Quanto dura una nota?

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Ci sono dei momenti diversi dagli altri, in cui vengono a galla i ricordi. In cui ogni cosa prende forma, si plasma. Accade quando la luna è al suo colmo e i suoi raggi illuminano tutto. Anche dentro. C’è una strana forma di malinconia stasera, che fa venir voglia di chiudere il pianoforte perché non vuoi più sentirlo più suonare. Perché ogni nota e ogni parola di quelle stupide canzoni ti parlano di lei. Ti fanno sentire perso. E lasciano il peso addosso di un fallimento. No, non fa ridere. Non vedo perché debba farne. Io non lo so cosa sia l’amore. Pensavo di averlo capito. E non era così. Il mio sguardo si perde ancora tra la gente come a voler rincontrare quegli occhi, ma non capita mai. La vita non è un film, e nemmeno un quiz a premi. E’ un gioco scorretto. Una bomba che ha un timer al contrario, verso l’implosione. E’ un suppellettile, che si gioca a dadi la fiducia. Che svende le tue parole togliendole ogni senso. E’ una bella melodia suonata in silenzio. E’ una poesia senza parole. Per quanto tempo vibra una nota? Non lo so. So solo che spesso la si sente ancora dentro, a riecheggiare tra le stanze vuote dei ricordi. Dei passi falsi di un sogno. Delle mezze verità di una vita che sa essere spietata. Questo è l’amore? Si, e allora a che serve? A chi serve? Quali certezze lasciano queste ferite che si fingono rimarginate e che invece gridano ancora? La notte è ancora lunga, la luna è sempre lì a guardami. Passa di qui, almeno raccontami di te. Dimmi cosa pensi di questa anomalia. Ci sono momenti in cui tutto questo non ha senso. In cui perdono senso anche i ricordi e ci penso. Ti penso. Leggera, mentre il tuo treno va via. E miei sogni si siedono su una panchina di una stazione, senza avere il coraggio di rialzarsi. E io non posso obbligarli a farlo. Io non voglio farlo. Il silenzio tutto sommato fa compagnia. Quanto dura una nota? Forse solo l’attimo in cui questo pensiero smetterà vi far vibrare quest’aria. Vuota.

La risata della luna

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I miei passi lasciano orme di neve sul marciapiede, i miei sogni si perdono in fondo al viale. Il giorno di Natale, che odio. Chi poteva dirlo che sarebbe accaduto proprio oggi. Nei miei ricordi il tuo viso è ancora quello che avrei accarezzato il primo giorno che ti ho vista. Il destino gioca le sue carte, ed è sempre più bravo di me. Mi ha battuto. Dio solo sa quanto io odi perdere. I fiocchi di nevi scivolano sul mio cappotto. Nel cielo c’è una luna troppo piena, e sembra ridere. Nella tasca sento il telefono vibrare. Lascio che continui a emettere quel ronzio. Mancano solo pochi isolati, i miei passi rallentano. Mi fermo davanti al portone. Sembra gigante. Un anno, un attimo. Uno sguardo, due occhi verdi. I tuoi. E poi un viaggio, con lei. Ma la vita è un gioco di scacchi, e sono un vigliacco. Sono scappato, un’altra volta. Ho sempre avuto paura, anche della mia stessa ombra. Dei miei sogni. La luna questo lo ha sempre saputo. E ride, di me. Salgo i gradini, uno a uno, apro il portone e cammino lungo il corridoio bianco, che sembra non finire mai. Quel viaggio mi ha cambiato. Pochi mesi sono una goccia. Uno scalo, i tuoi occhi, verdi riflessi, sul vetro degli arrivi. Un bacio, soltanto uno. E poi un altro ancora. Il sapore della pelle sulla pelle. Il destino mi ha battuto, e che ironia, proprio il giorno di Natale. “Venga, mi segua. La stiamo cercando al telefono da almeno un’ora” mi dice l’uomo vestito di bianco. Io lo seguo senza riuscire a parlare. Quando le porte si aprono rivedo i tuoi occhi, verdi, provati. Sei pallida. No, io non ho mai saputo amare nessuno davvero, forse nemmeno me stesso. E ora che mi sorridi, mi mostri quel piccolo corpicino che piange. Scopro di aver sempre sbagliato tutto. Nove mesi sono una goccia, eppure in questa goccia c’è tutto. Ora so perché la luna rideva. Il destino mi ha battuto, e questa è la più bella sconfitta che potessi subire. Ora non odio più il Natale, e amo te, e la piccola vita che mi hai regalato.

Recensione album Oonar degli Oonar

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Il disco degli Oonar è carico di atmosfere che richiamano il rock anni ’80, miscelato con sonorità elettroniche. Le radici e i riferimenti ai gruppi di quegli anni ci sarebbero, ma distoglierebbero l’attenzione dal risultato ottenuto con questo disco. La musica è vera, costruita su componenti semplici e dirette. “Mission 12” è un brano un rock affascinante, con echi di sonorità anni ’80. “Running” rappresenta un pop leggero, che ricalca musicalmente le radici dei brani precedenti, con un sound di chitarre distorte che rende il brano ancora più accattivante. “I die for you” è una canzone  mistica e incalzante, che sembra viaggiare a mezz’aria tra suoni elettronici e un’atmosfera rarefatta, veloce e dinamica. Moderna, ma dal retrogusto vintage. “Asleep” è una ballata lenta, dal sapore rock melodico antico, archi a rendere il suono più ampio e riecheggiante. Una voce calda scandisce il tempo di questo pezzo d’altri tempi. “Lost” è un pezzo dal rock misterioso, con echi di sonorità particolari, che si miscelano tra elettronica e suoni più terreni e duri. Una bella canzone. La proposta degli Oonar è interessante, ripropone sonorità note nel panorama musicale internazionale, ma lo fa con abilità e puntando su un prodotto che non è mai davvero passato di moda e che soprattutto nutre ancora moltissimi estimatori. Un disco da ascoltare. Una piccola critica, varrebbe la pena riproporre questi suoni, cercando di uniformarli con le sonorità più moderne, anche dal punto di vista dell’arrangiamento vocale. Il risultato potrebbe stupire.

Recensione romanzo “Non avevo capito niente” di Diego Da Silva

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“Non avevo capito niente” è un romanzo che rappresenta uno spaccato della vita di tutti i giorni, racconta delusioni e speranze, il tutto condito con una spruzzata di dissacrante sarcasmo. Ed è qui che nasce il bello di questo libro, dal personaggio quasi surreale dell’avvocato Vincenzo Malinconico, che combatte con la sua vita “vecchia”, con l’ex moglie Nives, che lo ha mollato per un architetto, e con i due figli, e con quella nuova, con l’avvenente avvocatessa Alessandra Persiano, che appare spietata, quanto attratta da lui. Il protagonista subisce, suo malgrado, un cambiamento, come se tutto attorno e dentro di lui stesse mutando all’improvviso. Una nomina come avvocato d’ufficio di un camorrista, detto Borsone, gli mette alle calcagna un improbabile scagnozzo, Tricarico. Da qui tutto diventa un fiume in piena e nascono tutta una serie di scene spesso esilaranti, ma che lasciano un retrogusto amaro e un altro più dolce e romantico. “Non avevo capito niente” è un punto di vista molto reale e cinico e quando si arriva alla fine del libro, ci si ritrova tutto sommato sollevati. Forse non tutto è perduto, forse c’è qualcosa per cui ha ancora senso lottare per essere se stessi e lasciarsi trascinare dall’istinto. L’amore per Nives che appassisce proprio quando tutto sembra poter andar come avrebbe voluto, è l’immagine dell’animo umano volubile, dei sogni che cambiano, come cambiano le cose intorno a noi. E’ un mondo a ritroso, che alla fine si trova a fare passi avanti. Dove un vaffanculo è forse la chiave di lettura più adeguata a un testo ironico, fantasiosamente realistico. Cattivo, a tratti. Sconveniente, politicamente scorretto, eppure così vero e verace. Un libro particolare, ricco di spunti interessanti.

Metallo sul viso – Caro Vendola

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Caro Vendola, ricordo che avevo poco più dieci anni quando, affacciato dal finestrino del vagone di un treno, ho visto lo stabilimento dell’Ilva di Taranto. Ricordo ancora il mio volto sporco di frammenti di metallo. Ora di anni ne ho molti di più e tu sei stato per dieci anni presidente della Regione Puglia e dell’Ilva è venuta a galla la verità. I controlli fatti dall’Arpa (ente sotto controllo della Regione) non hanno mai avuto valore. Mentre le normative in tema ambientale cambiavano, a Taranto tutto rimaneva fermo, con lo stesso meccanismo raccontato per Piombino dalla scrittrice Silvia Avallone nel romanzo “Acciaio”, fino ad arrivare ai giorni nostri. Ora, caro Vendola, sei un parlamentare, a capo di un partito che si chiama “Sinistra, Ecologia e Libertà”, sei indagato e ti difendi arrampicandoti sui vetri con le mani insaponate. La verità nasconde la raffica di ideali ipocriti che hai raccontato in giro per prendere un po’ di voti. Credo che se la legge fosse davvero uguale per tutti, dovresti dimetterti quantomeno dalla carica di segretario di quel partito, se non da quella di parlamentare. Il problema non è la telefonata che avresti fatto per fermare l’Arpa per impedire il blocco delle lavorazioni durante l’ultimo caso di cronaca, ma quello che non hai fatto negli ultimi dieci anni. La produzione di acciaio è stata certamente una locomotiva per l’Italia, con esportazioni in tutto il mondo, ma come è stato fatto per gli stabilimenti del nord che si sono dovuti uniformare a quanto richiesto dalle nuove leggi, anche l’Ilva di Taranto doveva adeguarsi. Mentre alla famiglia Riva  è stato concesso di andare in deroga, con la scusa di dover garantire il lavoro agli operai. Un ricatto, insomma. E tu, questo. Lo sai. Il compito della politica, per essere credibile, è gestire la cosa pubblica. Tu questo, non hai saputo farlo. Ti sei reso complice di un meccanismo corrotto. Hai contribuito a inquinare un territorio splendido. Hai rovinato la vita di tanti operai. Delle parole che il tuo partito ha preso come nome, ce ne sono almeno tre che non funzionano. Sinistra. Ecologia. Libertà.

Foto articolo: Vincenzo Morabito

Recensione romanzo “La ragazza dello Sputnik” di Murakami Hakuri

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I romanzi di Murakami riescono a essere mistici e misteriosi come pochi altri. E’ anche il caso de “La ragazza dello Sputnik”, in cui un ragazzo racconta la sua storia e con i suoi occhi si può vedere e innamorarsi di Sumire, una ragazza strana, amante di Kerouac, e che a sua volta si innamora perdutamente di una donna più grande, Miù. Anche questo è un personaggio particolare, sembra slegata dal sesso, come se una parte di lei fosse svanita in un’altra dimensione. Solo in quella dimensione Sumire e Miù potranno incontrarsi. Ci sono sapori e valori che si intrecciano in una storia particolare, che nasconde molto, e che molto permette di immaginare. E’ come se parallelamente si volgesse un’altra storia che il lettore può solo percepire o sbirciare dalle piccole serrature che l’autore lascia qua e là nel testo. Un libro che ipnotizza, che fa riflettere e che lascia con uno strano retrogusto in bocca. Personaggi che si amano, si cercano, ma che non si trovano. A volte sembrano fondersi, ma no. Non si incontrano. Ed è proprio questo il bello di questo romanzo. Poi ci sono le atmosfere rarefatte, e luminose, incantevoli e misteriose. C’è una cultura intera che traspare ed emerge da ogni parola. Da ogni frase. In poche parole c’è tutto un mondo in un solo libro. Anzi. Due mondi. Gli occhi dei personaggi sono intrisi di questa cultura particolare, profonda e intensa. E’ come immergersi in un labirinto e una forza spingesse a cercare questo altro mondo nascosto da qualche parte. Ci invoglia a trovarlo. Un romanzo da leggere tutto d’un fiato.

Recensione album “Still another nightcap”

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L’album “Still another nightcap” dei The Mad Scrample è appassionato, ricco di musica vera. Senza sfronzoli, con tanta voglia di suonare e di far ascoltare ottimi brani. Si inizia con qualità, con il pezzo “If I”, che regala un jazz elegante con venature pop che non guastano. Ottime esecuzioni strumentali e una voce che colpisce sin dal primo ascolto. “The road” è un brano con un bel jazz-rock, eseguito con un fascino aggressivo, suoni coinvolgenti e fiati che colpiscono con intensità. “Every new love” sembra nascere come una ballata che si lascia scivolare tra le note, ma come un ruscello diventa torrente, poi un fiume in piena di emozioni e sensazioni parlate, sussurrate. Ispirate. “My dear” possiede una musicalità energica e contagiosa, cambi di ritmo. Sonorità convincenti e dinamiche. Il brano “Love il the best way to cheat” è un’esplosione di musica e parole. Energia. Melodie coinvolgenti. Passione che traspare da ogni nota. “Listen” è un lento, un viaggio intimo. Almeno questo sembra nel suo intro, ma si trasforma in qualcosa di diverso, esplode anche in questo pezzo un jazz-rock appassionato e curato in tutti i suoi particolari. In “It’s not all about u”, fiati a ricordare l’anima jazz, con le venature blues che accompagnano l’intero album. Un impatto positivo, con un sound che ha nella tradizione il suo punto di forza. “You and I” è un brano che trasporta in atmosfere intense, come un ballo senza fine. Un amore che non ha limiti, una passione che non conosce confini. Ottimi spunti degli strumentisti negli assoli. “Beautiful inside” è una ballata esplosiva, profonda, contagiosa. Vibrante. Parole e musica che diventano un quadro, in cui le sfumature sono l’essenziale, in cui il messaggio comunicativo è tridimensionale. Bella canzone, come d’altro canto lo sono anche le altre. Un disco che unisce alla tradizione jazz, un pop rock interessante. Brani che si lasciano ascoltare, con ottima qualità. Bella voce, bei suoni. Melodie e sound che convincono. Che dire, un bel disco.

Recensione album Cambi di stagione di Abetito Galeotta

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L’album “Cambi di stagione” di Abetito Galeotta è ricco di spunti interessanti, a partire dall’impronta “popolare” della musica. Le metafore e le storie legate alla cultura della “festa di paese”, i personaggi creati e inseriti nel contesto riescono a spiegare bene le tematiche affrontate, dall’ipocrisia, al sogno, dalla sconfitta alla vittoria. Il primo brano del disco è “Canti di nuova stagione”, una ballata spensierata, carica di immagini e riflessioni che sanno di sentimento puro. “Pantera e preda” è  una traccia dall’anima popolare, nel vai vieni di tonalità di una favola. Musicalità accattivante, in cui violini fanno d’assolo su una voce che appare a tratti struggente. Un Jazz animato da passione. “Carbonia” racconta le storie di minatori e un sapore di un mondo lontano. Suoni corposi, con i fiati e pianoforti a fare da spalla, tra cambi di ritmo e incedere da favola popolare. “Giacomino dalla bella voce” è evoluzione di suoni da festa del popolo, dove un cantastorie racconta e fa ballare la gente. Suoni bel costruiti, sapore di rum. Come uno stornello, su un suono di pianoforte. Il pezzo “Il brigante Piccioni” è battere di una storia, di un momento di una guerra. Un personaggio semplice, ma allo stesso complesso. Reincarna il perché di una scelta di vita. “L’uomo e la sirena” è una bella ballata coinvolgente e appassionata. L’odore del mare, le emozioni. Un duetto ricco di sfumature e sensazioni. Ne “L’artista consumato” ci sono ancora i suoni di festa di paese, rumore di gente che balla. Racconti di attimi di vita, sparpagliati per terra. Gusto di vino. Poesia di momento sfuggente. Un artista che si guarda dentro. La lucidità di un attimo che non vuole svanire, ma che devono farlo. Non appena l’estate tornerà e ci sarà un nuovo spettacolo. “Cartoline da Montegallo” è un brano prettamente strumentale, eseguito con passione, che ha radici nella musica classica, ma senza abbandonare la vocazione popolare dell’intero disco. Una miscela che rende il brano molto bello e affascinante. Con “Verrà la tempesta e sarà subito giorno” quasi si riescono a vedere gli occhi dei pastori, dei Re Magi. Metafore che richiamano a una storia antica, e allo stesso tempo a sensazioni sempre attuali. Una storia amara, che sembra viaggiare nella storia, prima dalle pagine dei libri, ora con la musica. Ma il sogno è ancora lì. Si vede già la terra. “Il vecchio e il nuovo” è un pezzo caratterizzato dalle immagini delle persone, dei personaggi della vita. Una canzone, che poi è la vita, che viaggia via come un treno in corsa, ingannando il tempo. Consolandosi di alibi. Un disco complesso, ma semplice nelle sue immagini, dirette e ben raccontate. Appassionato e intenso. Adatto per chi vuole sentire delle storie, per chi ama la musica cantautoriale, perché no, di una volta. Da ascoltare.

Recensione album “Un alieno in mezzo agli esseri umani” di Cicco Sanchez

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L’hip Hop proposto da Chico Sanchez nell’album “Un alieno in mezzo agli esseri umani” è interessante. Bella metrica e determinazione e lo si percepisce sin dall’intro “il Dono” e nel pezzo che regala il titolo all’album “Un alieno in mezzo agli esseri umani”. Non sempre ciò che non ti uccide poi ti rende forte, recita il pezzo che si chiama, appunto, “Forte” che racconta la voglia di andare avanti e di riuscire a realizzare un sogno, con il lavoro e la determinazione. “D’istanti” parla delle contraddizioni di vivere, e farlo con l’ambizione del palco, mentre il tempo spinge a fare luce sulle cose fatte e quelle da fare. “Come mamma mi ha fatto” è un pezzo duro, ma che rende giustizia alle rime urlate. Bella base, spinta e forte, rime che si intrecciano. Bell’arrangiamento e un ritornello che rimane in mente. “Via dal club” è un’istantanea tra sentimenti, musica e l’attesa di un nuovo giorno. “Errare Humanum est” parla delle motivazioni che spingono a scrivere, a cantare, a raccontare al mondo quelle emozioni che nascono dentro. “Terremoto” è prendere tutto, creare qualcosa. La musica gira nelle vene, e si sente. Il brano “Alla ricerca della felicità” esprime il dolore di una ricerca, di qualcosa di importante: la felicità. “Che storia” è un hip hop duro, un contrasto aperto con il mondo del rap, il brano sembra funzionare per orecchiabilità e per intreccio di parole, manca un po’ di originalità nel testo, poiché tratta di un temo abbastanza comune nelle canzoni hip hop italiane. “Mai più” ha le sembianze di una canzone d’amore, e, forse, lo è. Bella da ascoltare, evocativa. “Non basta mai” sembra una ballata intensa, piena di passione e intensità. Anche qui si parla di sentimenti, e lo si fa con la voglia di far passare le emozioni, di imprimerle nell’anima. “Frank Costello” racconta il freddo dentro, nei sentimenti. Tra i muri freddi della città. La paura di un domani, la necessità di spingere sull’acceleratore. Di vivere. L’album di Cicco Sanchez è una promessa. Ci sono racconti interessanti e tanta voglia di migliorarsi, ottima musicalità e basi che possono ancora migliorare. Non mi stupirei se presto lo sentissimo nelle radio nazionali, decisamente tecnico e rabbioso. Il cocktail giusto.