Elezioni 2013 – Analisi del voto

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L’analisi del voto di queste elezioni 2013 è difficile e complicata, ma partirei dai primordi. Dopo la seconda mondiale un gruppo di persone che avevano subito il regime fascista e la guerra, ha permesso di dare vita a un referendum per spazzare via dalla storia la monarchia, complice del regime. Ha visto la luce la nostra Costituzione. Dopo quella la spinta, che alcuni definiscono “comunista”, ha portato a tutta una serie di miglioramenti del popolo e dei lavoratori, che hanno iniziato a potersi permettere automobili e vacanze. Il tempo cambiava, così come cambiava lo scenario internazionale, dalla guerra fredda tra Urss e Usa si è passati dal crollo del Muro di Berlino e alla nascita del capitalismo, che sembrava potesse migliorare ancora di più il benessere dei lavoratori, che nel frattempo, grazie ai sindacati, riuscivano a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari. Poi l’Urss è crollata, o meglio si è lasciata trascinare dall’ondata del cosiddetto capitalismo, fino ad arrivare ai giorni nostri. Scenario sbrigativo questo, certo. Ma sufficiente per capire a cosa si aggrappano i partiti come Pd e Pdl, uno scenario antico. Così pare. Ma la verità è che il confronto tra due sistemi diversi, quello americano e quello russo ha dato luogo al sistema italiano, che consentiva competitività e condizioni positive per i lavoratori. Quando la politica ha permesso di dare più spazio a imprenditori diversi da Giovanni Agnelli, a manager senza scrupoli, tutto è cambiato. I diritti acquisiti sono stati lentamente smantellati, così come la speranza. Sono subentrati manager senz’anima, pronti a sacrificare tutto per il bene del bilancio delle aziende. I lavoratori, un tempo uniti, sono stati frammentati e disuniti, obbligati a votare per referendum che imponevano strategie deleterie per i lavoratori. Per tutti i lavoratori. La politica del Pd, del Pdl e dopo del governo Monti ha aiutato questo processo. Fenomeni come quello di Renzi hanno reso ancora più pericoloso l’emergere di teorie a favore di una maggiore flessibilità. La rottamazione non era solo quella dei politici, ma delle ideologie, dei diritti, che sono stati definiti in alcuni casi anche privilegi. Man mano la crisi ha completato l’opera, riducendo al minimo i consumi, facendo perdere la speranza a tutte le categorie, imprenditori compresi. Così “il popolo” ha iniziato a dover rinunciare all’automobile, alle vacanze, e poi ai diritti, il tutto per garantirsi un lavoro, spesso per pochi soldi. I giovani, spesso laureati, costretti a lavorare senza professionalità e soldi, i più anziani costretti a rincorrere una pensione che non arriva mai. Da qui nasce l’insoddisfazione. La paura per il futuro. La rassegnazione. E in televisione i soliti volti hanno giurato sulla ripresa, proposto soluzioni, già sperimentate e sconfitte. Evasori che vogliono condonare l’evasione. Corrotti che vogliono depenalizzare la corruzione. Ipocriti sotto diverse bandiere. C’era voglia di serietà, per una volta. Ma la rabbia ha dato vita, e non da oggi, a un movimento che ha distrutto ogni cosa, con l’idea di ricostruirla. Parlo del Movimento 5 Stelle. Con le coalizioni di centro-destra e centro-sinistra di fatto a un pareggio e con poche idee nuove, quali sono le prospettive? E soprattutto, chi ha votato m5s è consapevole che rimuovere i sindacati equivale a rimuovere la storia, le istituzioni che nonni e genitori hanno conquistato? Gli italiani, che siano elettori di destra, sinistra, renziani, o grillini, sono consapevoli che questo rinnovamento potrebbe portare a una distruzione di buona parte della Costituzione?

Intervista alla vincitrice del Premio Lunezia, Amélie

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Amélie è la vincitrice del Premio Lunezia, briosa, affascinante e musicalmente elegante, riesce ad appassionare con una voce suadente. Amélie ha risposto ad alcune domande. Conosciamola meglio nella nuova interchattazione!

Partiamo dalla vittoria del Premio Lunezia, che soddisfazioni ti ha dato, e quanto ha contribuito a darti ancora più forza per raggiungere i tuoi obiettivi?

Il Premio Lunezia è stata fino ad ora la più grossa soddisfazione ottenuta in campo musicale. Il Premio che viene conferito è sia per il valore musicale che letterario e ciò che viene preso in considerazione è l’artisticità a 360 gradi, per cui vincerlo è stato un grandissimo onore.
Poi l’esibirsi davanti a 15 000 persone sullo stesso palco sul quale salgono grandissimi artisti come Niccolò Fabi, Subsonica, Arisa, Nomadi, Giovanardi ecc è una emozione che mi porterò sempre nel cuore. L’essere stata apprezzata è stato qualcosa di splendido, ti da una maggiore fiducia in te stessa e ti da l’energia per andare avanti e pensare che forse sei sulla strada giusta e ciò che fai può davvero essere apprezzato da molti. Dalla vittoria del Premio Lunezia ho cominciato a capire che ci sono persone che credono davvero a questo mio progetto e che sono disposte a sostenermi con passione e determinazione.

Qual è la musica che ti piace, e cosa ti ha spinta a iniziare a suonare?

Amo tutta la musica, dal pop al rock, dal soul al funky, da tutta la musica anni 80 a quella anni 70, dalla classica all’opera … (l’unico genere che non sento molto è il trash metal) Il mio grande amore è Michael Jackson (che per me rappresenta la Musica e l’Arte) ma adoro anche Noa, Eva Cassidy, i Beatles, I Genesis, gli Air, i Queen, i Depeche Mode, i Muse, Elisa, Battisti, Gaber, Endrigo, Fabi ecc ecc.
Mi ha spinto ad iniziare a suonare il vecchio pianoforte che avevo in casa….fin da bambina ho nutrito grande curiosità per quel giocattolone meraviglioso e a furia di giocarci ho intrapreso questa strada….

Credi che la musica possa essere un modo per reagire al decadimento culturale a cui capita di assistere?

Penso che la musica possa essere un importante strumento di “rivoluzione” e “protesta”, ma anche di pura “poesia” ed “emozione”, un modo per raccontare se stessi e condividere il proprio vissuto con altre persone che potrebbero rivedersi in ciò che esprimi. E’ come se attraverso la musica si arrivasse a rendere “percepibili” cose che stanno in un’altra dimensione….è come toccare e comprendere qualcosa che sta al di la dei nostri sensi, della nostra realtà. E questo in generale è una prerogativa che appartiene a qualsiasi forma di arte… e l’arte già di suo è sempre una necessità di reazione al decadimento culturale.

La tua musica è briosa, affascinante, come il personaggio che presenti al pubblico. Quando scendi dal palco, sei la stessa?

Grazie per l’affascinante e il briosa … io sono una pazza giocherellona ma anche romantica e malinconica e credo che questi due aspetti siano percepibili anche nel tipo di musica che propongo. Sul palco riesco ancora di più ad esprimere me stessa, perché al contrario di quello che si possa pensare, sono convinta che il momento in cui devi toglierti qualsiasi tipo di maschera sia proprio quello in cui sali sul palcoscenico davanti al pubblico…Sono profondamente convinta che solo essendo “vero” puoi riuscire a generare “emozioni”. Infondo la musica deve essere un modo per esprimere sinceramente se stessi, non un modo per costruirsi ed apparire. E’ una forma di comunicazione e mancherebbe di significato se si puntasse sul mostrare qualcosa di diverso da ciò che siamo realmente.

Panorama musicale italiano, secondo te viene dato troppo spazio a mostri sacri che a volte han poco da dire, rinunciando così a puntare su giovani di talento?

Sinceramente penso che in Italia si stia puntando poco sia su mostri sacri che su giovani di talentoL’unica cosa su cui si punta è la spettacolarizzazione televisiva alla quale sono assolutamente contraria. Potrebbe funzionare… ma solo se messa in secondo piano rispetto alla qualità musicale. Oggi si punta più sulla costruzione di personaggi che sul messaggio e sul talento. E puntualmente i personaggi costruiti si sgretolano con il tempo andando nel dimenticatoio nel giro di pochi anni… ed ecco che si parla di crisi della discografia…ma è un discorso complicato, ci vorrebbe un convegno di 1 mese per analizzarlo a fondo

Vedrai Sanremo? Cosa ne pensi di questo spettacolo?

Si almeno la prima serata credo di guardarla. Sanremo è un grande baraccone…che però rappresenta la principale strada per farsi conoscere al grande pubblico anche se più passa il tempo e più sono convinta che non sia l’unica vera chance per tentare di raggiungere qualcosa di importante. Ultimamente a mio parere anche qui purtroppo si sta puntando fortemente sulla spettacolarizzazione lasciando come al solito la musica in secondo piano.
Quest’anno farò il tifo per Simone Cristicchi tra i Big e per Renzo Rubino tra i giovani

Oltre al già citato Premio Lunezia, esistono, a tuo avviso, concorsi canori seri e ancora in grado di far emergere nuovi talenti?

In base alla mia esperienza posso dirti che fino ad ora il Premio Lunezia è stato davvero il top…e lo consiglio a tutti coloro che vogliono vivere qualcosa di “forte” che può dare in qualche modo una buona visibilità. E’ un premio serio, riconosciuto, organizzato con grande professionalità e qualità.
Poi suggerisco anche il Premio Poggio Bustone (Lucio Battisti)…anche questo è un concorso che punta molto sulla musica, organizzato in maniera pulita e pieno di grandi emozioni da vivere.
Mi sono trovata molto bene anche al Biella Festival. Anche se non li ho mai tentati, da quello che ho potuto vedere e sentire, credo siano molto validi anche il Bianca D’Aponte e Musicultura. Queste esperienze in generale penso siano un modo per mettersi alla prova e crescere….anche se in questo momento la mia priorità è il lavoro sul secondo disco.

Concludo chiedendoti qual è, secondo te, la situazione della musica italiana emergente? Ci sono artisti che ti piacciono?

La musica italiana credo abbia due facce:
– quella ufficiale: in grosso decadimento, con scarsa qualità nella maggior parte dei casi, con poca varietà a livello di personalità reali e vere.
– quella ufficiosa e di sottobosco: in fermento, ricca di gente interessante e con belle idee, grande creatività e immensa passione.
(Per cui spero che presto si ribaltino le cose ) Ma sono convinta che oggi con lo sviluppo del web il mondo indie abbia grandi possibilità di sviluppo…ormai sui canali ufficiali passano sempre le solite cose…e il pubblico ha bisogno di altro….la gente sta cominciando a reagire…e in quanto strumento democratico il web da la possibilità alle persone di scegliere liberamente e attivamente ciò che desiderano ascoltare, senza nessuna imposizione discografica….
Tra gli artisti italiani odierni che amo ci sono Niccolò Fabi ed Elisa in primis…

Ringraziamo Amélie per la gentile collaborazione. Se volete scoprire ancora meglio il mondo amelitico, ecco il suo sito web

Recensione del disco “Non sono mai stato qui” e intervista all’autore Davide Geddo

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Davide Geddo è un cantautore che sa toccare le corde giuste, l’avevo capito sin da quando ho sentito per la prima volta “Genova”, ma in questo disco si è superato. E con la complicità di un amore finito ha reso ogni nota un fiume in piena e allo stesso tempo un rivolo leggero in grado di scavarsi una strada in una roccia. La prima canzone dell’album “Non sono mai stato qui” è “Venezia”, struggente, con parole appassionate e forti dedicate a una donna ancora amata, che è fuggita via, un giorno come un altro. Descrive un cambiamento, una trasformazione interiore che, tuttavia, non riesce a far dimenticare. La durezza d’un amore che resta lì, a osservare. Come quando ci si guarda allo specchio e ci si scopre diversi, più tristi forse, ma più forti. “Dicono che io” è una canzone introspettiva, che analizza, studia e alla fine parla al cuore della donna che ti ha infranto il cuore, a tratti con durezza, a tratto con delicatezza. Un pezzo che emoziona, racconta, guarda l’amore da un nuovo punto di vista. “Angela e il cinema” è una ballata dall’animo jazz, blues, amara e dolce, con suoni che si intrecciano a parole che rincorrono in un racconto passionale con sfumature carnali. Le contaminazioni della musica popolare si uniscono ai suoni moderni e passionali di chitarra, violino e batteria, il tutto tra rustico e raffinato.  “Tristano” è un valzer popolare, tra la vita che ubriaca fino all’alba. Parole brille e sporche di vino e canti a squarciagola. Una sagra di musica e colori, suoni e canti popolari su melodie avvolgenti. “Stare bene” è una ballata, una passeggiata alla ricerca del senso più profondo di se stessi. Un modo colorato per ritrovare la strada migliore. “Il post amore” è un pezzo travolgente, divertente ed energetico. Un duetto fantastico con la bravissima Chiara Ragnini, che ricama e costruisce trame melodiche funky con la sua voce pura, dolce ed elegante. Una canzone che riesce a dare coraggio. E non è poco. “Equilibrio” è una ballata intima e coinvolgente, emoziona e incanta, con intense parole sussurrate. Soffici come neve. “Dall’amore (interventi di modifica alla viabilità interiore)”, è un pezzo creato come una metafora a suon di musica appassionata e indiavolata. Racconta divagazioni sull’amore, sulla vita, su se stessi, fino all’anima. “La campionessa mondiale di sollevamento pesi” è un dolce richiamo, come persi tra ricordi, lontani, ma che vivono ancora dentro, fanno ombra ai sogni e allo stesso tempo compagnia. In “Piccolina” Geddo sembra richiamare Fred Buscaglione, ravvivandone il sound e rendendolo ancora più dinamico, attuale. Moderno. “Sole rotto” è amara e sognante. E’ un pensiero soffuso, soffice e dolce, che oltrepassa il cielo, la distanza e l’amore svanito.

“Un pugno rotto è una canzone” è un piccolo gioiello. E’ una canzone fragile, delicata e intensa. Non si riesce a smettere di ascoltarla, soprattutto quando ascoltandola ci si sente proprio così, confusi, disarmati. Vittime di quel suono più oscuro. “Nancy” è un pezzo tagliente, ricco di ricordi, passioni che la vita costringe a celare in fondo all’anima. Svela le immagini raccolte come su un album da non riaprire. Un album che si vorrebbe bruciare, senza averne il coraggio. di farlo. “L’astronave di Provincia” è malinconia pura, un amore delicato, che entra senza far rumore. E’ un ricordo lieve, abbandonato tra le pieghe del letto. Un bacio che non si potrà dimenticare, mai.

L’album si conclude la canzone che da il titolo all’album. “Non sono mai stato qui” ha un suono che ipnotizza, che lascia un gusto strano in bocca, che fa sentire come soli di fronti al mare in tempesta, col freddo che entra nelle ossa. Poche luci intorno. E dentro una consapevolezza, ciò che amavi non c’è più. Una lucida solitudine che riesce quasi a far compagnia, diventa parte di te. Ti completa. E mentre il vento continua a soffiare, decidere di tornare a casa. E, forse,di dimenticare.

Un disco da ascoltare e riascoltare, che accompagna, emoziona, sussurra grida. Ubriaca. Un sapore a volte amaro, ma che rimane lì, fa riflettere, sognare e ricordare. I ricordi sono la trama portante dell’intero disco. Ricordi che nascondo lacrime per farsi forza. Per rialzarsi, e non smettere mai di sorridere.

Abbiamo posto alcune domande a Davide:

Le canzoni del nuovo disco sono ispirate a luoghi immaginari, cosa sono per te questi “ non luoghi”?

La musica è una potente macchina del tempo e dello spazio. Consente di rivivere sensazioni perdute o immaginare storie che non si sono potute realizzare. In essa il tempo vola e altera le sue leggi. La canzone non ha la bellezza tangibile di un quadro o di una scultura ma, pur essendo un’arte minore, è l’unico varco temporale che ci permette con la stessa facilità di essere profondamente noi stessi o di immaginarci nei panni di persone completamente diverse. In “Non sono mai stato qui” è mia intenzione sottolineare l’ambigua essenza della forma “canzone” dichiarandone l’assoluta libertà e indipendenza dalla presenza e dall’esperienza che condiziona il quotidiano.

Nell’album c’è una forte componente emotiva e sentimentale, quanto c’è di autobiografico nei pezzi?

Non credo alla musica come esibizione e divismo; credo alla musica come linguaggio, come espressione e come modo di toccarsi. Credo che non si tratti di essere autobiografico in ciò che racconti ma di esserlo in come racconti. Non sono quasi mai al centro delle mie canzoni; mi piace esserne collaterale, magari attore non protagonista. Mi piace essere nei dettagli.

Cosa lega le canzoni Genova e Venezia?

Sono due concetti opposti che finiscono per essere speculari. Venezia è la storia di tutto ciò che non è accaduto tra due persone che si ritrovano dopo un qualcosa che non c’è stato; la canzone inizia con un elenco di situazioni che non si sono realizzate e narra la storia di un viaggio che non si è compiuto. Genova, al contrario, rappresenta un modo di sentire e il forte senso di riscatto che trovo nella musica. In questa logica la bellezza misteriosa e contorta di Genova e quella sognante e unica di Venezia finiscono per specchiarsi come una realtà e il suo sogno.

Le tue canzoni sono come delle polaroid immagini di momenti, quasi scene di un film. Quale di queste fotografie porteresti sempre con te?

La dimensione cinematografica è quella più adatta alle mie canzoni; mi piace accompagnare visivamente dentro una storia, dare un carattere ai personaggi, mi piace romanzare e abbozzare paesaggi. Mi piace essere il regista delle canzoni. In altri casi, e mi viene in mente “stare bene”, il riferimento alla polaroid che tu hai colto mi pare appropriata. Ho i miei tempi nello scrivere; a volte non sono per niente brevi. Ma una volta che sono finiti i brani fanno parte di me e sono sempre con e dentro di me. Non ho scarti; solo idee su cui ritornare.

Quanto conta il mare nelle tue canzoni?

Noi, fortunati, che viviamo il mare abbiamo un doppio orizzonte che si fonde in lontananza. Non si può prescindere da questo mistero che induce umiltà, rispetto e riflessività. Inoltre ho un naturale stupore per tutti quegli elementi naturali che sanno “incantare” lo sguardo come anche il fuoco o le nuvole.

Quali sono gli artisti che ti hanno aiutato a esprimere la tua musicalità?

Per me suonare è quasi l’atto finale e decisivo ma non potrei sentirmi musicista senza essere ascoltatore e appassionato di musica. Lo star system identifica la musica come un mezzo di valorizzazione del talento o, purtroppo spesso, anche solo di contorno ad esso. Ciò ha professionalizzato la canzone ma ha tolto spontaneità, ricerca e spirito di appartenenza; la musica ha perso molto appeal rispetto, per esempio, al computer e alla tv; mondi di cui è diventata componente, perdendo in autonomia e forza. In questo senso collaborare è per me parte stessa dell’essere autore di canzoni. Ritengo di sentirmi dalla stessa parte di chi rivendica per la musica un’autorità e un’autorevolezza che stimoli l’ascolto, aspetto per me sempre prevalente. Da questa parte della barricata mi sento in sintonia con artisti di cui apprezzo l’approccio con la musica e le persone come Zibba, Sergio Pennavaria, Zazza, Michele Savino o Chiara Ragnini, ma la lista per fortuna è lunga e l’unione fa la forza. Di fatto infine è stato molto importante l’incontro con Rossano Villa di Hilary Studio che mi dato sicurezza e confidenza con lo studio di registrazione.

Alcuni dei tuoi pezzi sono ritmati, quasi indiavolati; altri sono più intimi e sussurrati. Quale delle due dimensioni senti più tua?

Vivo la musica come una casa. Ogni tanto sento il bisogno di fare festa, invitare tutti gli amici e passare la serata in allegria; altre volte ho bisogno di rinchiudermi nella mia stanza e parlare un po’ con me stesso. Sento mie entrambe le dimensioni e mi sento a mio agio nello sviluppare entrambe le dinamiche. Non credo che sia il binomio gioia- tristezza a creare un brano che sia degno di essere ascoltato ma so che servono spirito di osservazione, lucidità e feroce autocritica.

Come ti vedi tra dieci anni?

Un po’ cambiato.

Recensione del film “Lincoln”

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“Lincoln” non è un semplice film storico, ma un vortice che mostra le contraddizioni della politica in una veste nuova e terribilmente attuale. Steven Spielberg, regista della pellicola, mette in scena il presidente Abramo Lincoln, approfondendo le sue caratteristiche, da quelle pubbliche a quelle più intime e profonde. L’interpretazione dell’attore Daniel Day-Lewis è impeccabile e attrae con la recitazione delle storie raccontate dal presidente, con i gesti e i silenzi del Presidente, guidando così gli spettatori nelle sue scelte difficili scelte politiche. D’altro canto dal punto vista storico il protagonista è l’uomo che ha guidato gli Stati Uniti d’America durante le rivolte degli schiavi e che ha fatto la storia e per molti versi è la storia stessa. Il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America ingaggia un vero e proprio duello con i confederati per far approvare il terzo emendamento, quello che abolirà una volta per tutte la schiavitù nei neri in America. Una corsa contro il tempo e contro le fazioni che non volevano che l’emendamento passasse. Una storia commovente e forte, profonda e intensa, che sfrutta gli eventi storici e la complessità del protagonista di questa storia e della storia in generale. Regia, luci e interpretazioni degli attori sono ingredienti ottimi per un film da vedere, che fa riflettere e sperare. Gli accordi, la filosofia di quello che per molti è stato un tiranno e per altri un amato statista, rendono questo film bello e appassionante. Forse difficile da comprendere, poiché ci vuole molto impegno per entrare nell’ottica giusta, ma che senza ombra di dubbio si rivela un capolavoro. Un gran bel film.

Recensione del romanzo “Saltatempo” di Stefano Benni

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Saltatempo è un ragazzo, poi un uomo. Una trasformazione del protagonista che corre di pari passo con quella dell’Italia dalle contraddizioni di una nazione appena uscita da una guerra a quelle di un comunismo spesso ambiguo, sino alla nuova politica che sfocia nella corruzione. L’autore è Stefano Benni, che riesce a raccontare le mutazioni di un territorio e insieme di una cultura, che da rurale diventa sempre più cittadina, con tutto ciò che questo comporta. L’avvento dell’arrivismo, del cinismo e contemporaneamente delle prime scoperte, dall’amore alla droga, dal sogno alla morte. Saltatempo può muoversi nel tempo con il suo orobilogio e sapere come le cose andranno a fine, tra figure epiche e metafore ben studiate, il romanzo si sviluppa in maniera sapiente e oculata, raccontando un mondo, più mondi e scavando nella psiche e nelle paure dei protagonisti. E’ un romanzo per sognatori, ma che lascia in fondo anche tanta amarezza. E’ una storia che fa capire quanto l’uomo ha svenduto per raggiungere soldi, successo e un fantomatico progresso, che poi fa perdere il senno, l’anima, e alla fine anche la speranza. Questa però non muore mai davvero, ma rivive, come nelle anime che abitano i boschi, le montagne, come le idee che si rianimano, proprio quanto tutto sembra finito. Alla fine è solo il senso della vita, delle piccole cose, del credere negli ideali senza lasciarsi trasportare. Lo sviluppo di un territorio che diventa metafora della crescita di un uomo, che scopre se stesso anche oltre il male e forse nel male stesso riesce a trovare il senso dei propri desideri. Saltatempo è certamente un romanzo semplice e complesso allo stesso tempo, che mette le basi e le distrugge, che fa sognare e allo stesso tempo morire. Il tutto sembra insegnarci che non bisogna mai smettere di credere nelle cose, nelle idee, nei sogni, nella speranza di un mondo migliore, di una politica corretta. E di tutto quello che questo può provocare, l’eterna guerra tra il bene e il male che purtroppo talvolta si fondono senza riuscire a intravederne i confini. Cosa resta? Il senso più profondo delle cose: la vita.

Recensione di “1Q84” (integrale) di Murakami Hakuri

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Ho raccontato i primi due libri di questo romanzo in una precedente recensione, ma con il terzo e conclusivo libro posso descrivere questa storia nella sua interezza. “1Q84” è come un vortice. Un mondo parallelo in cui si rimane imprigionati. Si soffre e si gioisce assieme ai protagonisti Aomame, Tengo e Fukaeri. Un intrigo che si ingarbuglia pagina dopo pagina e atmosfere misteriose e a tratti mistiche sono gli ingredienti di un romanzo particolare. Lo stile di Murakami è originale e sfoggia una cultura certamente differente da quella che siamo abituati a trovare nella letteratura contemporanea, perché sembra di immergersi in una realtà epica, seppur ambientata ai nostri giorni. C’è un mondo che si percepisce sin dall’inizio e che diventa parte del lettore, come se questo libro possa ipnotizzare con la forza di frasi e parole costruite con maestria, sapienza e una grande pazienza. Ci sono scene e immagini che ritornano, che arricchiscono un quadro, quasi fossero particolari e sfumature che rendono il senso complessivo ancora più intenso e coinvolgente. Sono pochi i casi in cui ci si imbatte in fenomeni letterari come questo, quindi è necessario entrare in questa dimensione per capirne il senso e assaporarne il contenuto. Una storia avvincente, che risveglia la curiosità e le emozioni, e che, non in ultimo, fa riflettere grazie alle metaforiche divagazioni che l’autore crea e plasma. Ci sono colori sensuali e riquadri agghiaccianti che si susseguono senza fine. Una girandola di sensazioni che scivolano via, pagina dopo pagina. C’è passione e amore in questa storia, c’è pathos e cinismo, c’è il male e il bene che lottano, c’è il male dentro e quello che insegue i protagonisti. C’è una guerra inconsapevole. Quella di Murakami è una narrativa ad altissimo livello che non si può fare a meno di leggere. “1Q84” è un libro nel libro, un mondo in un altro mondo. Forse questo libro rappresenta proprio il mondo.

Un ottima lettura, complessa, fantasiosa e spietata, ma allo stesso tempo accattivante e provocatoria.

Il freddo

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Il freddo annienta l’anima.

Lo fa scrutando ogni pagina,

bianca, come deserto.

Ricalca i bordi incerti,

scava fino in fondo, e osserva,

i passi svelti delle parole.

Stringi i denti, rifletti.

E sui vetri scivolano gocce.

E un nome sul vapore.

Le tracce si rincorrono.

A ogni istante, un tempo,

A ogni tempo, un cenno.

Il freddo ferma ogni cosa,

per ore, mesi, anni, forse.

Congela anche il vento.

Un soffio leggero e fragile,

mentre scrivo sulla condensa

dove sei.

Recensione “Banana Split” dei Rekkiabilly

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Ci sono generi indimenticabili, che riecheggiano tra le onde sonore dei ricordi e ci sono gruppi che sanno farli rinascere. Ed è il caso dei Rekkiabilly. Sin dalla prima traccia, “6×6”, si sente odore di Rock’n Roll, una pura esplosione di energia e vitalità. Un suono in cui la melodia dei fiati e delle chitarre si fondono e danno vita a brani affascinanti, ricchi di forza e determinazione. E’ ironica e coinvolgente “L’astronauta”, mentre un’altalena di giochi di parole e metafore si può ascoltare in “Sisma”. “Banana Split” ha uno swing contagioso, arricchito da un testo sarcastico e altamente metaforico. “Lulù swing” ha un’anima jazz , come d’altro canto tutti i pezzi di questo album, e una musicalità intrigante percepibile sin dalla prima nota. “Notte, notte, notte” è un inno, una dedica al sapore notturno che i musicisti ben conoscono, il tutto immerso in un ritmo tra swing e blues. “Mezza notte di fuoco” riprende il tema portante del disco, il rock n’roll, con ritmo e suono elegantemente distorto delle chitarre, così come accade in “Il compare”. Energia, sound coinvolgente, e ironia sono gli ingredienti di “La pensione”. “Questo è rock’n roll” è un pezzo il cui titolo dice tutto ed evoca le atmosfere del disco, che si chiude con l’avvolgente e quasi prepotente “Toast e caffè arrosto”. In questo album si possono ascoltare canzoni curate, con arrangiamenti attenti e suoni coinvolgenti. Le melodie dei brani sono attraenti e trascinano con ritmo e vitalità che si sposa con l’eleganza delle interpretazioni dei musicisti e del cantante. Nei pezzi non si può non notare un uso intelligente della metafora e del gioco di parole rende il tutto ancora più intrigante. “Banana Split” è un disco interessante e certamente da ascoltare tutto d’un fiato. Adattissimo agli amanti della musica a trecentosessanta gradi. Per intenditori e per chi vuole lasciarsi trascinare da una musica elettrizzante.

Recensione “Chiamatemi Aiva” di Mc Ivanhoe

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Ivanhoe, per gli amici Aiva, presenta il suo disco “Chiamatemi Aiva” in una doppia veste, street album e Studio version. Li differenziano la tipologia delle basi, più americane nel primo e più classiche nel secondo, ma i risultato è in entrambi i casi è una musicalità curata, un sound attraente e ottimamente costruito. Alcuni pezzi sono particolarmente commerciali, mentre altri ricalcano stili più cari all’hip hop da strada. I temi affrontati sono tanti, da quello della morte come nell’intensa “Esiste un posto”, a quelli più frivoli come in “Vip”. Ci sono anche canzoni in cui i protagonisti sono i sentimenti, ne sono un esempio “Principe de mio Barrio” e “Il nostro libro”, orecchiabili e incisive, anche grazie al ritornello cantato dalla voce femminile. “Ancora una volta” è un pezzo amaro, sofferto, e che si lascia ascoltare. Retrogusto difficile da capire, ma che fa riflettere. “Aiva” ricorda l’hip hop riportato in auge da Fibra, ricca di riferimenti ai rappresentanti hip hip più famosi.

“Hopeless” racconta speranze, amarezze, e la voglia di raggiungere i sogni, le proprie speranze. Flusso di pensieri difficili e voglia di reagire. Sogni. “Quando sto sul beat” è un pezzo che trascina, ballabile, anche grazie dalla base dance. Inizia con una citazione di una famosa canzone di Fabri Fibra “Un’altra strada” e come in quella canzone anche qui si racconta la difficoltà di trovare una via d’uscita con la musica, con la propria passione. “L’ultimo angelo” è un pezzo amaro, con una melodia soffice e dura allo stesso tempo. La vita è difficile, e questo traspira dai versi scritti da questo artista. Odio, strade abbandonate, poche chance da giocarsi, “Un salto nel vuoto” è questo, un affronto alla vita e alle sue difficoltà. Una guerra a suon di note. La chiave di questo album è nella canzone “Questa musica”, ed difficile da accettare. L’hip hop commerciale che si sente in radio ci ha ormai abituati a qualcosa di diverso, e spesso ci cado anche io nel pensare a quello come al rap. Ma la verità è che l’hip hop è la musica che nasce dalla vita di tutti i giorni, dalla voglia di affrontare i giorni tutti uguali, di combattere la rabbia che ci imprigiona. La musica deve essere questo, ed è ciò che Aiva racconta. Sound curato, basi a tratti commerciali, ma che arrivano dritte all’obbiettivo. Comunicare. C’è voglia di arrivare e lo si sente chiaro in “Io non ho” (presente solo nella versione street). Tra i rapper emergenti Aiva ha le carte in regola per arrivare, è orecchiabile e musicalmente capace, sa certamente raccontare la vita. Se fosse un cantautore non avrei difficoltà a definire le sue canzoni complete, ma Aiva è un rapper, e da lui ci si aspetta, oltre alle storie, anche quella dose di “cattiveria”, quella buona ovviamente, quell’essere politicamente scorretto che tanto attira in questo genere musicale e che potrebbe conquistare ancora più pubblico. Detto questo, l’album è bello e si fa ascoltare. La speranza è quella di risentire Aiva sugli stessi palchi di Emis Killa, Ensi. Aiva è decisamente più bravo di Fabri Fibra, quindi le citazioni non sono affatto necessarie. Aiva può trovare una sua identità e differenziarsi da tutti gli altri rapper della scena, deve solo tentare di “osare” un po’ di più e il gioco sarà fatto. Questo artista è umile e bravo. Lo vogliamo il migliore, quindi come tutti i migliori, solo un po’ più dannato.