Recensione “Blank Times” di Fausto Rossi

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Lo stile espresso da Fausto Rossi  è raffinato e intimo. Canzoni particolari, come la ballata dal sapore rock e malinconico “Tu non lo sai” raccontano la storia di questo autore. Melodia avvolgente e voce coinvolgente in “Stars”. “Sogni” ipnotizza con chitarre distorte e parole criptiche mentre un sound particolare, moderno e innovativo esplode in “The Hill” e quasi nella quasi sperimentale in “I write aloud”, un pezzo che appare forte e tormentato. “Names” e “Can’t explain” sono ottime ballate, orecchiabili e intense. “Il vostro mondo” si aggrappa a uno stile classico e innovativo allo stesso tempo, che sperimenta emozioni e le racconta. Parole come suoni distorti e graffianti, temi ricercati. “Non ho creduto mai” racchiude una grinta e una passione per la musica e per la vita che non si può ignorare, una guerra che le note placano, una notte che la musica riaccende, un’anima che grida il suo nome, che ulula a una luna distratta. “Down down down” culla, con una musicalità che entra sottopelle, lenta e inesorabile, forte e profonda, come onde che scavano in fondo all’anima. Struggente e passionale. Parole immerse nel calore di un momento. I pezzi di Fausto Rossi racchiudono tante emozioni, suoni vellutati e talvolta devastanti, brividi che si rincorrono. Echi di suoni lontani, espressi da chi conosce la musica. E si sente. Una miscela che raccoglie sonorità di un rock più classico e le fa sposare con sonorità al limite dello sperimentale. Un’anima dannata forse, quella di Fausto Rossi, ma che sa quel che fa e dove vuole arrivare. Una storia che parte da lontano e un presente che si fa sentire, chiaro e forte come un ruggito di un leone che ha ancora tanto da dire. Musica ottima e di qualità, senza ombra di dubbio. Un ottimo artista che propone un ottimo album, “Blank Times”.

Recensione dell’album “Luca Loizzi”

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Fare i cantautori esige capacità e conoscenza del mezzo espressivo, oltre a una buona dose di volontà di osare. Queste caratteristiche sembrano non mancare a Loizzi, che regala un album ricco di spunti interessanti. Lo si capisce già dal primo pezzo “Quando meno te lo aspetti”, graffiante, aggressiva e attuale, e in “Tutti quelli”, in cui Loizzi presenta un quadro quasi agghiacciante di una società spesso ipocrita, che vende sogni già infranti e costruisce la propria immagine a tavolino. Giochi di parole e atmosfere che somigliano più a uno sfogo in musica contro un sistema che brucia le speranze in “Che fastidio”. Cinismo che si scaglia contro la morale cattolica e in generale contro l’ipocrisia. Nell’album ci sono anche momenti più introspettivi, ed è il caso del pezzo “Via Ripamonti” in cui le divagazioni sulla vita e sul senso delle cose diventano una ballata con ritmo e trasporto. In “Taglio la corda” Loizzi racconta un’Italia senza dignità e nome, da cui scappare. Ancora momenti in cui l’amore diventa canzone. “Pillole” è una valzer struggente, che racconta di una donna che è andata via. C’è la speranza di ricominciare con i resti di ricordi di un amore che non vuole morire, un amore per una donna che non si riesce a odiare. “Di notte” è una ballata che ricorda quelle di Vecchioni. Anche “Il pazzo” ricorda la musica d’altri tempi, un po’ Gaber, con parole attuali. Atmosfera soffusa in “Milano”, sfumature di una città che si sveglia e che torna viversi, con le sue idolatrie e i suoi sogni. Un album pieno di ironia, sarcasmo. Polemico e intrigante, che mette al centro il pensiero, le parole e le idee. Ed è un’ottima cosa. L’album omonimo “Luca Loizzi” è da ascoltare più volte, soprattutto per capirne bene i contenuti. La musicalità ha origini nel jazz, folk e tante altre contaminazioni che portano uno stile cantautorale di tutto di rispetto. Ci sono tante contaminazioni, ed è giusto così, ma ora ci aspettiamo un salto per raggiungere un grado di unicità e che permetta all’autore di prendere una posizione stilistica certa e determinata, staccandosi così da quella che è l’impronta dei cantautori italiani storici. Non è facile, ma Luca Loizzi ha tutte le carte in regola per diventare unico nel suo genere.

Intervista alla scrittrice Barbara Baraldi

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Barbara Baraldi è una scrittrice di successo, autrice di numerosi romanzi di successo come Scarlett e “La bambola dagli occhi di cristallo”, esponente di primo piano del thriller gotico italiano, poliedrica e fantasiosa. Le abbiamo posto alcune domande ed ecco l’intervista che gentilmente ci ha concesso:

Nel romanzo descrivi una Bologna quasi lugubre, ma tra le righe traspare un sentimento intenso. Che rapporto hai con questa città?

Amo Bologna e ho cercato di svelarne i lati oscuri e le contraddizioni fino a renderla quasi uno dei personaggi del romanzo, una dark lady dalle mille sfaccettature.



I personaggi principali di questo romanzo sembrano combattere prima di tutto con se stessi, un conflitto difficile e profondo. Cosa c’è di te nei tuoi personaggi?

In realtà pochissimo. Mi sforzo di seguire la voce dei personaggi, di lasciarli sbagliare e di illuminarne forze e debolezze per renderli vivi, capaci di respirare.



Nella tua carriera di scrittrice riesci a spaziare tra thriller, romanzi per i ragazzi e fumetti, qual è il tuo genere preferito, quello in cui riesci a trovare maggiormente la tua vera anima?

Scrivo quello che mi piacerebbe leggere, senza pensare al genere. In effetti, molti adulti leggono i miei romanzi definiti “per ragazzi” e a volte le storie più cupe sono diventate le preferite dei giovanissimi. Cerco di raccontare una storia e di farlo al meglio.

Quanto è importante lo studio per riuscire a diventare un bravo scrittore?

In realtà penso che la cosa più importante per diventare un bravo scrittore sia leggere. Tanto, e senza escludere nessun genere.


Nel noir l’omicidio è un fattore molto importante. Secondo te perché questo argomento è così attraente per i lettori? Cosa pensi del fenomeno televisivo della spettacolarizzazione degli omicidi reali?

Si tratta forse di quello che Stephen King definisce “allenarsi alla paura”. Leggere di omicidi e orrore quotidiano aiuta a scacciare l’ansia nella vita reale.
Per sfuggire alla spettacolarizzazione degli omicidi reali ho smesso addirittura di guardare il telegiornale. Seguo l’informazione in rete, dove si danno notizie senza banchettare sui dolori della gente.

Nel tuo romanzo si nota una grande attenzione per l’esaltazione della femminilità, quanto ti appartiene questo aspetto?

La femminilità per me non sta nell’abbigliamento sensuale ma piuttosto in uno sguardo, nella consapevolezza della propria forza femminea, nell’esaltazione della propria essenza. Ogni donna è bella, in quanto unica.

Ringraziamo Barbara Baraldi per la gentilissima collaborazione.

Ho gli occhi aperti – Racconto

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Ho gli occhi aperti, o almeno credo di averli. Ogni volta che arriva, la mia testa esplode. Scandisce il ritmo di questa vita, in cui non posso né alzarmi in piedi, né toccarmi viso. Qualcuno mi inumidisce le labbra, secche e screpolate. Il sapore del liquido è aspro e mi disgusta. Ripenso ai suoi baci. L’ultima immagine che ho di lei è di una donna con gli occhi spalancati, preda del terrore, trascinata da due uomini fuori dal mio appartamento. Le esplosioni nella mia testa continuano. Non mi fanno dormire, mai. A volte credo di essere già morto, ma non lo sono. Ogni ricordo rimbomba per ore nella mia testa, come la goccia che instancabile cade sulla mia fronte. Eravamo al parco, quando i nostri sguardi si incontrarono. – Come ti chiami? – riuscii solo a chiederle. I suoi occhi sembravano un angolo di cielo. Mi attirò verso di sé e mi trascinò dietro un cespuglio. – L’abbiamo scampata per poco – disse, mentre due soldati in uniforme passavano marciando lungo la stradina sterrata. Sentivo il calore del suo corpo e il profumo di vaniglia. Mi baciò. Dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, si allontanò, per sparire in fondo alla via. Qualche secondo più tardi uscii dal cespuglio e mi incamminai. Per un attimo incrociai lo sguardo di un passante e mi chiesi se ci avesse visti, ma il pensiero svanì nella nebbia, così come quell’uomo. L’ho rivista altre volte, fino a quel giorno. La testa mi sta per esplodere e quelle maledette gocce non si fermano. Continuano a cadere, sempre. Esplosioni che annientano la mia anima. Un rumore che mi uccide. Lentamente. Lei era la figlia di un uomo che si era ribellato allo Stato, al Regime Comunista. Un uomo che lottava per la libertà. Lui, era un sovversivo. Io, solo un uomo innamorato.

Recensione Concerto Ri-Cover 29/12/2012@Cortile del Maglio

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Cortile del Maglio, 29 dicembre. Ore 22.30. Energia allo stato puro, emozioni e una carica positivamente distruttiva. E’ ciò che i Ri-Cover esprimono. Classici della musica italiana e internazionale rivisitati, rivissuti, completamente trasformati rivivono e risplendono di luce nuova. Il tutto grazie all’abilità dei musicisti Alex Nicoli, Seba, Giorgio Josh Angotti e alla voce forte e graffiante dell’esplosiva Claudia Salvalaggio. Da Lamette a Nessuno mi può giudicare, una carrellata di bombe che esplodono e fanno cantare e ballare il pubblico. Arrangiamenti ben costruiti, calore e momenti di ilarità, tutti ingredienti che rendono lo spettacolo di questo gruppo sempre affascinante. In particolare in questo spettacolo la band si è messa in gioco ospitando dei loro amici, nonché ottimi musicisti, come il bravissimo Paolo Fracasso, che hanno regalato un tono ancora più rock e internazionale alla serata. Spettacoli che ogni volta si rinnovano e si ricreano, suoni ottimi, e melodie avvolgenti. Star indiscussa della serata è Claudia Salvalaggio che duetta e trascina lo show con maestria, bravura e semplicità. I concerti dei Ri-Cover sono un appassionato consiglio per chi ama la  musica e vuole passare un paio d’ore assaporando belle canzoni, magari ballando un po’.

Le pagine bianche

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Guardare queste pagine bianche non mi aiuterà, così illudermi che i silenzi d’un tratto possano parlare. Sognare ciò che un sogno è stato, è ingannarsi, è una ferita che sanguina pensieri. Che mi lascia senza più note da suonare, senza parole da scrivere. Senza nubi da guardare. Senza la luna alla quale ululare, ogni qualvolta che si mostra nel pieno della sua bellezza. Ogni notte è un rintocco che scandisce gli attimi che nella mia mente si rincorrono.

Ogni istante non svanisce mai davvero, resta lì, senza affondare. Senza restare a galla. Quel che volevo era lì, a un passo. Ed è ancora qui. Dentro.

Nebbia

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Avvolto in una nube di nebbia, con occhi infranti, e sogni naufraghi. Fermo, di fronte a un mare di ghiaccio. Ed è quel che resta, degli occhi, degli sguardi. Di me.

Cadere, lentamente. Negli occhi che sussurrano, e immagini che cambiano, nei riflessi che si rincorrono. Mi hai avvolto in una nuvola, stretto ai respiri più profondi.

Il suonatore di violino – Racconto

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L’uomo camminava a passo veloce. Si voltò e vide che la donna con lo sguardo cupo chiedeva qualcosa ai passanti, mostrando un oggetto. Accelerò il passo, muovendosi tra lo sciame di passanti di un sabato pomeriggio nel centro di Milano. Si scontrò con una ragazza e per un attimo perse l’equilibrio, nel suo sguardo cercò qualcosa che placasse la sua inquietudine, ma lei, indifferente, riprese a camminare. Raggiunse la piazza e rallentò. Guardò il Duomo, soffermandosi sulla madonnina – Perché? – sentì chiedere da una voce, dentro di lui. Con la coda dell’occhio vide la donna chiedere qualcosa alla ragazza che l’aveva urtato poco prima e voltarsi entrambe nella sua direzione. Si confuse nella folla e imboccò la via che costeggiava il Duomo. Vide il portico pieno di persone che gli sembrarono piene di vita. E si sentì vecchio, improvvisamente. Alla fine della via una musica, struggente, lo attirò. E si fermò ad ascoltare un uomo con un impermeabile logoro che suonava il violino. Sentì le lacrime scivolare sul viso. Ripensò a una sera lontana, a un camerino, al suono dei passi sul velluto del corridoio scuro e sul legno dei gradini. Poi la luce, accecante. Il palcoscenico. Socchiuse gli occhi, cercando nel buio, tra la gente che applaudiva, un volto, uno sguardo. Sentì quel calore unirsi al tocco delle sue dita che si muovevano con grazia sui tasti bianchi e neri di un pianoforte a coda. Le note, i silenzi. La passione. Una voce alle spalle lo fece trasalire. Si voltò e vide una donna che non conosceva, affannata, con in mano una fotografia che lo ritraeva. – Ma dove eri finito? – gli chiese. Un’eco lontano, e per un attimo l’uomo riconobbe lo sguardo che aveva cercato nel buio. Si guardò le mani, rugose e raggrinzite. Tremavano. Non riusciva a fermarle. In quel momento le odiò, le sue mani. Poi il ricordo svanì – Quante volte il dottore ti ha detto di non andare in giro da solo? – disse una voce ovattata, quasi a nascondere le note strazianti del suonatore di violino.

Spettri

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Si diventa spettri, teorie invisibili sui palchi silenziosi delle sere d’ottobre. E vetri sporcati dalla pioggia, ingannati dalla luce lieve. Trasparenze, giochi di incauta bellezza. Lucidi, occhi, e labirinti senza entra né uscita. Vortici.

Intervista a Zibba, autore dell’album “Come il suono dei passi sulla neve”

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Abbiamo pubblicato la recensione del disco “Come il suono dei passi sulla neve” di Zibba e gli Almalibre. Ecco a voi l’intervista a Zibba per la rubrica interchattazioni:

“Come il suono dei passi sulla neve”, un titolo che evoca ricordi, orme, pensieri. Quando ti volti dall’altra parte, verso l’orizzonte, cosa vedi?

Se per orizzonte intendi qualcosa da raggiungere ti dico che sto bene qui, non devo raggiungere nulla. Il mio passo più importante è quello che farò oggi, ma non so dove mi porterà e nemmeno me ne preoccupo. Mi piace sapere che la vita ce la giochiamo giorno per giorno. Ho smesso di cercare di raggiungere qualcosa. Fortunatamente quello che ho mi basta, o come diceva De Andrè… quello che non ho è ciò che non mi manca ecco…

Poi mi volto, spesso. Dall’altra parte, da tutte le parti. Punti di vista. Importantissimi.

In alcune delle canzoni del disco parli sentimenti, non necessariamente d’amore, ma sembri un po’ più cinico. E’ solo una sensazione?

Non lo so, forse a volte. Credo, spesso, di essere più consapevole che cinico, anche se a volte mi riconosco in un bel bastardo. Ma sai cosa, allenarsi alla felicità è un lavoro. Ogni tanto si inciampa su piccolezze negative, ma serve per darsi una sciacquata. Come quando stai troppo al sole e poi hai bisogno di tuffarti nell’acqua gelata per darti uno scossone.

Hai calcato palcoscenici molto importanti, altri più semplici. Quando guardi la gente dal palco vedi sempre gli stessi sguardi?

Direi di si. La gente che ho davanti quando canto è sempre interessata, attenta, gioiosa. Sono fortunato forse, seriamente. Già solo per il lavoro che faccio. Ma anche perchè non rivolgendomi ad un pubblico specifico conosco un sacco di gente diversa, di età diverse e appartenenze differenti tutti uniti dalla stessa voglia di stupirsi, di lasciarsi emozionare dalla vita. Sono una bella squadra di sostenitori, con un sorriso in faccia e la mano tesa verso l’esterno ad afferrare. Mi piacciono.

Il successo ti spaventa?

La fama mi spaventa. Ma non è cosa per me. Il successo a volte è anche piacevole, almeno nelle piccole cose quotidiane. La fama credo sia pericolosa. Ho conosciuto persone che sono uscite dalla fama non per scelta e con una bella depressione attaccata al collo. A me non tocca, perchè non faccio musica con la quale si diventa famosi. Si ha successo. Come un buon artigiano che fa buone sedie, se si lavora bene si ha successo nel proprio campo, e non è altro che appagante per i propri sforzi.

Il tuo nuovo disco contiene numerose collaborazioni importanti, hai un rapporto più personale o professionale con questi artisti?

Con alcuni ci scambiamo bellissimi e lunghissimi abbracci. Con altri ci sentiamo poco ma sempre con gioia e stima reciproche. Non collaboro con nessuno che non sceglierei come compagno di avventure o come commensale per una buona cena. Sono tutte persone meravigliose, capaci di colorare ed illuminare la vita di chi gli sta attorno.

Quanto ti appartiene la splendida “O mae ma”?

Quando mi appartengono tutte le mie canzoni, forse con un pizzico di pudore positivo. Parla di mio padre, di mio nonno, dell’alluvione di Genova e di decine di altre cose che mi riguardano da vicino. Adoro sapere che con me in quella canzone c’è Vittorio De Scalzi. Mi ha regalato una gioia immensa cantandola con me ed è stato prezioso nell’aggiustare il testo in genovese. Un vero maestro a cui devo tanto, e se non altro sicuramente una vita di sorrisi infiniti.

I librai sono ancora sognatori? E tu, lo sei ancora?

Si, sono un sognatore affamato. Ma ci sono istanti in cui magari si perde la forza, e allora mi piace pensare che i sognatori siano i librai, che custodiscono per noi tutte le parole e le frasi di cui abbiamo bisogno. E magari i poeti sono i fornai, che si alzano presto. Che preparano il pane per tutti noi. Forse la vera poesia sta lì. Nella vita stessa. Nella meraviglia del semplice fatto che siamo qui. Non si può non sognare. Sarebbe un tragico errore.

Ringraziamo Zibba per la gentile collaborazione.