importante o forse una paura latente (tenuto conto che la dittatura è stata imposta dai paesi europei a seguito della seconda guerra mondiale). La Siria è storicamente un luogo difficile, anche per la sua posizione geografica e per i suoi scottanti confini. Ciò di cui l’occidente ha paura è la potenziale guerra civile in questo paese. E’ forse per questo che ci si tiene lontani? Quello che è davvero importante è garantire libertà a questo popolo: una vera libertà. Così’ mentre il popolo votava a Damasco e Aleppo, un’altra parte di Siria, ancora oggetto di repressione, hanno boicottato la consultazione. Quest’azione potrebbe nascondere una verità scomoda e dura da digerire: il referendum potrebbe (e uso potrebbe) essere una farsa. Lecito riflettere, doveroso parlarne. La guerra di informazione sappiamo essere governata ancora da Assad, che vuole far credere al mondo che vada tutto bene, così come molti dittatori prima di lui hanno fatto. Siamo così stolti da crederci? La cronaca ci porta a raccontare che sono state sequestrate (sia con blitz nelle case che con posti di blocco) un numero enorme di carte di identità per poterle utilizzare per votare usando quei nomi. Per quanto riguarda i dati di affluenza è stato dichiarato dallo stato il 99%, ma l’affluenza reale è invece molto, molto più bassa (pare ai minimi storici). Continueremo a seguire la questione siriana con attenzione.

Foto e fonte: Ansa

Recensione “Il giardino delle rose” di Chiara Ragnini e intervista all’artista

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La musica che Chiara Ragnini ci propone è fresca, orecchiabile ed emozionante. Le premesse per un disco interessante ci sono tutte e ascoltando le canzoni dell’album “Il giardino delle rose” se ne trova conferma. Sin dalla prima traccia si rimane attratti dalla musicalità che l’artista esprime, “Quello che ho” è infatti una ballata elegante e con ritmo intenso e passionale. “Gli scoiattoli del bosco” ci porta in una brillante favola in musica, esplorando un sentiero immerso in sentimenti che svaniscono con i colori del tramonto e nei suoi riflessi sul mare, mentre “Il giardino delle rose” regala chiavi di lettura nascoste nei versi che sembrano volare su una melodia accattivante. “Ogni mia poesia” è un dolce e soffuso soffio di vento rubato a una precoce primavera, mentre “Acqua da bere” incanta nel suo giro di chitarra e nell’avvolgente voce di Chiara. “Guardami” è come un sussurrato richiamo tra semplicità e abbandono a una passione tagliente,“Oltre le nuove” possiede un’inconsapevole coscienza che esprime serenità nel guardarsi dentro, oltre le luci di una nuova alba. “La neve non fa più rumore” è un pezzo soffice, che sembra viaggiare su un cuscino di note, così “Di terra e di mare” ci accompagna con la melodia sognante delle chitarre sulle quali si posano leggermente le parole di Chiara, che accarezza con la sua voce un ritornello orecchiabile  e sinuoso. Il disco si chiude con la ritmata “Aria”, che come un ballo in riva al mare ci fa sentire a una festa in spiaggia, tra parole che si rincorrono in questo passeggiare tra i ricordi, la dolce malinconia e le parole sussurrate a una poesia distratta. Ci si perde in una favola sincera ascoltando queste canzoni, leggere come piume, piacevoli, nelle quali sembra di sentire il sapore dell’estate, di percepire i colori di ogni singola nota che si perde nei brividi della voce intensa e passionale di Chiara Ragnini. Sicuramente “Il giardino delle rose” è un album da ascoltare e dal quale lasciarsi trasportare in un viaggio di sensazioni che rimette in pace col mondo. Un bel disco.

Vi abbiamo presentato il disco “Il giardino delle rose”, ora Chiara ci racconterà di lei, rispondendo alle domande che le abbiamo posto:

1. Le tue canzoni sembrano delle favole in musica, sono avvolgenti e intense. Quanto ti senti rappresentata dalla tua immagine di artista? Ci sono cose che nascondi alle tue canzoni?

La mia immagine come artista coincide con la persona che sono quotidianamente: solare, positiva, con una enorme curiosità e voglia di conoscere il mondo. Le mie canzoni rispecchiano stati d’animo che spesso tendo a nascondere alle persone che mi sono vicine, perciò ti direi che è più il contrario: tendo a riversare in musica emozioni e parole che da sola farei fatica a tirare fuori. La musica è per me un mezzo potentissimo per emozionarmi ed emozionare.

2. La tua musica sprigiona sensazioni e si sente la fragranza delle emozioni che ti animano, come pensi che i prodotti costruiti dai reality possano ostacolare chi come te esprime la propria anima costruendosi un’identità col sudore, i sacrifici e soprattutto suonando in giro?

Purtroppo il mercato attuale italiano vive un periodo particolare: si preferisce investire su prodotti facili, preconfezionati, omologati. Investire su idee nuove è un rischio e probabilmente al momento non ce lo si può permettere, fatto salve per poche eccezioni. Spero tanto di poter trovare chi possa affezionarsi al mio progetto al punto da volerci mettere la stessa passione che ho io, anche in termini economici.

3. La musica sta cambiando per rigenerarsi in icone spesso fasulle e coperte di paillettes. Secondo te c’è ancora spazio per l’essenza, per la verità e per la purezza delle emozioni?

Io credo di si.
Credo che l’appiattimento culturale, generale e non solo nello specifico della musica, debba per forza finire, prima o poi, implodendo su se stesso.
Nel frattempo, se i grossi canali mediatici e di comunicazione non offrono spazi adeguati, bisogna prendersene altri con le unghie e con i denti. E questo è il mio caso.

4. Nelle tue canzoni parli molto di natura, che rapporto hai con lei? Dove componi le tue canzoni e cosa ti ispira maggiormente?

Adoro stare in mezzo al verde, il mare e la campagna sono le mie dimensioni ideali. Da tre anni a questa parte vivo immersa negli ulivi dell’entroterra ponentino ligure e questo è stato e continua ad essere molto stimolante per la scrittura e la composizione. Anche se, in realtà, molte delle idee migliori nascono in macchina, tornando dal lavoro oppure durante i miei spostamenti da e verso Genova, la mia città natale. Trovo molto stimolante anche comporre testi e musiche con altre persone: l’esempio più recente è stata Due Castelli sulla Sabbia, scritta a quattro mani con Michele Savino, cantautore, compositore e grande amico, genovese come me; ma cito con grande piacere anche l’esperienza di Radar Talent Interceptor, condivisa con gli amici musicisti Subbuglio!, band del savonese, Claudia Loddo, cantautrice romana, Monica Criniti, cantautrice meneghina, e molti altri. In quell’occasione abbiamo fatto del vero e proprio brainstorming ed è nata una gran bella canzone, che spero sentirete presto. Occasioni come quella sono davvero molto, molto stimolanti per la creatività.

5. In “Ogni mia poesia” racconti una parte di te intima e intensa, quanto ti racconta davvero questa canzone?

Ogni mia poesia è una canzone d’amore, autobiografica, intima. Mi racconta appieno, dando un’idea molto precisa di cosa significhi per me amare una persona.

6. Tra le tue canzoni compaiono parole come Terra, Acqua e Aria e il tuo modo di cantare esprime il fuoco. Raccontaci qual è il tuo quinto elemento, quello che ti rende così viva e vivace, così come traspari nelle tue canzoni.

Sicuramente la passione, sempre alla base di tutto: senza di essa non avrei avuto la forza e la determinazione di arrivare dove sono arrivata e dove arriverò, piano piano e con fatica e sudore.

7. Qual è il momento più emozionante della tua vita musicale e che senti di raccontarci?

Ce ne sono tantissimi, sicuramente l’aver suonato la chitarra di Luigi Tenco è fra questi. L’occasione è stata quella del Restauro in Festival, curato da Pepi Morgia, l’estate scorsa qui in Liguria. Più in generale, suonare dal vivo è sempre l’emozione più grande, percepire l’attenzione e la curiosità negli occhi delle persone, il calore degli applausi e i complimenti sinceri, che quando arrivano si sentono, forti e chiari.

8. Il mondo della musica non è perfetto, c’è ancora molta ipocrisia, soprattutto quando si calcano palchi importanti come quelli sui quali ti sei esibita?

Per quanto possa sembrare strano, in realtà c’è molta più ipocrisia e invidia nei contesti piccoli che sui palchi importanti. Purtroppo nelle scene locali manca spesso la voglia di collaborare e supportarsi a vicenda, senza rendersi conto che cercare di pestarsi i piedi gratuitamente non è altro che una guerra fra poveri. Bisognerebbe imparare a mettere il becco fuori dall’uscio di casa propria, allargare i propri orizzonti, soprattutto mentali, e avere voglia di confrontarsi e condividere. D’altronde, la musica è principalmente condivisione. No?

Grazie Chiara per la tua disponibilità. In bocca al lupo per il tuo lavoro!

Recensione “Mr Thomas’s Travelogue Fantastic” dei Thomas

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Gli stili musicali che si intersecano in questo disco sono molti e l’effetto provocato è molto interessante. Il primo pezzo “Frenkin’Monsters” è ritmato, con influenze che viaggiano dal jazz al blues, senza dimenticare l’elettronica, mentre il secondo “Bee Hive” mostra un’atmosfera tra rock e musicalità che si perdono negli anni 70’. “43 sunset” possiede le potenzialità musicali del rock puro, anzi del Rock and Roll, per essere più precisi, anche in questo caso con contaminazioni della musica anni ’70. Il risultato è una sonorità moderna e accattivante. “Rollercoaster” si lancia in un periodo storico e musicale più recente: gli anni ’80 e lo si capisce si dalle prime note della canzone. Orecchiabile e affascinante, con un ritornello che si apre a sonorità degne della Discomusic. Parlavamo di anni ’70 ed eccoli esplodere in “Sunshine”, pezzo trascinante e ricco di richiami musicali da apprezzare e approfondire a ogni nota. “True Romance” suona moderna, elettronica quanto basta, trasposizione adatta alla musica club, originale e classica allo stesso tempo. Ottima miscela per un pezzo che sa farsi ascoltare. “Clogged” è una ballata lenta, ma ricca di sapori particolari e intriganti, c’è un’originalità che si esprime proprio nei continui richiami alle sonorità di tempi diversi. Questa miscela esplosiva genera pezzi particolarmente succosi. “Monolab” ci porta quasi alla musicalità dei “Beatles” con contaminazione elettroniche e non è una cosa facile da creare, considerata la tipologia dei pezzi precedenti. Ciò che emerge è un’estrema duttilità di questi musicisti, capaci di entrare in epoche diverse, come se viaggiassero sulla macchina del tempo. Come parlare dei Beatles senza citare anche i Rolling Stone? Ebbene “Hei!” in parte ci porta proprio all’altra faccia del rock, quella più “sporca”. Il disco termina con una ballata armoniosa, “Santhe”. Piacevole ascoltarla e gustarla, come per tutte le canzoni di questo album che racchiude tanti generi, emozioni e gusti diversi. E’ difficile decifrarne il contenuto fino in fonfo, poiché si presta molto alla soggettività dei vari ascoltatori. Si, perché è davvero un disco che è difficile non apprezzare, per l’intuito creativo e per la conoscenza della musica a 360 gradi. Ottimo sound, classico ma contemporaneo, diverso e tradizionale. Controsenso? Si, lo è, ma è controsenso assolutamente positivo. “Mr Thomas’s Travelogue Fantastic” è un bel disco.